Malle, Louis
Regista cinematografico francese, nato a Thumeries il 30 ottobre 1932 e morto a Los Angeles il 23 novembre 1995. Pur essendo coetaneo di registi che avrebbero dato vita in Francia al movimento della Nouvelle vague, ne rimase ai margini, anche se condivise con François Truffaut, Jean-Luc Godard, Claude Chabrol, Jacques Rivette, Eric Rohmer, Roger Vadim, il gusto per il rinnovamento estetico, l'orizzonte letterario, l'amore per la libertà espressiva, la propensione musicale e la passione, viva fin dall'infanzia, per l'arte cinematografica. La sua impazienza, la sua voglia di 'scandalizzare' poeticamente, la sua compiaciuta instabilità formale ed esistenziale lo portarono ben presto a sperimentare la strada dell'eclettismo estetico. Maestro di stile cinematografico (ma anche grande appassionato di letteratura e di musica jazz) passò infatti, di opera in opera, da un tema all'altro, da una scelta formale all'altra, da un modo di fare cinema a un altro, disorientando anche il critico più attento, in un itinerario filmico fatto di parti che sembrano non congiungersi mai, di sequenze difformi, antitetiche, tese a mostrare l'impossibilità di un montaggio armonico per quel film 'assoluto' che costituisce (come in Ingmar Bergman, in Truffaut e in Alfred Hitchcock) la perfetta identità tra cinema e vita. Fu lo stesso M. a rivelare il solo aspetto che sembra tenere unite le sue opere, sostenendo di avere trovato in Zazie dans le métro (1960; Zazie nel metrò) il suo tema principale, ossia quello dell'incontro degli adolescenti con la corruzione e il caos del mondo adulto. Venne premiato due volte con il Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia, nel 1980, ex aequo, per Atlantic City (Atlantic City U.S.A.) e nel 1987 per Au revoir les enfants (Arrivederci ragazzi).
Fin da bambino deciso a fare cinema, si iscrisse all'IDHEC, debuttando nel 1959 con il cortometraggio Fantaisie de vendeuse. Codiresse quindi con il comandante Jacques-Yves Cousteau il film Le monde du silence (1956; Il mondo del silenzio), Palma d'oro al Festival di Cannes come miglior documentario, ed ebbe modo di collaborare alla sceneggiatura di Un condamné à mort s'est échappé (1956; Un condannato a morte è fuggito) di Robert Bresson. Quando la Nouvelle vague esplose con i primi capolavori, Les quatre cents coups (1959; I quattrocento colpi) di Truffaut e À bout de souffle (1960; Fino all'ultimo respiro) di Godard, M. aveva già al suo attivo due film fra i più importanti, entrambi con Jeanne Moreau: Ascenseur pour l'échafaud (1957; Ascensore per il patibolo), un noir che alterna classiche scene da film poliziesco a riprese che seguono il vagabondaggio notturno della protagonista per le strade di Parigi, con musiche originali di Miles Davis, e Les amants (1958), dramma intimista di ambiente borghese sulla passione tra una signora benestante e un giovane. Il film, amato da Truffaut, venne mutilato dalla censura. Nel 1960, con Zazie dans le métro, dal romanzo di R. Queneau, opera fresca e stilisticamente innovativa, dalla comicità visiva e surreale, incentrata su una stravagante bambina di provincia che si perde per le strade di Parigi, M. si dimostrò all'altezza degli altri giovani maestri della nuova scuola francese.La sua ricca filmografia annovera ‒ accanto alla commedia La vie privée (1962; La vita privata), sorta di biografia immaginaria di Brigitte Bardot, e al drammatico Le feu follet (1963; Fuoco fatuo), dal romanzo omonimo di P. Drieu la Rochelle, in cui M. adotta uno stile volontariamente freddo e glaciale nel ritrarre gli ultimi giorni di vita di un uomo prima del suo suicidio ‒ molte opere di impianto fortemente documentaristico (una passione delle origini che non lo avrebbe mai abbandonato nel corso della sua carriera) come Bons baisers de Bangkok, trasmesso in televisione nel 1964, Vive le Tour (1962), Place de la République (1974), Alamo bay (1985), God's country (1986), And the pursuit of happiness (1986). E ancora, oltre al delirante, onirico episodio di Histoires extraordinaires (1968; Tre passi nel delirio), dal titolo William Wilson, tratto da un racconto di E.A. Poe, realizzò alcuni esempi di cinema 'diretto' come Humain trop humain (1974), Close up (1976), un documentario sull'attrice Dominique Sanda, e opere di natura sociologica come Calcutta, île fantôme (1969; Calcutta). Dal divertissement registico rappresentato da Viva Maria (1965), parodia del genere western, con Brigitte Bardot e Jeanne Moreau, M., grande direttore di attori, passò con sorprendente facilità al calligrafico Le voleur (1967; Il ladro di Parigi), al trasgressivo e sentimentale Le souffle au cœur (1971; Soffio al cuore), in cui affrontò il tema dell'incesto, a Lacombe Lucien (1974; Cognome e nome: Lacombe Lucien), sospeso tra dramma intimista e film di guerra, in cui ricostruì il clima della Francia di H.-Ph.-O. Pétain nel periodo dell'occupazione tedesca, fino al favolistico Black Moon (1975; Luna nera).
Nel 1977 si trasferì negli Stati Uniti dove, venuto a contatto con una società aperta, multietnica e policulturale come quella americana, ampliò ancor più la sua gamma espressiva. Realizzò così la commedia-scandalo Pretty baby (1978), esordio della giovanissima Brooke Shields; il noir 'rivisitato' Atlantic City, in cui vengono riattualizzati i ritmi del gangster film in una dimensione più malinconica, offrendo un ritratto del luogo (la città termale di Atlantic City) disegnato con la precisione del documentarista ma anche affidato alla soggettività di un cineasta che valorizza la città in quanto cuore pulsante della storia e al contempo dirige con intelligente sensibilità un bravissimo Burt Lancaster; un ulteriore esperimento di Cinéma vérité, My dinner with André (1981; La mia cena con André), film sul rapporto tra realtà e rappresentazione considerato un vero cult movie. Dopo Crackers (1984; I soliti ignoti made in USA), un poco riuscito remake di I soliti ignoti di Mario Monicelli, tornò in Francia per realizzare i film più belli della sua maturità: lo straziante Au revoir les enfants, storia di tre ragazzini ebrei clandestinamente ospitati in un collegio cattolico, che recupera le cupe atmosfere già colte in Lacombe Lucien; Milou en mai (1990; Milou a maggio), una commedia caustica e leggera, interpretata da Michel Piccoli, sui giorni che sconvolsero la Francia nel joli mai del 1968, ispirata alle atmosfere del cinema di Jean Renoir e di Luis Buñuel; Fatale (1992; Il danno), intensa e profonda analisi della società borghese; e infine Vanya on 42nd Street (1994; Vanya sulla 42a strada), tragicommedia piena di grazia sulla messa in scena di Zio Vania di A.P. Čechov ambientata nel New Amsterdam Theatre di New York e basata sulla sceneggiatura di David Mamet.
Fra verità e finzione, dramma e commedia, documento e sogno, il cinema di M., anche nel periodo americano, sembra indicare una via disordinata, frammentata, continuamente interrotta. È un cinema che si rigenera incessantemente, come una fenice, sempre nuovo e sempre classico, che ritorna al punto di partenza proprio quando sembrava aver imboccato un percorso definito. Dunque un cinema dell'incertezza, dell'angoscia, del vuoto, dell'assenza, un interrogativo profondo sull'uomo e sulla tragica impossibilità di avere risposte. Rievocando le pagine di scrittori come Queneau, Drieu la Rochelle, Čechov, Poe, utilizzando la musica di J. Brahms, E. Satie, Davis, egli si è posto il compito di provocare nello spettatore intense emozioni e shock, paura e malinconia, sensualità e angoscia, tristezza e tenerezza. Nel 1993 è stata pubblicata l'intervista Malle on Malle (trad. it. 1994), a cura di Ph. French.
H. Chapier, Louis Malle, in Cinéma d'aujourd'hui, 1964, 24.
G. De Santi, Louis Malle, Firenze 1977.
R. Prédal, Louis Malle, Paris 1989.
F. Vergerio e G. Zappoli, Louis Malle: tra finzione e realtà, Bergamo 1995.