ALEMAN (Alleman), Louis
Figlio di Giovanni A., signore d'Arbent e di Coiselet, e di Maria di Chatillon nacque verso il 1390 ad Arbent, nel Bugey. Datosi alla vita ecclesiastica, studiò all'università di Avignone, ove nel 1414 conseguì il dottorato "in decretis". Grazie all'appoggio di suo zio Francesco di Conzie, arcivescovo di Narbona e camerlengo della Curia, aveva già ottenuto numerosi benefici, sia nella diocesi di Narbona sia in altre località della Francia meridionale. Sempre con lo zio si era recato al concilio di Pisa del 1409, aderendo all'obbedienza dell'antipapa Alessandro V ed operando in Francia ed in Provenza accanto a Pietro di Thury, cardinale prete del titolo di S. Susanna, dopo il 6 agosto 1410.
Dopo aver preso parte nel 1415 ad alcune sedute del concilio di Costanza, riuscì a ottenere, per l'intervento di suo zio, la carica di vicecamerlengo della Chiesa in sostituzione di Giovanni Mauroux, troppo legato agli interessi dell'imperatore Sigismondo, e ritornò quindi al concilio di Costanza nel 1417.
Come vicecamerlengo, fu a Costanza tra l'8 e l'11 nov. 1418 custode del conclave, donde usci eletto Martino V, di cui fu sempre devoto e sicuro collaboratore. Ne fu compensato con la nomina a vescovo di Maguelonne, il 22 giugno 1418, durante il viaggio da Costanza a Roma, ricevendo, subito dopo, la consacrazione a Mantova, il 20 novembre dello stesso anno, dal pontefice in persona.
A Roma, sempre attivo accanto a Martino V, fu nominato il 3 dic. 1423 arcivescovo di Arles e, poco dopo, il 16 maggio 1424, camerlengo della Curia romana al posto dello zio, morto in quei giorni.
Sempre caro al papa, fu da lui inviato, il 25 maggio, a Bologna come governatore di Romagna, di Bologna e dell'esarcato di Ravenna, a sostituirvi il legato Gabriele Condulmer (il futuro Eugenio IV), che con le sue iniziative personali aveva scontentato Martino V perché nel contrasto, allora in atto, tra Firenze e Milano, invece di mantenere la neutralità, aveva favorito i Fiorentini, accogliendone una guarnigione in Bologna, e contraddicendo così le direttive impartitegli dal pontefice. L'A., dopo aver ordinato ai Fiorentini di lasciare Bologna, si sforzò di riportare la pace nella città, tentando una politica d'accordo con le fazioni locali e specialmente con quella capeggiata dai Canedoli.
Questo tentativo, che sembrò per due anni dar tranquillità a Bologna si da consentire all'A. il licenziamento dei due condottieri ai suoi ordini (ma le fonti locali attribuiscono la decisione solo a volontà di risparmiare), fallì proprio per colpa dei Canedoli. Questi infatti, profittando della debolezza militare dell'A., provocarono un'improvvisa rivolta, che sfociò nell'arresto dell'A. stesso e dell'arcivescovo Niccolò Albergati. L'A., che proprio per i meriti acquisiti a Bologna aveva ottenuto il cappello cardinalizio - il 24 maggio 1426 era stato nominato cardinale prete del titolo di S. Cecilia in Trastevere - fu perciò costretto, una volta liberato, a ritornare a Roma, ove continuò tuttavia a godere della stima e della fiducia del pontefice.
Nel 1431, però, in seguito all'elezione al soglio pontificio del cardinale Condulmer, che assunse il nome di Eugenio IV, l'A. fu messo in disparte; anzi, quando rifiutò di firmare la bolla emanata dal papa il 12 nov. 1431, per sciogliere il concilio di Basilea, dovette addirittura fuggire da Roma, recandosi nella sua arcidiocesi di Arles, col proposito dichiarato di riordinarvi la vita religiosa del clero e dei fedeli, ma in realtà per sfuggire alla reazione del pontefice e per attendere una situazione più favorevole ai suoi piani e vantaggiosa per il suo prestigio.
Migliorati nel corso del 1434 i rapporti tra Eugenio IV ed i padri del concilio, l'A. si recò a Basilea, ove giunse il 21 maggio di quell'anno, diventandovi ben presto, per la sua eloquenza, la sua energia e l'indiscusso ascendente, il capo dell'opposizione al papa, specialmente per la spinosa questione del trasferimento della sede del concilio nella drammatica giornata del 7 maggio 1435. L'A., che era già stato nominato giudice della fede, per il concilio, il 24 sett. 1434 e poi, il 29 apr. 1435, vicecancelliere del concilio, si oppose vivacemente, con la maggioranza dei presenti, ai tentativi della minoranza (di cui però faceva parte il legato del pontefice) di riunire il concilio in una città italiana, riuscendo alla fine, il 5 dic. 1436, a far trionfare il suo punto di vista che voleva la riunione del concilio ad Avignone, nonostante le resistenze del papa e di molti cardinali (tuttavia sempre in minoranza nell'assemblea) e l'opposizione dei Bizantini, coi quali s'intessevano negoziati per l'unione delle due Chiese, greca e latina.
Eugenio IV reagì, rifiutando di accettare la decisione ispirata dall'A.; questi allora propose ed ottenne che gli fosse intimato un termine di sessanta giorni per obbedire al concilio e, fermo nella sua convinzione della superiorità di questo sul papa, reagì con estrema fermezza all'ordine di scioglimento del concilio stesso pronunciato dal papa il 18 sett. 1437, continuando i lavori e costringendo anzi il rappresentante di Eugenio IV, il cardinale Giuliano Cesarini, vescovo di Sabina, ad abbandonare il concilio il 9 genn. 1439.
L'attività dell'A. divenne allora infaticabile: ottenne la sospensione di Eugenio IV dalla dignità pontificale il 24 gennaio 1438 e poi, il 25giugno 1439, la sua deposizione. Quest'atto, gravissimo, trova la sua origine e spiegazione, oltre che nella eccitazione degli animi, nella sicura convinzione dell'A. che il concilio è senz'altro e sempre superiore al papa. E questo principio egli riuscì a far trionfare a Basilea, superando ogni ostacolo con la sua capacità dialettica, con la forza della sua dottrina e con il suo innegabile prestigio morale.
Non per questo egli riuscì a vincere l'opposizione di Eugenio IV, che, prima a Ferrara e poi a Firenze, aveva iniziato e continuato le trattative con la Chiesa bizantina, culminate poi nel decreto d'unione del 5 luglio del 1439; nell'opinione dell'A. si confermò allora sempre più il pensiero della necessità di procedere alla elezione di un nuovo pontefice. Pur essendo egli rimasto il solo, a Basilea, di tutti i componenti del collegio cardinalizio, costituì con gli altri prelati, tra cui l'arcivescovo di Tarantasia e dieci vescovi, il collegio elettorale del futuro pontefice. Riunito allora il conclave, l'A. patrocinò l'elezione di Amedeo VIII di Savoia, che usci eletto a terzo scrutinio il 5 nov. 1439.
Nell'elezione di Amedeo VIII l'A. credeva d'aver conciliato egregiamente le esigenze così politiche come spirituali. Il principe sabaudo, suocero del duca di Milano, per i suoi cospicui mezzi finanziari, per la sua indiscussa capacità ed abilità di governo, offriva motivo di sperare in un appoggio notevole, sul piano diplomatico, al concilio; d'altra parte la sua fama, certo non immeritata, di uomo colto e di spirito sinceramente religioso, faceva anche pensare alla possibilità di un'effettiva azione di riforma della Chiesa. Non va infine trascurata la circostanza che l'A., nativo di Bugey, era stato suddito appunto del duca Amedeo.
Eletto il nuovo papa, l'A. prodigò i suoi sforzi per guadagnargli seguaci, ma con esito poco felice: non fu possibile infatti smuovere dalla loro indifferenza, nonostante oscillazioni ed incertezze, nè Alberto d'Austria, nè Federico III, nuovo re dei Romani; lo stesso Carlo VII, propenso, sia pur con qualche perplessità, ad aderire a Felice V, ne fu in definitiva trattenuto dall'opposizione della Linguadoca. Alfonso V d'Aragona, che s'era mostrato anch'egli disposto ad accettare il nuovo pontefice, aderì ad Eugenio IV, quando questi gli riconobbe la conquista del Regno di Napoli (nell'aprile del 1443).
L'A. non riuscì a modificare la situazione neppure negli anni seguenti, fino alla morte di Eugenio IV (23 febbr. 1447) ed all'elezione di Niccolò V, con cui si ripresero, con nuovo spirito, le trattative di conciliazione, già precedentemente tentate ed interrotte più volte. Inoltre, la definitiva adesione di Federico III a Niccolò e l'espulsione da Basilea dei padri del concilio, costretti perciò a rifugiarsi a Losanna, avevano convinto l'A. dell'opportunità di discutere una composizione onorevole delle aspre contese che per decenni avevano diviso la Chiesa. Riuscì allora ad ottenere dalla condiscendenza di Niccolò V il condono per tutti coloro che avevano preso parte al concilio di Basilea, con conseguente mantenimento di dignità e benefici e la tranquilla e regolare conclusione del concilio di Basilea (accordo del 1° aprile 1449). In conseguenza di ciò, il 7 aprile Felice V si dimise da pontefice, il 19 aprile i padri riuniti a Losanna elessero, a loro volta, Tommaso Parentucelli (già da tempo Niccolò V) ed il 25 aprile decisero di sciogliersi ponendo fine al concilio. L'A., tornato nel luglio 1449 nella sua diocesi di Arles, riebbe da Niccolò V, il 19 dic. 1449, la sua dignità cardinalizia, ma morì qualche mese dopo, il 16 sett. 1450, a Salon (Bouches-du-Rhône); fu sepolto nella chiesa di Saint-Trophime ad Arles.
La fama di santità di cui l'A. era stato circondato in vita e la notizia di numerosi prodigi fecero della sua tomba un centro di culto, per cui già nel 1452 il consiglio di Arles sollecitò la Curia a introdurre il processo di beatificazione. Il 9 aprile 1527 Clemente VII gli riconosceva il titolo di beato.
Bibl.: La più importante monografia sull'A. è quella di G. Pérouse, Le cardinal Louis Aleman..., Paris 1904, con indicazione delle fonti, anche archivistiche, e della bibliografia precedente. Si vedano inoltre: N. Valois, Le pape et le Concile, voll. 2, Paris 1909, cfr. Indice, ma spec. II, pp. 55-59,180-185, 188-192, 333-335, 356-358 (assai importante); K. A. Fink, Martin V, und Bologna, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XXIII (1931-1932), pp. 183 s.; P. Partner, The papal State under Martin V, London 1958, pp. 56, 71, 89 s., 127 s., 132, 135 n., 211 ss., 218 ss., 237; Dict. d'Hist. et de Géogr. Eccls., II, coll. 86-88; Dict. de biographie française, II, coll. 168-170 (con molte Indicazioni bibliografiche); Encicl. Cattolica, I, coll. 745-747.