CONTI, Lotario
Nacque da Torquato duca di Poli e da Violante Farnese, figlia naturale di Ottavio duca di Parma, presumibilmente intorno alla metà del sec. XVI: le prime notizie risalgono al 1571, quando viene menzionato nel testamento del padre come erede prorata portione dei beni di famiglia insieme con i fratelli Carlo ed Appio. Come altri membri della sua stirpe, egli fu in special modo legato alla famiglia Farnese: in particolare, il cardinale Alessandro lo accolse, adolescente, nella sua corte e si preoccupò della sua educazione. Il C. intraprese temporaneamente la carriera militare e si recò, al pari di numerosi altri giovani nobili romani, nelle Fiandre al seguito delle armate del duca di Parma. Questo slancio bellicoso fu di assai breve durata: la scelta dell'abito talare del fratello Carlo e le superiori doti di combattente di Appio., con cui aveva inizialmente diviso l'avventura militare, lo convinsero a ritornare ìn.patria per curare la situazione patrimoniale del suo casato. Riallacciò immediatamente gli antichi legami, ponendosi al servizio del cardinal Farnese e ben introducendosi negli ambienti curiali. Sposò Clarice Orsini, che morì di parto nel luglio 1594: l'anno seguente passò a seconde nozze con Giulia Orsini di Bomarzo, da cui ebbe in dote 20.000scudi.
Al 1594 risale anche la missione del C. presso l'imperatore Rodolfo II: l'incarico gli venne conferito dal pontefice Clemente VIII Aldobrandini con una procedura insolita, dato che la S. Sede raramente utilizzava laici in tali mansioni.
Il papa, già nel 1592, aveva operato per la formazione di una lega antiturca e aveva intensificato tale azione l'anno seguente alle notizie di armamento dei Turchi inaugurando una vasta quanto falfimentare azione diplomatica presso la Spagna, i voivodi e la Repubblica di Venezia. Infine, la caduta di Giavarino (Györ) del 29 sett. 1594 nelle mani dei Turchi diede un decisivo impulso alle iniziative del pontefice per affrontare il problema del contenimento dell'avanzata ottomana. A tal fine la missione diplomatica segreta dei C. era stata preparata con alcuni brevi ed era considerata di sostegno alle disposizioni già fornite al nunzio residente a Praga. L'istruzione consegnata era estremamente esplicita: il C. doveva far presente che a Roma le cause dei rovesci della guerra d'Ungheria erano attribuite principalmente al "mal ordine" e alla "poca obbedienza" che regnavano nell'esercito cristiano; perciò, all'imperatore in prima persona spettava il compito di assumere il comando dell'armata e di condurre la guerra. Inoltre, egli doveva suggerire a corte la necessità di animare i capi militari con "la speranza dei premi et col timore del castigo" (Barb. lat. 5211, f. 74v) e far presente che il perseverare in una tattica attendista avrebbe potuto determinare la completa rovina degli Stati ereditari. Rodolfo II andava sollecitato affinché si recasse a Vienna dove molte ragioni invocavano la sua presenza: a questo proposito venivano sottolineate le divergenze di valutazione tra la S. Sede e Praga. Le scarse informazioni e le "false relazioni" sottoposte all'imperatore andavano senz'altro corrette con le notizie "d'huomini periti" che si avevano a Roma. Il C. doveva far considerare agli ambienti imperiali quanto Vienna fosse esposta ad un possibile attacco turco per l'incuria dimostrata nel mantenere efficienti la cinta delle mura e il sistema di vettovagliamento della città stessa. Tuttavia, nella missione vi erano aspetti politici che preoccupavano la Curia soprattutto per il fatto che un'immagine offuscata dell'imperatore avrebbe potuto compromettere la già difficile opera di cattolicizzazione della Boemia e dell'Ungheria: infatti, i cittadini "heretici" non avevano in gran simpatia Rodolfo II "si pur anco alcuni non s'allegrarano del dominio del Turco" (ibid., f. 78v) e le popolazioni, duramente tassate, non vedevano nemmeno garantita una seria protezione imperiale ai loro beni e ai loro territori minacciati dalla furia della guerra. In ultima istanza, si raccomandava di agire con la dovuta energia poiché "simili altri officii esposti forse troppo levemente non hanno partorito frutto alcuno" (ibid., f. 83v), di assicurare l'imperatore che il papa avrebbe moltiplicato gli sforzi diplomatici e inviato soldati e denaro "purché si vegga risolutione ardita" (ibid., f. 83).
La missione del C., contemporanea a quella di Gian Francesco Aldobrandini a Madrid, fu breve: partito nell'ottobre 1594 da Roma, nel dicembre vi era già di ritorno per raccogliere i complimenti formali del pontefice, apparentemente soddisfatto per l'esito del viaggio.
Ritornato dunque in Italia, si dedicò alle leve militari e al reperimento di truppe da inviare in soccorso dell'imperatore, in particolare, partecipò alla formazione dei corpi di spedizione destinati in Ungheria sotto il comando di Gian Francesco Aldobrandini e la luogotenenza di Camillo Capizucchi. In questo periodo la sua attività era ormai legata ai problemi militari: in occasione del conflitto tra Clemente VIII e Cesare d'Este per la devoluzione di Ferrara, sin dall'inizio fu impegnato nei preparativi militari delle truppe pontificie e si trovò insieme con il marchese della Comia a capo dei contingenti di cavalleria. La convenzione (13 genn. 1598) evitò l'inizio delle ostilità e non consentì al C. di "arrischiare pericolosissimamente la vita" per la S. Sede; si dovette accontentare di manifestare la sua dedizione curando le cerimonie di accoglienza per l'ingresso trionfale dei papa in Ferrara.
Da questo momento egli trascorse gran parte della sua esistenza tra Roma, Poli e la corte farnesiana di Parma, a cui lo legavano vincoli non solo di parentela ma di reciproca stima. Ranuccio Farnese lo inviò nel 1606 in Spagna dove rimase persei mesi.
Gli obiettivi della missione rimangono abbastanza oscuri e probabilmente gli argomenti da trattare alla corte di Madrid furono molteplici: innanzitutto, avrebbe dovuto adoperarsi nel tentativo, del resto fallito, di combinare il matrimonio tra Odoardo Farnese e Maria Maddalena d'Austria per garantire una discendenza maschile ai duchi di Parma; quindi, esprimere le preoccupazioni di Ranuccio circa l'aggressività del viceré spagnolo Fuentes che, dopo una lunga disputa, aveva già occupato Novara e far valere le ragioni del duca intorno ad un ventilato incameramento di Borgo Val di Taro.
La missione gli fruttò una provvigione annuale di 1.000 scudi da Filippo III, che riuscì particolarmente gradita al C., a Roma notoriamente "molto intricato de' debiti" (Urb. lat., f. 492), e una altrettanto lauta ricompensa da parte del duca di Parma. Nel 1619 era ancora impegnato alla corte dei Farnese dove venne nominato luogotenente generale con una provvigione di 1.500 scudi l'anno, di cui usufruì sino al 1622. Nel 1621 divenne maestro del Sacro Ospizio. Nel 1626 si adoperò nelle trattative. prima, e nei preparativi, successivamente per il matrimonio del duca Odoardo, figlio del defunto Ranuccio, con Margherita de' Medici; e così pure nello stesso anno affiancò il giovane duca che, pur avendo mitigato la politica puramente repressiva del padre nei confronti dei feudatari, ebbe a sostenere una lunga quanto sproporzionata contesa nel tentativo di far passare alla Camera ducale i feudi degli Sforza di Santa Fiora esistenti nello Stato parmense.
Nonostante i lunghi soggiorni presso i Farnese, il C. non mancò di compiere lavori, e opere pubbliche in Poli: ebbe gran parte nell'edificazione della chiesa di S. Pietro, in importanti opere di restauro del castello e nel miglioramento delle reti viarie ed idriche. Del resto, gli ultimi anni di vita li trascorse proprio a Poli (Roma), dove morì l'8 ottobre del 1635.
Nel testamento dispose lasciti per ognuno dei suoi quattordici figli, istituendo una primogenitura per Appio e nominando la consorte amministratrice dei patrimonio di famiglia. Per i tipi di Vincenzo Accolti, il C. fece stampare a Roma nel 1587 Dichiaratione del carro dell'universo..., una sorta di relazione galante di una festa romana assolutamente priva di interesse letterario.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vaticano, Nunziature diverse, 124, ff. 148, 165; 546, f. 462; 205, f. 87v; Fondo Borghese, III, 84d, cc. 175r-298r; IV, 93a, cc. 3r-100r; Bibl. Apost. Vaticana, Barb. lat. 5211, ff. 73-87; 5864, ff. 153-156v; Urb. lat., Avvisi, 1074, I, ff. 447v, 451v, 492, 505, 524v, 546v, 566, 568; II, ff. 35v, 121, 149v, 184, 206, 299v, 350; P. Paruta, Legazione di Roma, 1592-1595, a cura di G. De Leda, Venezia 1887, I, p. 294; II, pp. 462, 509; III, p. 58; G. Bentivoglio, Memorie e lettere, a cura di C. Panigada, Bari 1934, pp. 10, 139; J. de Olarra Garmendia-M. L. de Larramendi, Correspond. entre la nunciatura en España y la Santa Sede..., III, Roma 1963, pp. 21, 75, 142; A. Tassoni, Lettere, II, Roma-Bari 1978, pp. 258 s.; M. Dionigi, Geneal. di casa Conti, Parma 1663, pp. 14, 89, 92-94, 158; G. Cascioli, Memorie storiche di Poli, Roma 1896, pp. 154-159, 161-169, 172, 177, 189-192; V. Prinzivalli, La devoluzione di Ferrara alla S. Sede, Ferrara 1898, pp. 80, 91, 129 s.; U. Benassi, I natali e l'educaz. del duca Odoardo Farnese, in Arch. per le prov. Parmensi, n. s., IX (1909), pp. 188 s., 218, 222; Id., Per la storia politica farnesiana verso i feudatari: i feudi dei conti Sforza di Santa Fiora nel secolo XVII, in Boll. stor. Piacentino, XII (1917), p. 135; L. von Pastor, Storia dei Papi, XI, Roma 1958, pp. 205 s.; G. Moroni, Diz. di erudiz. stor-eccles., XVII, p. 79; XXIV, p. 144; XLI, pp. 188 s.; LXXV, p. 286; XCVII, pp. 196, 198.