LORETO (A. T., 24, 25, 26 bis)
Paese delle Marche (prov. di Ancona) che ha titolo di città dal 1586 (Sisto V), celebre in tutto il mondo cristiano per la custodia della Santa Casa di Nazaret. È tra i meno antichi centri urbani piceni, essendo sorto nel sec. XIII nel luogo del definitivo deposito della Santa Casa (per le discussioni circa la storicità della traslazione v. appresso) in una selva di lauri (lauretum) o nel predio di ricca recanatese (Laureta o Loreta). La cittadina, a 5 km. dal mare, è distesa da NE. a SO. su uno sprone, rapidamente saliente, delle colline subappenniniche alle quote successive di metri 104, 127, 155 e 180, tra le fertili piane del Musone e del Chienti.
La mole poderosa della basilica è, con le gigantesche e altissime absidi, volta all'Adriatico, e il corpo, la fronte, il campanile del Vanvitelli (metri 75), il palazzo apostolico e la monumentale piazza sono rivolti, invece, verso l'Appennino; in tale direzione sud occidentale si susseguono il corso Traiano Boccalini (i "Coronari"), la piazza dei Galli e l'ampia, diritta e ripida via di Montereale.
Dall'alto del campanile si ha una delle più larghe e belle visioni italiche: a E. l'Adriatico; a N. il Cònero che emerge repentinamente dal mare e lo scorcio delle tipiche colline osimane, culminanti nel M. della Crescia; a S. l'immensa ondulazione subappenninica e i giganteschi profili, a lungo nevosi, dei Sibillini.
Il territorio comunale di kmq. 17,65, che fino al 1861 fece parte della provincia di Macerata, è costituito di piane deltali e mediocri colline di sabbioni e argille plioceniche, con quote estreme di m. 5 e m. 180. In esso si trovano alcune sorgenti salso-iodiche e ferruginose (Spineto, Montesano, Orsino). La superficie agraria è di kmq. 16,58; fertilissima e intensivamente coltivata, produce uva, vini ricercati, grano e olio; notevole la coltivazione del gelso e delle piante da frutto. Speciale importanza hanno la bachicoltura, la filatura della seta, la tessitura, l'allevamento bovino, l'esportazione di pollame e uova, la fabbricazione di strumenti agricoli e di bollettame, le fornaci di laterizî; notevole il commercio d'oggetti di devozione.
La popolazione distribuita nel centro e in 6 frazioni, di cui le principali sono Montereale, Musone e Casette, era di 7797 ab. nel 1881, di 8033 nel 1901, di 6673 nel 1921, di 7056 nel censimento del 21 aprile 1931. La densità di 400 ab. per kmq. (cens. 1931) è più che tripla di quella del regno: notevolissima, in passato, l'emigrazione, specie verso l'America del Sud; una lieve corrente per l'Egitto. La stazione ferroviaria, sulla litoranea adriatica, è a 2 km. dal centro; e immediatamente a E. si trova il grande campo d'aviazione dei piani dell'Aspio. Degno di ricordo l'istituto per gli orfani degli aviatori.
Nel campo folkloristico è da ricordare l'antico costume d'accendere grandi fuochi (i "fuochi della Venuta"; focaracci o faôri), nella campagna lauretana e nel territorio delle provincie di Ancona e Macerata e più a sud, nella notte dal 9 al 10 dicembre, a ricordo del transito della Santa Casa (10 dicembre 1294).
Monumenti. - Il celebre santuario sorse intorno alla Santa Casa, in sostituzione di un'umile chiesetta, per volontà di Paolo II. La costruzione fu iniziata nel 1468 con forme di transizione dal gotico al Rinascimento, e condotta innanzi sotto la direzione di Marino di Marco Cedrino veneto, dal 1471, e di Giuliano da Maiano, dal 1476. Per incarico di Innocenzo VIII Baccio Pontelli fortificò la chiesa munendola di un cammino di ronda su beccatelli; il che le conferisce, specialmente nella parte absidale, una notevole impronta di originalità; tra il 1498 e il 1500 Giuliano da Sangallo voltò la cupola. In seguito Bramante (1519-1551), Andrea Sansovino (1513-1526), Antonio da Sangallo il Giovane (1531-1535) introdussero varie modificazioni al primitivo organismo costruttivo, accentuando i caratteri del Rinascimento. La facciata della basilica è opera di Giovanni Boccalini e fu condotta a termine da Lattanzio Ventura (1571-1587); s'adorna principalmente di tre mirabili porte di bronzo (1590-1610) dovute: la mediana ad Antonio Lombardi, quella nord a Tiburzio Vergelli in collaborazione con G. B. Vitale, quella sud ad Antonio Calcagni con l'aiuto di Tarquinio Jacometti e di Sebastiano Sebastiani. Il campanile fu costruito su disegno del Vanvitelli tra il 1750 e il 1754.
L'interno della basilica è ricco d'opere artistiche. La S. Casa ha un rivestimento architettonico di marmo con figurazioni relative alla vita della Vergine e statue di profeti e sibille, dovute ad Andrea Sansovino, Aurelio e Girolamo Lombardi, Raffaello da Montelupo, Baccio Bandinelli, Simone Mosca e altri; le porte bronzee furono lavorate dal Calcagni, dal Vergelli e da Ludovico e Girolamo Lombardi. L'altare interno della S. Casa, distrutto da un incendio nel 1921, fu ricostruito su disegno di Guido Cirilli.
Di grande interesse sono gli affreschi di Melozzo da Forlì con la collaborazione di Marco Palmezzano nella sagrestia di S. Marco, nella cui vòlta, divisa in otto spicchi, aleggiano con belli effetti di scorcio, otto figure di angeli recanti i simboli della Passione e sotto di essi posano altrettante figure di profeti contraddistinte dai versetti dei vaticinî; e gli affreschi di Luca Signorelli e dei suoi aiuti nella sagrestia detta "della Cura", esprimenti nella vòlta angeli musicanti, evangelisti e dottori della Chiesa e tutt'intorno nelle pareti le figure degli apostoli e sopra la porta la Conversione di S. Paolo. Questa sagrestia è adorna altresì di un lavabo marmoreo, fine opera di Benedetto da Maiano, e di armadî con belle tarsie del sanseverinate Domenico Indivini (fine sec. XV).
I portali delle quattro sagrestie sono ritenuti opera di Benedetto e di Giuliano da Maiano; erano adorni in origine di lunette in terracotta del sec. XVI, delle quali due soltanto sono conservate (S. Luca, S. Matteo).
Notevoli sono alcune opere di bronzo del sec. XVI che si trovano nella basilica: candelabri, cornucopie, ornamenti d'altare e in particolar modo il fonte battesimale, di Tiburzio Vergelli e dei suoi aiuti.
Tra le cappelle antiche va ricordata quella sontuosissima del duca Francesco Maria II d'Urbino, decorata di stucchi da Federico Brandani e di affreschi da Federico Zuccari, negli ultimi anni del sec. XVI.
Alla decorazione delle moderne cappelle delle Nazioni hanno lavorato gli architetti G. Sacconi e G. Cirilli e i pittori L. Seitz, B. Biagetti, M. Faustini, A. Gatti, ecc.; Cesare Maccari affrescò la grande cupola ispirandosi alle litanie lauretane.
Nell'aula del Tesoro, che ha il soffitto affrescato dal Pomarancio (1605-1610), sono conservati magnifici parati sacri e, unico resto dell'antico tesoro asportato dai Francesi, un'interessante statuetta bronzea di scuola limosina del sec. XIII.
Nella Piazza della Madonna è la statua in bronzo di Sisto V, di Antonio Calcagni, forse con la collaborazione di Tiburzio Vergelli e di altri; e l'elegante fontana eseguita su disegno di Carlo Maderno e di Giovanni Fontana tra il 1604 e il 1614, cui dieci anni dopo furono aggiunte le decorazioni bronzee dei fratelli Jacometti.
Il Palazzo apostolico, imponente costruzione che delimita per due lati la piazza (e secondo il primitivo progetto avrebbe dovuto chiuderla, ma il grandioso doppio porticato rimase incompiuto nel terzo lato) fu iniziato dal Sansovino, continuato da Antonio da Sangallo e dal Nerucci e terminato da G. Boccalini. Nell'interno del palazzo hanno sede il ricco archivio della S Casa che risale ai primi del'500, e varie importanti collezioni d'arte: quadri, arazzi, ceramiche pregevolissime.
Nella città altre opere degne di nota sono: la fontana "dei Galli" nella piazza omonima, commessa ai fratelli Jacometti nel secondo decennio del sec. XVII dal cardinale A. M. Gallo; la "porta Romana" costruita, per lo stesso cardinale, da Pompeo Floriani di Macerata e adorna di stemmi e di due statue del fiorentino Simone Cioli; infine la cinta di mura castellane, cominciata a costruire nel 1518 dall'architetto imolese Cristoforo Resse su disegni di Antonio da Sangallo e di Andrea Sansovino, e completata con l'inserimento di baluardi pentagonali nella prima metà del sec. XVII.
V. tavv. CXXVII-CXXX.
Storia. - La storia della città si confonde con quella della Santa Casa, il piccolo edificio racchiuso nel santuario. Una pia tradizione comune vuole che essa sia precisamente la casetta abitata a Nazaret da Maria Vergine, e che ivi la Vergine fosse salutata dall'angelo Gabriele nell'Annunciazione; nella notte dal 9 al 10 maggio 1291 la casetta sarebbe stata trasportata miracolosamente da Nazaret a Tersatto, presso Fiume; di là, il 10 dicembre 1294, sarebbe stata trasportata per eguale miracolo presso Recanati, in un luogo circondato da alberi e quindi alcuni mesi più tardi, presso la cima della collina attualmente occupata, e infine un centinaio di metri più in là della cima.
Questa pia tradizione, non imposta come oggetto di fede cattolica da alcun documento della Chiesa, e respinta decisamente da alcuni storici protestanti nel sec. XVI, fu cominciata ad esaminare criticamente anche da cattolici nel sec. XIX e il più notevole fu il conte Monaldo Leopardi padre di Giacomo. Ma solo nel secolo XX, e specialmente nei primi anni, si ebbero intense ricerche sulle basi storiche di questa tradizione, occasionate in parte da una comunicazione del gesuita H. Grisar al congresso cattolico di Monaco nel 1900. Nel dibattito alcuni si schierarono in favore della tradizione, altri, più numerosi e generalmente più autorevoli, si dichiararono avversi.
Costoro, fra altri argomenti, fanno rilevare che: gl'itinerarî di pellegrini che visitarono Nazaret prima del 1291 non fanno menzione di una casa addossata alla grotta dell'Annunciazione; in Palestina, per più secoli dopo il 1291, non si fa alcuna menzione della miracolosa traslazione o anche solo di una scomparsa della casetta; in Occidente le prime notizie in proposito sono inesplicabilmente tardive: ne parla per primo, e in maniera ancora non ben precisa, la Relatio Teramani (Pietro Giorgio Tolomei da Teramo che scrisse tra il 1465 e il 1473), e dopo di essa più nettamente Girolamo Angelita nella sua Lauretanae Virginis historia, presentata dall'autore a Clemente VII nel 1531; nel luogo attuale della Santa Casa esisteva, anche prima del 1291, una chiesa quae est in fundo Laureti donata ai monaci di Fonte Avellana nel 1194; alcuni dei documenti portati in favore della tradizione non sono dimostrativi, mentre altri (relazioni di pellegrinaggi, visite di personaggi illustri, ecc.) sono tardive composizioni apocrife.
I difensori della tradizione si richiamano specialmente alla sua diffusione presso i cattolici e ai favori che incontrò presso vescovi e papi.
La cittadina che sorse a poco a poco intorno alla Santa Casa fu detta in un primo tempo Santa Maria. Nel 1587 Sisto V la fece cingere di mura per difenderne il tesoro che andò sempre più crescendo nei secoli, finché nel 1797 fu in parte depredato da Napoleone I e in parte fu a lui stesso dato in pagamento dell'indennità imposta dal trattato di Tolentino.
Bibl.: E. Ricci, Le Marche, Torino 1928; G. Crocioni, Le Marche, Letteratura, arte, storia, Città di Castello 1914; D. Spadoni e altri, Annuario di "Esposizione marchigiana", Macerata 1905. - Sulla traslazione della Santa Casa di Loreto, v.: J. A. Vogel, De ecclesiis Recanatensi et Lauretana, voll. 2, Recanati 1859 (opera scritta nel 1809); M. Leopardi, La Santa Casa di Loreto, Lugano 1841. Sono favorevoli alla tradizione: A. Eschbach, La vérité sur le fait de Lorette, Parigi 1910; I. Rinieri, La santa casa di Loreto, voll. 3, Torino 1909-1911. Sono avversi alla tradizione: L. De Feis, La Santa Casa di Nazaret e il santuario di Loreto, Firenze 1905; 2ª ed. con aggiunte, ivi 1905; U. Chevalier, Notre-Dame de Lorette. Étude historique, Parigi 1906; Ch. de Smedt, in Analecta bollandiana, XXV (1906), p. 478 segg.; G. Hüffer, Loreto. Eine geschichts-kritische Untersuchung der Frage des Heil. Hauses, voll. 2, Münster in W. 1913-21; H. Leclerq, Lorette, in Dictionn. d'archéol. chrét. et de lit., IX, ii, Parigi 1930, coll. 2473-2511. Sui monumenti e le opere d'arte: A. Maggiori, Indicazioni al forestiere delle pitture, sculture, architetture e rarità d'ogni genere che si veggono oggi dentro la sacrosanta basilica di Loreto, ecc., Ancona 1824; G. Pisani Dossi, Guida del viaggiatore alla città di Loreto, Siena 1895; E. Facco de Lagarda, Loreto, Roma 1895; P. Gianuizzi, Le pitture di Luca Signorelli in Loreto, Cortona 1903; A. Colasanti, Loreto, Bergamo 1910; J. Faurax, Bibliographie Lorétaine sur la "Santa Casa di Loreto", Parigi 1913; F. Dal Monte, Il santuario di Loreto e le sue difese militari, Recanati 1919; L. Serra, Catalogo del Museo della S. Casa, Loreto s. a.; A. Rustici, Gli affreschi di Federico Zuccari a Loreto, in Rass. marchigiana, II (1923), pp. 133-44; F. Dal Monte, I disegni del Pomarancio per gli affreschi distrutti della cupola di Loreto, ibid., VIII (1929-30), pp. 41-56; B. Biagetti, L'opera di Melozzo da Forlì nella basilica di Loreto, ibid., VIII (1929-30), pp. 11-24; A. Patrignani, La Santa Casa di Loreto e la Dalmazia, in Arch. stor. per la Dalmazia, XIII (1932), pp. 158-175.