VIANI, Lorenzo
Pittore e scrittore, nato a Viareggio il I° novembre 1882, morto al Lido di Roma il 2 novembre 1936. Studiò all'Istituto di belle arti di Lucca, ma più fece da sé, girovagando e disegnando. Rivelatosi alla mostra dell'arte toscana (Firenze 1905), l'anno dopo si recò a Parigi, dove conobbe i postimpressionisti e i sintetisti, ed espose alla Comédie Humaine di Georges Petit e al Salon d'Automne. Tornò in patria per la guerra; dal 1918 espose ripetutamente a Venezia e altrove; ma specialmente in mostre individuali. Nel 1920 vinse il premio della Città di Venezia con La benedizione dei morti del mare (ora nel Palazzo podestarile di Viareggio). Nel 1922 espose alla Primaverile fiorentina la serie dei Lebbrosi, rievocante una tenebrosa leggenda medievale.
Un'arte, la sua, dove "la sopravalutazione di elementi illustrativi si è cristallizzata attorno al vero nocciolo della personalità dell'artista" (Carrà); dove le abbreviature lineari e coloristiche fanno di solito sentire meglio il concetto che il sentimento d'una vita umile ed elementare, e tuttavia esprimente talvolta, al disopra del ricordo dei sintetisti francesi, di Rembrandt (specialmente nei primi disegni) e, per un certo periodo, del Goya (La famiglia Sgarallino), una qualche suggestiva evocazione.
Opere del V. sono nelle gallerie d'arte moderna di Bologna, Faenza, Firenze, Milano, Novara, Torino, nel gabinetto delle stampe e dei disegni agli Uffizî, ecc. L'ultima opera sua è stata la decorazione di alcune aule del Collegio IV Novembre al Lido di Roma. È suo il disegno, in collaborazione con D. Rambelli, del monumento ai caduti in Viareggio.
Come scrittore il V. si fece conoscere tardi, con la biografia del poeta apuano Ceccardo Roccatagliata Ceccardi (Milano 1922); alla quale seguirono racconti, prose di viaggio, impressioni, ricordi (Ubriachi, ivi 1923; Giovannin senza paura, ivi 1925; Parigi, ivi 1925; I Vàgeri, ivi 1926; Angiò, uomo d'acqua, ivi 1928; Ritorno alla patria, ivi 1930; Il "Bava", Firenze 1932; Storie di umili titani, Roma 1934; Le chiavi nel pozzo, Firenze 1935, ecc.). Spirito avventuroso, romanticamente insofferente d'ogni limite e sosta e tuttavia nostalgico della vita casalinga, delle tradizioni paesane e della sua terra lucchese, il V. può considerarsi letterariamente all'incrocio del bozzettismo toscano dell'Ottocento col simbolismo dannunziano. E però, se tende al racconto picaresco, alla narrazione spregiudicata di vite e fatti umili e insieme straordinarî come a una sorta di rapsodia popolaresca dei "vàgeri", dei vagabondi, "gente d'onore e di rispetto"; in verità il suo amore per il particolare e per la parola in sé, la sua sensualità visiva lo portano a isolare nel racconto le figure dalle vicende, e l'aspetto fisico di codeste figure dalla loro psicologia, e quindi a ridurre quel bozzettismo a sensazione, a macchia o grumo di colore. Così come lo portano a mescolare alla lingua il vernacolo e il gergo, non già, al modo dei bozzettisti e naturalisti, per studio di fedeltà al vero, ma, come il D'Annunzio spesso usa con gli arcaismi, per ragioni di allitterazione e di risalto verbale: con frequente effetto, peraltro, di oscurità. Ma singole figure o "maschere" sono tuttavia rese dal V. con scorci vigorosi, e con sentimento poetico del dolore e delle passioni umane.
Bibl.: Mostra V., Lucca 1921 (con discorso di L. Bistolfi); Mostra V., Milano 1929 (con scritti di M. Sarfatti, F. Ciarlantini e L. Bistolfi); Mostra V., Viareggio 1930 (con pref. del V.); A. M. Comanducci, I pittori it. dell'Ottocento, Milano 1934; Augustea, nov. 1926 (n. dedicato al V.). - Sullo scrittore cfr.: U. Ojetti, in Corr. d. Sera, 29 luglio 1922 e 27 luglio 1924; G. Ravegnani, I contemp., Torino 1930; A. Panzini, in Corr. d. sera, 2 agosto 1935.