RUSIO (Rucius), Lorenzo
RUSIO (Rucius), Lorenzo. – Nacque a Roma nella seconda metà del XIII secolo in data sconosciuta. Di lui non possediamo notizie certe e i dati biografici vanno desunti da quanto egli stesso riferisce nel suo testo, che fu uno dei più importanti trattati di mascalcia del Medioevo.
La stessa denominazione cognominale è oscillante nella forma e non può essere facilmente precisata. Alcuni autori identificano la famiglia «Rusio» (forma prevalente nei manoscritti) con la casata dei Roscio, che avrebbe origini beneventane, ma non ci sono elementi attendibili che sostengano tale asserzione; né sono di aiuto le molte varianti fornite dai codici (alcune evidentemente paretimologiche): Rosso, Ronçinu, Ronzino e così via.
Rusio dedicò il suo trattato «domino N. S. Adriani diacono cardinali», definendosi nell’occasione «Laurentius dictus Rucius, marescalcus de Urbe, familiarium vestrorum minimus»; contestualmente rivolse al prelato una «recommandationis instantia» e assicurò «perpetuus famulatus». Si tratta di Napoleone Orsini (1260 ca.-1342), nipote di Niccolò III e cardinale diacono di S. Adriano al Foro dal 1288, protagonista nel 1306 dell’elezione di Clemente V. Da allora in poi Orsini non fu più stabilmente a Roma e, dato che Rusio menziona una terribile epidemia occorsa in città nel 1301 – che avrebbe causato la morte di più di 1000 cavalli fra i quali 50 appartenenti alle scuderia curate dallo stesso Rusio –, la stesura del trattato può essere attendibilmente posta tra il 1302 e il 1306.
Poiché a Orsini furono imputate, a Roma, gravi responsabilità per lo spostamento della sede del papato in Francia, appare improbabile che Rusio rivendicasse, in quel difficile contesto, la sua familiarità con un personaggio ormai debole sulla scena romana.
Non sembra esserci dubbio sul fatto che Rusio abbia esercitato effettivamente l’arte del maniscalco: descrive sintomi e patologie in modo accurato, frutto di esperienza diretta (si vedano i capitoli dedicati alle malattie del piede o alle lesioni determinate da imbrigliature o da sistemi di contenzione traumatizzanti); anche i riferimenti alla preparazione di alcuni medicamenti sono ricollegabili alla pratica. Resta aperto invece il problema della lingua in cui Rusio compose il trattato, pervenutoci sia in latino sia in volgare. Vicina a quella originaria potrebbe essere la redazione latina predisposta da Luigi Barbieri per l’edizione Delprato del 1867 e tratta, a suo dire, da un non meglio identificato «codice del secolo XIV di minutissima lettera, ma d’assai buona e genuina lezione» (p. VII). Che la lingua originaria fosse il latino sembra assai probabile, dato che l’opera venne dedicata a un esponente autorevole della Curia romana; non c’è ragione di pensare che un testo originariamente in volgare sia stato poi tradotto in latino ai fini della dedica (o, peggio, per destinarla a chi ne avrebbe fatto effettivamente uso). Del resto, la posizione sociale di Rusio non esclude affatto una conoscenza del latino da parte sua. È noto infatti che i maniscalchi occupavano posizioni diverse nella scala sociale, e alcuni di loro avevano cognizioni di grammatica (e quindi un buon livello culturale) come nel caso del maniscalco fiorentino Dino di Piero (di poco più tardo del Rusio). Del resto, si trattava pur sempre di un’opera scientifica, per la quale il latino era la norma.
La diffusione in volgare è indizio comunque del successo pratico del trattato e ne sottolinea la circolazione sul territorio nazionale. Non mancarono tentativi di imitazione: il più famoso fu il trattato di mascalcia di Bonifacio di Calabria, evanescente figura di maniscalco vissuto alla corte di Carlo I d’Angiò (lo afferma lui stesso nel prologo), sul quale non abbiamo riscontri documentali. Le differenze tra i due trattati sono minime e più volte è stato anzi posto il problema di quale fosse l’archetipo: ma la citazione dell’epizoozia romana del 1301 (difficilmente registrabile in quei termini da un autore calabrese) fa propendere per l’ipotesi che sia stato Bonifacio a copiare Rusio. Inoltre nel trattato di Bonifacio sono citate alcune erbe calabresi non menzionate dal testo di Rusio, sì da far pensare ad aggiunte successive. È anche sostenibile che Bonifacio abbia tradotto il trattato di Rusio in greco, per l’uso pratico nell’area grecofona della Calabria settentrionale e che questi esemplari siano andati perduti.
Il volgarizzamento del trattato di Rusio potrebbe essere avvenuto a opera di frate Antonio da Barletta. Di questa traduzione conosciamo a oggi quattro codici di cui sembra certa la fonte comune. Uno è conservato a Parma, Biblioteca Palatina, Parm. 315, e un secondo – considerato il più antico dei quattro e presumibilmente il più vicino all’originale – a Londra (British Library, Add. 22824); quest’ultimo proviene dal fondo Ercolani della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna (come riferisce Delprato, 1867). Anche il terzo codice (Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, 1586) e il quarto (Pavia, Biblioteca universitaria, Aldini 532) mostrano caratteri di forte aderenza del testo al codice conservato a Londra.
Fonti e Bibl.: G.B. Ercolani, Ricerche storico-analitiche sugli scrittori di veterinaria, I, Torino 1851, pp. 386-392; L. Rusio, La mascalcia di L. R. Volgarizzamento del secolo XIV..., a cura di P. Delprato, testo latino a cura di L. Barbieri, Bologna 1867; L.M. Moulé, Histoire de la médicine vétérinaire au Moyen Age (476-1500), in Histoire de la médicine vétérinarie, Paris 1891-1911, pp. 35-37; E. Narducci, Il trattato di L. R. scritto nel sec. XIII in vernacolo, in Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei. Rendiconti, classe di scienze morali, storiche e filologiche, I (1892), pp. 432-434; G. De Gregorio, Notizia di un trattato di mascalcia in dialetto siciliano del secolo XIV, con cui si dimostra pure che Giordano Ruffo è il fonte di L. R., in Romania, XXXIII (1904), pp. 368-386; F. Smith, The early history of veterinary literature and its British development, in The journal of comparative pathology and therapeutics, XXVI (1913), p. 294; G. Braun, Della Mascalcia di L. R., in Archivio glottologico italiano, XVII (1914), pp. 543-558; A. Sorbelli, I manoscritti Ercolani, in L’Archiginnasio, IX (1914), pp. 29-37; G. Bertoni, Notizie sugli amanuensi degli Estensi nel Quattrocento, in Archivum Romanicum, II (1918), pp. 29-51; L. Schnier, Die Pferdeheilkunde des Laurentius Rusius, Berlin 1937; Y. Poulle-Drieux, L’hippiatrie dans l’occident latin du XIII au XV siècle, in Médecine humaine et véterinaire à la fin du moyen âge, a cura di Y. Polle-Drieux - J.M. Dureau-Lapeyssonie, Paris 1966, pp. 9-169 passim; D. Trolli, Hippiatria. Due trattati emiliani di mascalcia del sec. XV, Parma 1983, pp. 8, 251; M. Fanti, I libri manoscritti di Giovan Battista Ercolani nella Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, in Obiettivi e documenti veterinari, VII (1986), pp. 48-49; M. Aprile, La mascalcia di Antonio da Barletta, volgarizzamento quattrocentesco da L. R., tesi di laurea, Università di Lecce, a.a. 1988-89; D. Trolli, Studi su antichi trattati di veterinaria, Parma 1990, pp. 69-80; L. Brunori Cianti - L. Cianti, La pratica della veterinaria nei codici medievali di mascalcia, Bologna 1993, pp. 84-86; E. Bernini - A.E. Frassanito, Censimento dei manoscritti di mascalcia, tesi di laurea, Università di Lecce, a.a. 1995-96; L. Brunori Cianti, Testo e immagine nei codici di mascalcia italiani dal XIII al XV secolo, in Rivista di storia della miniatura, 1996-1997, n. 1-2, pp. 249-255; Ead., Primo contributo per un censimento dei manoscritti di mascalcia conservati nelle biblioteche italiane, in Annali della Sanità pubblica, n.s., II (1997), pp. 125-132; V. Curigliano, La mascalcia di Antonio da Barletta, tesi di laurea, Università di Lecce, a.a. 1997-98; L. Aurigemma, La mascalcia di L. R. nel volgarizzamento del codice Angelicano V.3.14, Alessandria 1998; R. Gualdo, Il lessico della mascalcia nei primi secoli, in Le solidarietà. La cultura materiale in linguistica e in antropologia. Atti del Seminario, Lecce... 1996, a cura di S. D’Onofrio - R. Gualdo, Galatina 1998, pp. 135-159 passim; L. Cianti, Dal Liber marescalciae equorum di L. R. a il Perfetto Boaro: elementi medievali nella terapia veterinaria del XVIII secolo, in Atti del III Convegno nazionale di storia delle medicina veterinaria, Brescia 2001 pp. 61-66; A. Paravicini Bagliani, Bonifacio VIII, Roma-Bari 2003, p. 54; M.A. Causati Vanni, Il De medicina equorum ovvero l’arte di curare i cavalli, in 35th International Congress of the world Association for the history of veterinary medicine, Grugliasco... 2004, a cura di A. Veggetti et al., Brescia 2005, pp. 129-133; M. Mousnier, Les animaux malades en Europe occidentale (VIe-XIXe siècle), in Cahiers de recherche médiévale et humanistes, 2005, http://crm.revues. org/2751 (18 maggio 2017); Y. Poulle-Drieux, La médecine des chevaux ou “maréchalerie” dans l’Occident latin au moyen-âge, in Bulletin de la Societé d’histoire de la médecine et des sciences vétérinaires, 2007, n. 7, pp. 4-25; A. Coco - R. Gualdo, Cortesia e cavalleria. La tradizione ippiatrica in volgare nelle corti italiane tra Trecento e Quattrocento, in I saperi nelle corti. Knowledge of the courts, Firenze 2008, pp. 141, 146, 149 s., 158, 160; M. Aprile, L’ippiatria tra l’Antichità e il Medioevo. La trasmissione dei testi, in La veterinaria antica e medievale. Testi greci, latini, arabi e romanzi a cura di V. Ortoleva - M.R. Petrigna, Atti del II Convegno internazionale, Catania... 2007, Lugano 2009, pp. 331 s.; CRVB, Catalogue of Rare Veterinary Books & Allied Subjects in Animal Husbandry della Michigan State University Library, http://digital.lib.msu.edu/projects/vetmed/html/ catalog_pages/ms.html#ms29 (18 maggio 2017).