PUCCI, Lorenzo
PUCCI, Lorenzo. – Nacque a Firenze il 10 agosto 1458 da Antonio di Puccio e dalla sua prima moglie, Maddalena di Betto di Giuliano Gini.
Apparteneva a una famiglia tradizionalmente legata ai Medici, della cui protezione si valse largamente durante tutta la sua vita. A partire dall’anno accademico 1474-75 studiò all’Università di Pisa, dove si laureò in diritto civile nel 1478; per i due anni successivi fu lettore di Istituzioni e contemporaneamente proseguì gli studi di diritto canonico, poiché negli anni 1480-82 risulta lettore di tale disciplina.
Nell’ottobre del 1479 gli vennero conferiti due benefici ecclesiastici nella diocesi di Arezzo. Nel 1481 divenne canonico della cattedrale di Firenze, mentre nel 1491 nell’ambito della stessa chiesa, acquisì la dignità di sottodecano; nel 1508 divenne canonico della basilica di S. Lorenzo. Questi furono i primi di una lunga serie di benefici ecclesiastici, sia semplici sia con cura d’anime, attribuiti a Pucci, di cui è difficile dar conto, anche a causa del frequente ricorso alla resignatio in favorem. Nel febbraio del 1481 il governo fiorentino avanzò la sua candidatura come amministratore dell’arcivescovato di Pisa, rimasto vacante per il coinvolgimento del titolare, Francesco Salviati, nella congiura dei Pazzi, ma poi si dovette accettare la nomina di Raffaele Sansoni Riario, voluta dal papa.
Dopo gli anni universitari Pucci si trasferì a Roma per intraprendere la carriera curiale, valendosi, oltre che della protezione dei Medici anche della parentela acquisita con Girolama Farnese (che nel 1483 aveva sposato suo fratello Puccio), sorella di Giulia, la favorita del potente cardinale Rodrigo Borgia. A Roma risulta presente dal 7 aprile 1484 quando cercò di ottenere il posto di auditore della Camera pontificia (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, 39, 131). In questa occasione non ebbe successo, ma di lì a poco iniziò ad acquisire numerosi uffici nell’amministrazione pontificia, soprattutto della categoria dei ‘vacabili’, l’acquisto dei quali richiedeva inizialmente esborsi di denaro, ma poi garantiva un reddito sicuro (per la sua carriera in Curia, iniziata il 14 ottobre 1484 con l’ufficio di taxator litterarum apostolicarum, si rimanda a von Hofmann, 1914, ad indices).
Fino alla caduta del regime mediceo, nel 1494, i Medici si valsero talvolta di Pucci per missioni riservate: per esempio, dal 23 luglio all’11 agosto 1486 fu inviato da Lorenzo il Magnifico a presenziare alle ultime fasi delle trattative di pace fra papa Innocenzo VIII e re Ferrante d’Aragona, a conclusione della cosiddetta congiura dei baroni. Il governo fiorentino infatti, benché ufficialmente alleato con il re, non aveva voluto mandare un suo rappresentante, per non essere costretto a prendere una posizione troppo netta. Di nuovo un ruolo non ufficiale svolse nell’autunno del 1494, come mediatore fra papa Alessandro VI e Piero de’ Medici, per un’alleanza difensiva in vista della discesa in Italia di Carlo VIII re di Francia, ma il precipitare degli avvenimenti rese vane le trattative. Dopo la caduta del regime mediceo, Pucci partecipò a Roma a riunioni segrete per iniziative diplomatico-militari in favore dei Medici. In conseguenza di una di queste, il fratellastro Giannozzo nel 1497 fu condannato a morte dal governo antimediceo allora in carica a Firenze.
Il 5 febbraio 1509 Pucci fu designato come coadiutore di Niccolò Pandolfini, vescovo di Pistoia, diocesi di cui Pucci divenne titolare per pochi mesi nel 1518 e che poi cedette al nipote Antonio. Questo fu il primo di una lunga serie di incarichi diocesani che egli ricoprì senza muoversi da Roma, trattandone le questioni per via indiretta e traendone pensioni e propine. Nel marzo del 1511 ricevette l’incarico di datario apostolico, funzionario di vertice della complessa gerarchia di ufficiali pontifici coinvolti nella collazione dei benefici ecclesiastici e nella vendita degli uffici vacabili. In questo ruolo, sfruttando anche la sua notevole preparazione in diritto canonico, si adoperò per favorire la carriera ecclesiastica del nipote Antonio Pucci e di altri congiunti. In materia di collazione dei benefici ecclesiastici gli viene attribuita anche la stesura di un trattato (Negri, 1722, pp. 379 s.).
In breve Pucci divenne uno degli uomini più influenti della Curia e l’intermediario privilegiato fra il papa e il governo fiorentino, come fu evidente in occasione del cosiddetto concilio gallicano, tenuto a Pisa nel 1511-12. In quel periodo Pucci si recò più volte a Firenze per indurre il governo fiorentino a negare il proprio territorio come sede del concilio e poi per trattare la liberazione della città dall’interdetto fulminato nel settembre del 1511; infine, nel luglio 1512, comparve in via ufficiale davanti al governo fiorentino per indurlo ad abbandonare l’alleanza con il re di Francia e aderire alla Lega santa. Il tentativo non ebbe successo, ma di lì a poco il sacco di Prato (29 agosto 1512) indusse il ceto dirigente fiorentino a mutare precipitosamente orientamenti politici, accettando di riammettere i Medici. Questi ultimi, entrati a Firenze ai primi di settembre del 1512 dopo diciotto anni di esilio, rimasero per qualche giorno incerti sulle decisioni da prendere; allora Pucci, su sollecitazione del papa, scrisse una lettera al cardinale Giovanni de’ Medici per indurlo ad approfittare della «felicissima occasione, la qual mille anni non gli ritornerà mai più» per rendere stabile e duraturo il potere della sua famiglia in città e fare di Firenze un alleato fedele e affidabile della S. Sede (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, 103, 101).
Alla morte di Giulio II, Pucci ne fu uno degli esecutori testamentari e si occupò delle convenzioni con Michelangelo per il completamento del monumento funebre del papa; allo stesso artista Pucci si rivolse a più riprese per ottenere un disegno per la facciata del palazzo che si stava facendo costruire a Roma, fuori dalla porta del Torrione (il palazzo, venduto nel 1566 dai suoi eredi, divenne sede del S. Uffizio).
Quando il cardinale Giovanni de’ Medici fu eletto papa con il nome di Leone X, l’influenza di Pucci in Curia crebbe ulteriormente: fu eletto cardinale nel concistoro del 23 settembre 1513 con il titolo dei Quattro Santi Coronati e il 28 novembre dello stesso anno gli fu conferita una pensione di 500 ducati annui; nel 1524 optò per l’ordine dei cardinali vescovi e per la sede suburbicaria di Albano, poi mutata in quella di Palestrina, ma continuò a essere designato negli atti e documenti del periodo con il titolo più antico, spesso abbreviato in Santiquattro.
In questo periodo alla sequela di benefici ecclesiastici si aggiunsero incarichi di amministratore di varie diocesi. Nel novembre-dicembre del 1515 accompagnò papa Leone a Bologna, per incontrare il re di Francia Francesco I; principalmente a Pucci, per la parte pontificia, fu affidata la discussione sulle questioni politiche (abolizione della Prammatica sanzione e in compenso la rinuncia papale a Modena e Reggio, che erano state occupate al tempo di Giulio II) e in seguito la stesura del testo finale.
A Pucci, sulla scorta di Francesco Guicciardini (La storia d’Italia, 1919, p. 216), viene addebitata la maggiore responsabilità dell’uso spregiudicato delle indulgenze, che assunse aspetti particolarmente odiosi in alcuni territori tedeschi e suscitò come reazione la pubblicazione delle 95 tesi da parte di Martino Lutero e l’inizio della riforma protestante. Nel 1520 fu tra i fondatori dell’Ordine dei Cavalieri di San Pietro (Gregorovius, 1876, p. 254), i cui titoli di cavaliere venivano venduti per finanziare lo sfruttamento delle miniere di Tolfa; acquistò infatti otto cavalierati per i suoi nipoti, ricevendo in cambio quote della società che gestiva le miniere.
Il 28 settembre 1520 Pucci acquisì l’importantissima carica di penitenziere maggiore, per la quale sborsò alle casse pontificie 25.000 ducati, credito passato poi a nome del nipote Antonio, cui cedette la carica il 1° ottobre 1529. La Penitenzieria, uno dei principali tribunali pontifici, aveva competenza specifica sulla concessione di grazie, dispense e indulgenze e in tale carica nel 1525 Pucci venne a scontrarsi con Guicciardini, allora governatore di Modena, per atti esecutivi o censure da quest’ultimo comminate contro chierici e sacerdoti, sui quali Pucci reclamava la propria competenza esclusiva (Prodi, 1982, p. 227).
Almeno dal 1515 in poi Pucci fu anche il supervisore delle minute dei brevi pontifici. Il suo potere subì una battuta d’arresto durante il breve pontificato di Adriano VI (1522-23): contro Pucci si erano già in precedenza levate molte accuse di peculato e malversazione, soprattutto da parte del cardinale Francesco Soderini e della sua cerchia, cui il papa sembrava propenso a dare seguito (Giovio, 1557, c. 129r), ma la protezione del cardinale Giulio de’ Medici e la precoce morte del papa le resero prive di conseguenze. Con l’elezione al pontificato dello stesso cardinale Medici, con il nome di Clemente VII, Pucci recuperò tutta la propria influenza e si dette alacremente a sostenere le iniziative del papa per aumentare le entrate pontificie: dal 1526 investì forti somme nel Monte della Fede, creato proprio in tale anno per finanziare la guerra contro i turchi; alla sua morte Pucci vantava a vario titolo nei confronti del pontefice e della Camera apostolica ingenti crediti; per questo motivo, oltre che in segno di devozione, fece di papa Clemente VII il principale fra i suoi esecutori testamentari.
Con papa Clemente VII Pucci condivise i giorni di prigionia in Castel Sant’Angelo durante il sacco di Roma del 1527 e contribuì personalmente con 18.000 fiorini d’oro al pagamento del riscatto imposto al pontefice dal principe di Orange Filiberto di Chalons. Fra gli incarichi più importanti affidatigli da Clemente VII vi furono la partecipazione alla Commissione per la riforma dei costumi del clero, insediata il 21 novembre 1524, e le trattative per la concessione del divorzio al re Edoardo VIII d’Inghilterra, il cui fallimento portò alla formazione della Chiesa nazionale anglicana. Fu anche cardinale protettore della Chiesa di Polonia, dell’Ordine domenicano e viceprotettore dei serviti.
Morì a Roma il 18 settembre 1531 «a hore 3 di notte» (Archivio di Stato di Firenze, Riccardi, 609, c. 150) e venne sepolto nella basilica di S. Maria sopra Minerva, presso la tomba di papa Leone X.
Ebbe rapporti con molti artisti e letterati del suo tempo; oltre a Michelangelo, Raffaello, cui commissionò la pala d’altare dedicata all’Estasi di santa Cecilia e destinata alla chiesa di S. Giovanni in Monte di Bologna; Rosso Fiorentino (Giovanni Battista di Iacopo), che eseguì per lui l’arme dei Pucci sopra la porta della cappella di famiglia nella chiesa fiorentina della Ss. Annunziata; Perin del Vaga (Pietro Bonaccorsi), cui fece affrescare una cappella nella chiesa romana della Trinità dei Monti; il Parmigianino (Francesco Mazzola), autore di un ritratto di Pucci in veste di penitenziere per molto tempo attribuito a Sebastiano del Piombo (Sebastiano Luciani). Fra i letterati, oltre a Pietro Bembo e a Iacopo Sadoleto, con i quali condivise il lavoro nella Segreteria domestica di papa Leone X, e a Paolo Bombace, segretario particolare di Pucci fino al 1527, si ricordano principalmente: Erasmo da Rotterdam, che gli dedicò le Annotazioni sulle opere di S. Cipriano, stampate nel 1519, e Lorenzo Davidico (1513-1574).
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