PRIULI, Lorenzo
PRIULI, Lorenzo. – Secondo dei sei figli maschi di Alvise di Niccolò Priuli – una casa nuova quella dei Priuli, affermatasi dopo il 1297; ed è il ramo di S. Stae quello d’appartenenza di Alvise e di suo padre – e di Chiara di Giacomo Lion, nacque a Venezia nel 1490 circa.
Dopo l’applicazione diligente allo studio, grazie alla quale padroneggiò il latino, si applicò al greco, sfiorò anche la teologia e la filosofia, è la politica – nella quale suo padre Alvise si era già distinto e continuava a distinguersi: senatore, del Consiglio dei dieci, savio all’Esazione, governatore alle Entrate, consigliere ducale, savio di Terraferma – che attende Priuli. Fu anticipato, rispetto ai 25 anni richiesti, il suo ingresso in Maggior Consiglio, figurando tra i 46 patrizi ventenni «rimasti alla balla d’oro» il 4 dicembre 1510. Cominciò così la sua lunga frequentazione di Palazzo Ducale. E, a partire dal 1516, Priuli fu tra i votati per questa o quella carica, ma non a sufficienza perché diventasse avogador straordinario di Comun, ambasciatore in Inghilterra, «orator» in Ungheria, provveditor al fisco.
Fu finalmente l’11 novembre 1522 che venne designato oratore al re di Inghilterra, al posto di Gian Antonio Venier, che alla carica si era sottratto. Subentrò Priuli, «homo studente et zovene», annota Marino Sanudo, da un lato riconoscendone la preparazione culturale, dall’altro, con riferimento all’età, quasi sottintendendo che non era politicamente maturo. In attesa della partenza, fu concessa a Priuli la presenza in Senato quale «orator», senza metter «balota», senza possibilità di voto. «Verà in vita soa […] in pregadi», così Sanudo l’11 luglio 1523, visto che di mandar «orator in Anglia» non c’era alcuna intenzione. In effetti, il 25 agosto, «asolto» Priuli «di la legatione» e nel contempo – non senza implicita soddisfazione di Sanudo – privato dell’accesso al Senato per lui frequentabile solo sinché «orator» in carica. Ma fu riammesso, di lì a poco, alla frequentazione, senza diritto di voto, del Senato, una volta eletto, con Andrea Navagero, il 10 ottobre, «ambassador all’imperator» Carlo V.
Riluttanti però i due a partire, per «causa di guerra». Alla fine di giugno del 1524 la partenza fu loro intimata, sotto pena d’immediata sostituzione con relativa privazione, per quattro anni, di «ofici, benefici, regimenti». A questo punto i due furono costretti a muoversi in luglio. Priuli fu bloccato a Parma – mentre il collega si portò a Pisa – da doppia terzana; e la peste è riscontrabile tanto a Parma quanto a Genova dove i due si sarebbero dovuti imbarcare, ma esitavano. Sicché – quando, il 27 febbraio 1525, il governo assicurò il loro arrivo a Carlo V a testimoniargli la buona volontà di Venezia nei suoi confronti – non erano ancora salpati. Solo il 6 aprile si imbarcarono a Sestri e, toccando la Corsica, sbarcarono a «Palamosa», donde, via terra, raggiunsero Barcellona il 1° maggio. Seguì, il 7, l’arrivo a Madrid. Di qui lo spostamento nei pressi di Toledo, ad attendere l’arrivo di Carlo V. Almeno venti giorni d’attesa, sinché, l’11 giugno, fu loro concesso l’ingresso solenne, seguito, il 13, dall’udienza, nella quale toccò a Priuli far «la oration latina molto elegante». La Repubblica, con il cerimonioso eloquio di Priuli, tentava di attutire una situazione, dopo la battaglia di Pavia, pesante, omaggiando il vincitore e, nel contempo, mantenendo la propria dignità. Fatto sta – e a Priuli e al collega ciò non sfuggiva – che Carlo V riteneva l’intera Italia «soa», volendo «tenir» la penisola «in pace», ossia saldamente in sua mano. Altra cosa la «pace» nell’accezione veneziana. Quanto al «gran canzellier», il marchese di Gattinara, come informano i due il 28 luglio, questi consigliava «da vero italian» alla Serenissima l’accordo totale «con Cesare» per «tenir Italia in pace», all’uopo affrettandosi «a meter man al suo thesoro» offrendo all’imperatore 120.000 ducati.
Subentrato Navagero quale «orator» presso Carlo V a Gasparo Contarini, è con questi che Priuli – gratificato con il donativo di 200 «scudi» e con il conferimento del cavalierato il cui titolo d’ora in poi accompagnerà il suo nome, passando per Madrid dove fece «riverenza» al re di Francia ivi prigioniero, Saragozza, Perpignan, Lione, dove omaggiò la reggente, Torino, Milano –, partito l’11 agosto, rientrò a Venezia presentandosi, il 14 novembre, in Collegio. Di nuovo presente a Palazzo Ducale, Priuli ottenne voti per questa o quella carica – di savio di Terraferma, di ambasciatore straordinario al re cristianissimo, di savio alle Acque, di ambasciatore in Inghilterra, di «orator» al duca di Ferrara – senza però essere eletto. In compenso, non mancò di partecipare alle cerimonie pubbliche e religiose e alla scorta di personaggi di riguardo, ora «in veludo cremexin», ora con «manto di restagno d’oro». Fu dei «zentilhomeni de conto» commensali del cardinal Marino Grimani nella sontuosa cena da lui offerta nel suo palazzo di S. Maria Formosa, l’8 marzo 1528.
Prova, altresì, del suo prestigio nella Venezia del tempo sono le nozze, nel 1526, con Zilia, figlia dell’influente patrizio Marco Dandolo, dalla quale avrà un figlio, Giovanni che, sposandosi con Isabella Giustinian, assicurerà la discendenza maschile alla famiglia, e tre figlie, una destinata al velo, le altre due accasate con patrizi. Stando alla condizione di decima da lui sottoscritta il 30 agosto 1538, abitava a campo S. Polo, era proprietario di immobili, botteghe, magazzini, modesti appartamenti affittati e di campi a Mira, Arquà e in Polesine, sì da poter contare sulla rendita annua di oltre 433 ducati. Quel che bastava per non avere crucci economici e per attendere con una certa serenità all’impegno pubblico. Il fatto poi che nel gennaio 1527 il Consiglio dei dieci lo proponesse, con Gasparo Contarini, alla valutazione del Libro della origine delli volgari proverbi (Venezia 1526; e, in edizione recente, Milano 2007) di Alvise Cinzio de’ Fabrizi – denunciato dagli osservanti di S. Francesco della Vigna, urtati dal poco riguardo riserbato ai francescani con le «gran tasche» rigonfie d’«oro» di contro al «precetto» del loro santo –, è indice della fama di competente in materia religiosa di cui godeva Priuli. Il quale, al pari di Contarini, non si lasciò impressionare dallo strepitare degli osservanti. Nel Libro non riscontrò alcunché di particolarmente empio. D’altronde, era dedicato a Clemente VII. Se poi il testo sparì dalla circolazione è perché gli osservanti fecero incetta di tutte le copie possibili per distruggerle.
Senatore, procuratore sopra gli Atti dei sopragastaldi, dei Quindici savi sopra l’Estimo di Venezia, il 18 aprile 1532 Priuli fu eletto dei Quindici savi sopra «la reformation de la terra». Luogotenente in Friuli nel 1537-38, ove lo preoccupava il malcontento suscitato dal «cargo» del «datio» sul pane, nel 1540-41 Priuli fu capitano a Padova, quindi senatore, membro del Consiglio dei dieci, savio del Consiglio, conservatore alle Leggi, consigliere per il sestiere di S. Polo, savio grande, savio all’Eresia. Il 7 ottobre 1550 fu nominato successore del cognato Matteo Dandolo nella rappresentanza romana, con soddisfazione del nunzio pontificio a Venezia Ludovico Beccadelli, che annunciava al segretario di Stato Girolamo Dandini la prevedibile «venuta verso Pasqua» dell’anno seguente di Priuli, «gentiluomo molto honorato et di buone lettere et costumi»: egli, assicurava il nunzio, «riuscirà molto bene». Così a Roma l’11 ottobre. Ma di lì a poco, il 1° novembre, il nunzio fu costretto a revocare tale speranza: accampando ragioni di salute Priuli, «per esser molto debile et mal sano» rinunciò, infatti all’ambasciata.
Ma Priuli probabilmente recuperò la salute, se il 14 giugno 1551 fu eletto capitano a Verona. Tornato da quest’ultima città non risulta – come invece asserisce Andrea da Mosto (1956), lo storico dei dogi ripreso da Paul F. Grendler (1979) – procuratore di S. Marco de ultra; tant’è che non figura nella Degnità procuratoria descritta (Venezia 1602) dell’osservante Fulgenzio Manfredi. In ogni modo al culmine della carriera, Priuli poteva aspirare al dogado. Già tra i votati all’inizio di giugno del 1553, fu tre anni dopo che, il 14 giugno 1556, favorito dall’appoggio del cognato Dandolo e dal ritiro del procuratore di S. Marco de ultra Stefano Tiepolo, il suo più temibile competitore, che Priuli, con 35 voti su 41, conquistò la massima carica della Repubblica. Sul momento impopolare perché in fama d’avarizia, la sontuosa incoronazione, sia pure a spese dello Stato, del 19 settembre 1557 della dogaressa sua moglie, finì, esaltando l’imago urbis, con il ridondare a suo onore.
A dispetto dell’eccezionale longevità augurata anche a lui da Tommaso Giannotti Rangone nel dedicare a sua moglie Zilia Dandolo il proprio Come l’huomo può vivere più de CXX anni (Venezia 1556), Priuli morì il 16 agosto 1559.
A detta di Luca Contile, che così scrisse al duca di Parma Ottavio Farnese, a provocarne la fine sarebbe stato il «grave cordoglio» per le malefatte del figlio Giovanni, «il quale», appunto, «ha commesso opere da mariuolo pubblicamente». Sepolto senza epigrafe – come disposto nel suo testamento del 4 marzo 1555 – nell’arca di famiglia nella chiesa di S. Domenico a Castello, dispersi, con la demolizione di questa nel 1807, i suoi resti, ne serba la memoria il maestoso monumento funebre nella ben più centrale chiesa di S. Salvador progettato per lui e per il fratello Girolamo (che gli succederà nel do
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Consiglio di dieci, Lettere dei rettori, 170, 41-43; 194, 83; Venezia, Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 1119, 1147, 2986/XXXV, 3477/Vicenza, 3475/III.4, 3476/XXII.1; Mss., PD.C, 671/87,88; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, Venezia 1824-1853, I, p. 110; II, pp. 13, 121, 242, 380; V, pp. 587 s.; VI, p. 63, 175-179, 222, 233 s., 236, 549, 564 s., 620, 639; Calendar of State Papers […] relating to English Affairs […] in Venice, a cura di R. Brown, III, London 1869, ad ind.; VI, London 1881-1884, ad ind.; L. Contile, Lettere, a cura di A. Ronchini, in Archivio veneto, IV (1872), p. 295; M. Sanuto, I diarii, Venezia 1878-1902, XXIII, XXV-XXVII, XXXI, XXXIII-XLIII, XLV-XLVII, XLIX-LII, LIV, LVI-LVIII, ad indices; Atti della nazione germanica dei legisti dello Studio di Padova, a cura di B. Brugi, Venezia 1912, p. 52; Nunziature di Venezia, V, a cura di F. Gaeta, Roma 1967, ad ind.; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato…, a cura di L. Firpo, II, Torino 1970, pp. 65 s.; VIII, Torino 1981, p. VI.
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