NINA, Lorenzo
NINA, Lorenzo. – Nacque a Recanati il 12 maggio 1812, da Angelo, notaio.
Dal padre ricevette un’eredità sufficiente a sostenere la sua carriera ecclesiastica (Archivio di Stato di Roma, Seg. 731, f. 303). Entrato nel seminario di Recanati, si distinse particolarmente nello studio delle lettere e della filosofia. Stabilitosi nel marzo 1831 a Roma presso lo zio Giovanni Nina, canonico e parroco di S. Lorenzo in Damaso, proseguì gli studi di teologia presso il seminario romano dell’Apollinare.
Per comprendere l’importanza dell’influenza dello zio nella carriera ecclesiastica del giovane («Don Giovanni Nina chiamò presso di sé in Roma il nipote, aprendogli così la carriera agli onori», Epistolario di Giacomo Leopardi, a cura di F. Moroncini, Firenze 1934, p. 161), vale riportare il commento che Vincenzo Tizzani, cronista del concilio Vaticano I, scrisse a proposito della imminente promozione al cardinalato di Nina: «questo prelato ha per merito principalissimo di essere il nepote del fu curato Nina di S. Lorenzo in Damaso, il quale alla fuga di Pio IX nel 1848 ebbe il coraggio di affiggere alle porte delle basiliche patriarcali ed in altri punti di Roma la scomunica contro gli usurpatori del governo pontificio» (L. Pásztor, Il concilio Vaticano I. Diario di Vincenzo Tizzani: 1869-1870, II, Stuttgart 1992, p. 380). Giovanni Nina aveva inoltre assistito Pellegrino Rossi negli ultimi istanti prima della morte (Soderini, 1932, I, p. 272).
Fu ordinato sacerdote nel dicembre 1834, a 23 anni: «sa piété, sa science lui avaient obtenu une dispense d’âge» (Teste, 1880, p. 82). Trascorse i primi anni di sacerdozio aiutando lo zio nella cura diretta delle anime a S. Lorenzo in Damaso e ottenendo più tardi, nel 1853, la nomina a canonico nella stessa parrocchia. In modo particolare si distinse nell’assistenza ai colerosi durante l’epidemia del 1837, in occasione della quale venne colpito egli stesso dal male. Intanto intraprendeva gli studi universitari di diritto a Roma presso La Sapienza, ottenendo il titolo di dottore in utroque iure.
Un avvocato rinomato e uditore della Sacra Rota, mons. Giovanni Di Pietro – zio del card. Camillo Di Pietro – lo prese con sé come segretario. Più tardi, il futuro cardinale Girolamo D’Andrea, che lo aveva in stima ed era segretario della congregazione del Concilio, lo fece assumere come proprio uditore, aprendogli così le porte di quella congregazione, di cui fu sottosegretario dal 1853 al 1868. Nel frattempo, fu anche uditore e consigliere del card. Luigi Amat, vicecancelliere di Santa romana Chiesa e commendatario di S. Lorenzo in Damaso dal 1852 al 1878. In questo ruolo poté avere parte determinante nelle trattative e nella stesura del concordato tra S. Sede e Austria del 1855.
Intanto, nel 1853 era diventato professore onorario di legge al seminario romano dell’Apollinare e come tale presenziava e interrogava agli esami. Nel 1854 entrò nella famiglia pontificia in qualità di cameriere d’onore in abito paonazzo e l’8 aprile 1862 divenne abbreviatore del parco maggiore, prelatura questa, detta di Sant’Ivo, che era di nomina degli avvocati concistoriali e gli diede il titolo di monsignore. Nel 1863 divenne decano del relativo collegio degli abbreviatori, carica che ricoprì fino al 1877. Il 29 gennaio 1863, dopo la nomina a protonotario apostolico, ebbe accesso al referendariato di entrambe le segnature di Grazia e Giustizia, passaggio necessario per chi aspirasse alla nomina a uditore della Sacra Rota.
Ma non fu questa la sua carriera: il 13 marzo 1868 Pio IX da canonico di S. Lorenzo in Damaso lo trasferì infatti canonico alla basilica di S. Pietro (del cui capitolo fu in seguito decano), elevandolo allo stesso tempo da sottosegretario della congregazione del Concilio ad assessore dell’Inquisizione (Archivio segreto Vaticano, Segr. dei brevi, 5458, ff. 65-68). Nel frattempo, fu nominato consultore della congregazione dei Riti, membro della commissione preparatoria del concilio Vaticano per la disciplina ecclesiastica e, dal 1875 al 1877, prefetto degli studi del seminario romano dell’Apollinare.
La creazione cardinalizia arrivò con il concistoro del 12 marzo 1877, durante il quale Pio IX gli attribuì il titolo diaconale di S. Angelo in Pescheria, mentre il 26 marzo dello stesso anno lo trasferì a prefetto dell’economia della congregazione di Propaganda Fide e presidente della relativa Camera degli Spogli (Archivio segreto Vaticano, Segr. di Stato, prot. 21835, vol. 322). Nominato prefetto della congregazione degli Studi il 19 ottobre 1877 (ibid., 1877, rubr. 14, prot. 25810) e cardinale protettore dei monaci dell’abbazia di S. Nilo a Grottafferrata il 12 gennaio 1878 (ibid., prot. 27121, vol. 328), nel febbraio 1878 partecipò al conclave che elesse papa Gioacchino Pecci.
La collaborazione con il nuovo pontefice cominciò appena due settimane dopo, con l’inserimento tra gli esaminatori dell’amministrazione palatina (nomina del 15 marzo 1878, Archivio segreto Vaticano, Segr. di Stato,1878, prot. 28342) che avrebbero dovuto rimettere ordine nella gestione economica dei bilanci vaticani e soprattutto dell’obolo. Della commissione cardinalizia, presieduta da Alessandro Franchi, segretario di Stato, in realtà facevano parte solo Nina e il card. Edoardo Borromeo, i quali, dopo aver esaminato la struttura dei vari uffici e suggerito i tagli e gli investimenti patrimoniali più opportuni, avrebbero dovuto continuare a coadiuvare il segretario di Stato, più incline alle negoziazioni diplomatiche che agli affari, nell’amministrazione del patrimonio apostolico (B. Lai, Affari del papa, Roma 1999, pp. 57 s.). Ebbe così inizio un periodo di stretto affiancamento di Nina a Franchi, che poté avvalersi della sua collaborazione anche nel corso delle prime trattative per la risoluzione del Kulturkampf con la Germania di Bismarck.
Dopo la morte di Franchi, avvenuta il 31 luglio 1878, probabilmente proprio l’esperienza maturata da Nina nell’amministrazione palatina e in merito alla questione prussiana – esperienza che, come assicurò il sostituto alla segreteria di Stato Serafino Cretoni annunciandone la nomina al nunzio a Monaco Aloisi Masella, lo indicava come «degno continuatore della politica del defunto» (Soderini, 1933, III, p. 137) – ebbe un peso determinante nell’indurre il 9 agosto 1878 Leone XIII a chiamarlo alle cariche di segretario di Stato, prefetto dei palazzi apostolici e amministratore della S. Sede (chirografo di nomina in Archivio segreto Vaticano, Segr. di Stato, 1878, prot. 30873).
Il 28 febbraio 1879 Leone XIII passò Nina dal titolo diaconale di S. Angelo in Pescheria a quello presbiteriale di S. Maria in Trastevere, che era stato di Franchi. Il cursus honorum di Nina non poteva però non stupire i contemporanei, data la scarsa competenza diplomatica del nuovo segretario di Stato. «Ce prince ecclésiastique qui a fait, comme le cardinal Antonelli, toute sa carrière à Rome, étranger à la politique, succédant au cardinal Franchi, qui avait parcouru le monde au milieu des affaires de la diplomatie! Que pouvait signifier ce choix? […] Le cardinal Nina ne connaissait pas la langue française qui est encore, malgré nos malheurs, la langue diplomatique. Sa nomination avait une saveur toute romaine» (Teste, 1880, pp. 83 s.). Lo stesso Edoardo Soderini ammetteva a proposito del nominato (1932, I, pp. 271 s.): «Certo non si poteva metterlo a confronto col Franchi. Era però persona dotta, sebbene più in teologia che in politica, retta, modesta, prudente, fino anzi all’eccesso, e anch’egli affabilissimo con tutti e devotissimo alla Santa Sede». Giuseppe Manfroni (1971, p. 438) rivela che avrebbe dovuto succedere a Franchi il card. Antonino De Luca, il quale però non accettò, avendo già rifiutato lo stesso incarico agli inizi del pontificato di Leone XIII.
La nomina di Nina alla segreteria di Stato aveva principalmente lo scopo di confermare il carattere moderato e aperto del nuovo pontificato. È un dato che i primi tre segretari di Stato di Leone XIII, ovvero Franchi, Nina e Ludovico Jacobini, appartenessero a quella corrente del collegio cardinalizio di formazione non gesuitica (l’Apollinare era in diretta concorrenza con il Collegio romano) e di orientamento conciliatorista e triplicista che era vicina alle posizioni del pontefice e del suo gabinetto di perugini. Secondo Christoph Weber (1978, I, p. 341), anche i rapporti precedenti intrattenuti da Nina con i cardinali Di Pietro, D’Andrea e Amat lo avevano portato a essere identificato nel gruppo moderato interno alla Curia romana che auspicava la riconciliazione con il Regno d’Italia e che diplomaticamente guardava con positività all’alleanza tra S. Sede e imperi centrali. Il 27 agosto 1878, in una lettera indirizzata a Nina e resa subito nota alla stampa, Leone XIII confermava l’indirizzo perseguito dal suo pontificato sotto il segretariato di Franchi e, invitando l’opinione pubblica a non considerare la morte del cardinale come uno sconvolgimento o un’interruzione della linea politica della S. Sede, richiamava l’attenzione del nuovo segretario sui fronti lasciati in sospeso dal predecessore, riferendosi in particolare alle trattative per il superamento del Kulturkampf, al dialogo con le Chiese d’Oriente e alla situazione italiana (La Civiltà Cattolica, s. 10, VIII [1878], pp. 129-134).
Riguardo alla questione italiana, Nina coadiuvò Leone XIII nel tentativo di operare una graduale apertura alla possibilità di partecipazione dei cattolici italiani alle elezioni politiche e conseguentemente di rimozione del non expedit. A questo proposito, su ordine del papa, alla fine dell’ottobre 1878 incaricò sotto obbligo del segreto pontificio il giornalista Giacomo Margotti, direttore de L’Unità cattolica e inventore della formula astensionista «né eletti, né elettori», di operare una conversione nella linea politica perseguita dal giornale e gradualmente preparare i lettori a considerare la partecipazione al voto come non illecita e, nel caso in cui la S. Sede l’avesse prescritta in futuro, opportuna e doverosa per la difesa dei diritti della Chiesa. Margotti apparentemente obbedì all’ingiunzione papale, ma poi pubblicò degli articoli che deliberatamente provocarono una violenta polemica da parte della pubblicistica intransigente, polemica che obbligò la S. Sede a confermare il pro nunc non expedire e sospendere il progetto di varare un partito cattolico conservatore che rimase così irrealizzato (S. Marotta, Il non expedit, in Cristiani d’Italia. Chiese, Stato, società: 1861-2011, a cura di A. Melloni, I, Roma 2011, pp. 215-235). Con il brusco estinguersi della stagione conciliatorista che aveva caratterizzato i primi due anni del pontificato leoniano, la politica della S. Sede verso l’Italia negli anni del segretariato di Nina si trovò arenata nelle secche dello stesso status quo ereditato dal pontificato precedente.
Riguardo ai rapporti con gli altri governi Leone XIII era però determinato a superare l’isolamento diplomatico in cui la politica di condanne dottrinali di Pio IX aveva relegato la S. Sede. La secolarizzazione e le politiche laiciste in alcuni paesi, come Francia e Germania, erano degenerate in violente campagne antireligiose rivolte precipuamente contro le congregazioni religiose, mentre gli imperi centrali, che stavano entrando sempre più in stretti rapporti diplomatici con il Regno d’Italia e presto avrebbero stipulato con esso la Triplice alleanza, più di tutte le altre potenze avrebbero potuto influire sul governo italiano per la risoluzione della questione romana. Tuttavia, se nell’ambito dei rapporti col governo tedesco Nina poté avvalersi dell’abilità diplomatica del nunzio a Vienna Ludovico Jacobini (fu proprio con Jacobini segretario di Stato che si ebbe la definitiva risoluzione del Kulturkampf) e quindi condurre le trattative con quell’impero lungo una linea di continuità rispetto al predecessore, ricevendo nel 1879 persino la decorazione di cavaliere di gran croce dell’ordine reale di S. Stefano d’Ungheria, nei rapporti con gli altri governi l’esperienza dei nunzi spesso non bastò a colmare l’impreparazione diplomatica del segretario di Stato.
Lo scontro più violento si accese in Belgio. Già da tempo parte del cattolicesimo belga polemizzava violentemente contro la Carta costituzionale che riconosceva la libertà e la parità tra i culti, condannate invece dal Sillabo. Il 1° luglio 1879 il governo radicale guidato da Hubert Walthère Frère-Orban riformò l’insegnamento religioso nelle scuole di Stato, che fu aperto ai ministri delle diverse confessioni, mentre in precedenza era prerogativa della sola Chiesa cattolica. I vescovi belgi reagirono con estrema durezza, lanciando una campagna di boicottaggio che in pochi anni portò all’apertura di centinaia di scuole confessionali in tutto il paese in diretta concorrenza con quelle statali, lasciando la maggioranza di quest’ultime deserte. Davanti alla minaccia di rottura delle relazioni diplomatiche tra Belgio e S. Sede, Leone XIII e il suo segretario di Stato tentarono di indurre i vescovi a moderazione, ma mentre Frère-Orban esigeva un intervento diretto proveniente da Roma, essi non vollero sconfessare pubblicamente l’operato dell’episcopato belga, capeggiato dal card. Victor Auguste Dechamps, e si limitarono a richiami informali e segreti.
La storiografia ha tradizionalmente attribuito le ragioni delle dimissioni dalla carica di segretario di Stato, date da Nina il 16 dicembre 1880, alla rottura delle relazioni diplomatiche con il Belgio, evidenziando una divergenza di opinioni tra questi e Pecci riguardo alla questione belga: il papa, influenzato dalla curia e dal parere della congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari, all’insaputa di Nina avrebbe infatti incoraggiato i vescovi nella loro intransigenza, mentre il segretario di Stato consigliava moderazione. Davanti alle fortissime pressioni interne alla curia, che lo avevano messo in dissenso con il proprio superiore, Nina aveva preferito dimettersi, forse anche perché effettivamente le preoccupazioni e le delusioni legate all’incarico ne avevano minato gravemente la salute, come recitava la motivazione ufficiale.
In realtà, è probabile che si sia trattato piuttosto di un vero e proprio licenziamento. Nel volume di Soderini che descrive la politica leoniana in Belgio (uno dei quattro che il biografo ufficiale di Leone XIII preparò in continuazione della sua opera, ma che non videro mai la luce) la causa delle dimissioni di Nina è attribuita a un particolare e concreto episodio occorso durante lo scambio diplomatico col governo belga: «Un grave errore era stato commesso prendendo alla lettera l’ingiunzione del Papa il quale, dopo letto il dispaccio del 7 aprile aveva detto: “non voglio che me se ne parli più”. I suoi ministri quindi avevano creduto meglio non comunicargli quello del 18 maggio. Se una risposta più sollecita data al Frère-Orban avrebbe o no evitato la rottura è cosa difficile a dire […] Comunque il troppo indugiare fu la goccia che fece traboccare il vaso e indubbiamente in quei momenti così gravi, bisognava non tacere niente al Papa, perché egli, pesato il pro ed il contra, prendesse la decisione che avesse creduto essere la più opportuna» (Archivio segreto Vaticano, Instrumenta miscellanea, 8577, pp. 516 s.). La mancata risposta al dispaccio del 18 maggio 1880 provocò due settimane dopo la rottura delle relazioni diplomatiche tra Belgio e S. Sede e il rientro del nunzio Serafino Vannutelli alla fine di giugno. Effettivamente mentre l’incidente diplomatico avvenne prima dell’estate 1880, le dimissioni di Nina si ebbero solo in dicembre, ma già da tempo nella curia erano circolate le voci di prossimi dimissioni, confermate ufficialmente il 15 ottobre. Il 19 agosto 1880 al corpo diplomatico accreditato presso la S. Sede arrivò un telegramma che annunciava che «per indisposizione di salute» il segretario di Stato non poteva riceverlo come di consueto nel giorno successivo (Archivio segreto Vaticano, Segr. di Stato, 1880, rubr. 2, f. 71). La notizia della malattia di Nina rimbalzò immediatamente sulla stampa internazionale e fiumi di lettere da parte di vescovi, abati e parroci di tutto il mondo cominciarono a pervenire a Roma, nonostante non vi fosse stata alcuna comunicazione ufficiale ai nunzi riguardo alla malattia del porporato. Negli archivi vaticani si conservano le risposte a queste lettere compilate dal sostituto alla segreteria di Stato mons. Serafino Cretoni, che a nome del proprio superiore fino all’inizio di settembre ringraziò i mittenti per l’affetto dimostrato, assicurando che il porporato si trovava in via di guarigione e anzi quasi del tutto ristabilito. Che Nina fosse effettivamente in ritiro a Grottaferrata per ristabilirsi in salute lo proverebbe una lettera che egli stesso da quel luogo inviò a Cretoni l’8 settembre, sollecitando un po’ bruscamente il sottoposto a non esitare a inoltrargli la corrispondenza onde evitargli «ulteriori malattie» (Archivio segreto Vaticano, Segr. di Stato, 1880, rubr. 2, f. 127). Tuttavia, che le ragioni di salute fossero un pretesto lo proverebbe un dato molto oggettivo: nel suo manoscritto sul Belgio, Soderini, in rapporto alla mancata comunicazione al papa dell’ultimo dispaccio di Frère-Orban, più avanti annota che «lo sbaglio costò il posto al Segretario di Stato, nonché a mons. Domenico Jacobini». Questi era segretario della congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari: il 16 novembre 1880 venne sostituito da Mariano Rampolla del Tindaro e passò alle poco prestigiose cariche di sottobibliotecario di Santa romana Chiesa e di prefetto degli Studi dell’Apollinare, contrariamente all’ordinario cursus honorum del segretario della congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari che prevedeva come passaggio successivo la nomina a una nunziatura di prima classe, premessa al cardinalato. Nella stessa data del 16 novembre anche Serafino Cretoni presentò le dimissioni da sostituto alla segreteria di Stato. Il 18 novembre fu richiamato da Vienna Ludovico Jacobini, evidentemente già designato a sostituire Nina alla segreteria di Stato. La contemporanea sostituzione dei tre principali responsabili della politica estera vaticana non può lasciar dubbi circa le vere cause delle dimissioni di Nina e, probabilmente, data l’ampiezza dell’epurazione, non si trattò di un contrasto personale, ma di colpe comuni in merito a un errore commesso dal dicastero.
Con il chirografo del 16 dicembre 1880 Leone XIII accettò ufficialmente le dimissioni di Nina, tuttavia non volle rinunciare alla sua esperienza nell’amministrazione vaticana e mentre nominava Ludovico Jacobini nuovo segretario di Stato, confermò Nina prefetto dei palazzi apostolici e dunque amministratore della S. Sede (Archivio segreto Vaticano, Segr. di Stato, 1880, prot. 43308). L’anno successivo, il 7 novembre 1881, essendo morto il card. Prospero Caterini, prefetto della congregazione del Concilio, Leone XIII diede a Nina tale incarico, insieme alle prefetture della congregazione speciale per la revisione dei concili provinciali e della congregazione per l’immunità ecclesiastica (Archivio segreto Vaticano, Segr. brevi, 5785, f. 295).
In qualità di prefetto della congregazione del Concilio, Nina procedette alla revisione del regolamento per le cause in folio, emanato nel 1847 dal card. Pietro Ostini, che fece aggiornare pubblicandone la versione emendata il 12 dicembre 1884; nella stessa data provvide a emanare anche il regolamento dello Studio. Nel frattempo, divenne membro delle congregazioni ecclesiastiche dell’Inquisizione, della congregazione speciale sopra lo stato dei regolari, di Propaganda Fide, della sua sezione per gli Affari di rito orientale, della congregazione del Cerimoniale, della lauretana, della congregazione degli Studi e di Affari ecclesiastici straordinari. Restava inoltre protettore dell’abbazia di Grottaferrata (nella quale si era ritirato nel periodo di malattia), della congregazione salesiana, del monastero di Santa Caterina dei funari, delle oblate convittrici del Ss. bambino Gesù, della confraternita del S. Sepolcro di Macerata e di quella dell’Immacolata concezione e S. Rocco a Norma (in provincia di Latina).
Pur essendo da molto tempo debole in salute, la sua morte giunse inaspettata, cogliendolo la sera del 25 luglio 1885 a Roma.
Esposto nella sua chiesa titolare, la basilica di S. Maria in Trastevere, fu sepolto nella cappella dell’arciconfraternita del preziosissimo sangue al Verano.
Fonti e Bibl.: Sull’attività di Nina segretario di Stato si vedano presso l’Archivio segreto Vaticano le varie rubriche del fondo Segreteria di Stato degli anni 1878-80, gli archivi delle nunziature e gli spogli personali di Leone XIII e Lorenzo Nina. Sempre in Archivio segreto Vaticano, in Instrumenta Miscellanea nn. 8577-8580 sono custoditi i quattro volumi inediti che costituiscono la prosecuzione dell’opera di E. Soderini, Il pontificato di Leone XIII, e sono relativi al Belgio e Olanda, Inghilterra e America, Spagna e Portogallo, Svizzera, Armenia e Austria. L’Archivio della congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari è attualmente conservato presso la sezione della segreteria di Stato per i rapporti con gli Stati. S. Bellini, Al novello porporato cardinale L. N. recanatese congratulazione ed ossequio, Recanati 1877; L. Teste, Lèon XIII et le Vatican, Paris 1880, pp. 82 ss.; L’Osservatore Romano, 28 luglio 1885, p. 2; La Civiltà Cattolica, s. 12, XI (1885), pp. 468 s.; E. Soderini, Il pontificato di Leone XIII, I-III, Milano 1932-33, ad ind.; M. Maccarrone, L. N., in La Pontificia università lateranense. Profilo della sua storia, dei suoi maestri e dei suoi discepoli, Roma 1963, pp. 209 s.; N. Del Re, I cardinali prefetti della Sacra Congregazione del concilio dalle origini ad oggi (1564-1964), in Apollinaris, XXXVII (1964), pp. 107-149, ora in La sacra congregazione del concilio. Quarto centenario dalla Fondazione (1564-1964). Studi e ricerche,Città del Vaticano 1964, pp. 297 s.; New Catholic Encyclopedia, X, New York 1967, p. 471; R. Lill, Vatikanische Akten zur Geschichte des deutschen Kulturkampfes. Leo XIII., I, Tübingen 1970, ad ind.; Sulla soglia del Vaticano. Dalle memorie di Giuseppe Manfroni, a cura di C. Manfroni [Bologna 1920-21], Milano 1971, ad ind.; Hierarchia Catholica medii et recentioris aevi, a cura di R. Ritzler - P. Sefrim, VIII, Padova 1978, pp. 21, 22, 24, 51, 54, 58; C. Weber, Kardinäle und prälaten in den letzen jahrzehnten des Kirchenstaates (1846-1878), II, Stuttgart 1978, pp. 491 s. e ad ind.; G. Martina, I segretari di Stato della S. Sede. Metodi e risultati di una ricerca, in Mélanges de l’Ecole française de Rome. Italie et Méditerranée, CX (1998), 2, pp. 553-568; H. Wolf, Prosopographie von römischer Inquisition und Indexkongregation (1814-1917), II, Paderborn 2005, pp. 1054-1056.