MARIANI, Lorenzo Maria
MARIANI, Lorenzo Maria. – Nacque a Livorno il 7 sett. 1664 da Giovan Battista di Lorenzo e da Virginia Grimaldi.
La famiglia, di origine fiorentina, si era trasferita negli anni Trenta del Seicento a Livorno, dove il nonno paterno del M. aveva aperto una bottega di speziale grazie all’aiuto della potente famiglia fiorentina dei Salviati, che gli concesse a livello l’abitazione, la bottega e vari altri immobili (Arch. di Stato di Firenze, Notarile moderno, Protocolli, 12563, c. 181). Le condizioni economiche dei Mariani andarono progressivamente deteriorandosi a causa delle lunghe e complesse controversie legali che si aprirono alla morte del nonno, ma soprattutto in seguito alla prematura scomparsa del padre, avvenuta quando il M. e le due sorelle minori erano ancora in tenera età.
Le ristrettezze economiche, insieme con il forte sentimento religioso che caratterizzava la famiglia e che aveva spinto entrambi gli zii paterni del M. ad abbandonare lo stato laico – Luca Pasquale, chierico del duomo di Livorno, e Luigi, frate dell’Ordine di S. Giovanni di Dio con il nome di fra Lorenzo (ibid., 17517, c. 172) – concorsero a indirizzarlo alla vita ecclesiastica.
Secondo una testimonianza dello stesso M. – in parte imprecisa nel definire i tempi e i modi del suo percorso di formazione –, a dodici anni, avendo già conseguito gli ordini minori, divenne uno dei chierici addetti alla chiesa fiorentina di S. Felicita, annessa all’omonimo monastero femminile dell’Ordine benedettino (Ibid., Manoscritti, 517: minuta di lettera del M. senza indicazione di data, né destinatario). Certa è la sua presenza in quella chiesa come chierico addetto alla sacrestia nel 1680, quando compilò uno Specchietto della chiesa di S. Felicita, ove sono descritte le cappelle, uffiziature, ecc. compilato da padre L.M. Mariani nel 1680, conservato presso l’Archivio parrocchiale (cit. in Fiorelli Malesci).
Il M. migliorò la propria condizione con l’acquisizione, presso la medesima chiesa, della cappellania dell’Assunzione di Maria Vergine, nota anche come «cappella Deti», dal nome della famiglia che l’aveva fondata alla fine del XV secolo, poi passata, a causa dell’estinzione della famiglia, sotto il patronato del monastero. Tale cappellania resasi vacante il 24 maggio 1688 e dotata di una rendita di 24 scudi l’anno, fu conferita al M. dalle monache di S. Felicita. La condizione di cappellano era destinata a durare per tutta la vita, anche se in seguito il M. dovette conseguire gli ordini maggiori, dato che in alcuni documenti, come il testamento rogato il 15 maggio 1729, è indicato come «prete» o «sacerdote» (Arch. di Stato di Firenze, Notarile moderno, Protocolli, 24978, c. 47v).
La permanenza presso S. Felicita consentì al M. di conoscere Bernardo Benvenuti, parroco della stessa chiesa, destinato a svolgere un ruolo determinante nella sua formazione.
B. Benvenuti (G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 102; G. Mazzucchelli, Gli scrittori d’Italia, II, 2, Brescia 1760, pp. 885 s.) era un erudito di notevole fama, anche fuori Firenze, come mostra il suo carteggio (Arch. di Stato di Firenze, Manoscritti, 68); già cappellano della chiesa cattedrale fiorentina e cappellano privato del principe Mattias de’ Medici, era divenuto, grazie alla sua profonda cultura, maestro di grammatica dei figli del granduca Cosimo III e in particolare del principe Ferdinando, al cui servizio rimase almeno dal 1671 al 1675. Da Ferdinando Benvenuti ricevette nel 1585 l’incarico di compilare il Priorista, ossia il Catalogo delle antiche nobili famiglie che hanno governato la fiorentina Repubblica (ibid., 248-254) iniziativa avviata per fornire una risposta a un problema profondamente avvertito dal ceto dirigente toscano, quello della definizione – il più possibile precisa e oggettiva – dello status nobiliare. Poiché la maggior parte del ceto nobiliare toscano si era formato attraverso l’esercizio delle cariche pubbliche durante il periodo repubblicano, si pensò di mettere ordine in questa materia realizzando una raccolta di alberi genealogici e notizie storiche, rigorosamente basate su documenti, delle famiglie che avevano avuto accesso al Priorato, supremo organo del governo repubblicano. Benvenuti si valse per questo scopo del Priorista di Francesco Segaloni, considerato il più attendibile tra quelli in circolazione, e anche dell’attività di vari eruditi incaricati della consultazione di archivi e documenti, con il compito di controllare le notizie reperite, in modo da ridurre il più possibile i margini di errore.
Nella compilazione del Priorista il Benvenuti si fece aiutare sin dalle fasi iniziali dal M., che acquisì in questo modo una notevole familiarità con i documenti e le grafie antiche. Il M. non si limitò a imparare attraverso la pratica e l’imitazione, ma prese anche lezioni di calligrafia da Valerio Spada, incisore e calligrafo iscritto alla fiorentina Accademia del disegno e dal 1657 maestro di scrittura dei paggi granducali (L. Zangheri, Gli accademici del disegno, Firenze 2000, ad ind.). Tramite Benvenuti, infatti, il M. era entrato in contatto con gli ambienti della corte granducale, come dimostrano alcune circostanze: nel 1698 gli fu chiesto di ospitare per qualche mese Raffaello Baldi, detto Raffaellino, musico granducale; tra i testimoni presenti alla stipula del suo testamento compaiono diversi membri della corte (Arch. di Stato di Firenze, Notarile moderno, Protocolli, 24978, cc. 47-48).
Non si conosce precisamente il ruolo rivestito dal M. nella compilazione del Priorista durante la vita di Benvenuti. Nella contabilità egli è menzionato una sola volta e limitatamente a lavori di copiatura estranei al Priorista: si tratta del pagamento della copiatura di tre sonetti «in carattere antico tondo» in lode dalla cantante Maria Maddalena Musi (Ibid., Corporazioni religiose soppresse dal governo francese, Convento, 83, b. 192, c. 59). Ma non c’è dubbio che dovette trattarsi di un ruolo subalterno, tanto che alla morte improvvisa di Benvenuti, avvenuta il 31 dic. 1700, l’opera rimase interrotta per quasi otto anni. A quell’epoca i lavori di spoglio e copiatura risultavano incompiuti, mentre erano già stati realizzati gli stemmi a colori che avrebbero corredato le sezioni relative a ciascuna famiglia, commissionati al pittore Atanasio Bimbacci, uno degli artisti preferiti del principe Ferdinando de’ Medici. I lavori ripresero nel 1708, in seguito a una supplica inviata dal M. a Ferdinando de’ Medici (Ibid., Miscellanea medicea, 377, ins. 46; altra copia in Miscellanea repubblicana, 7, ins. 214) in cui, tra le altre cose, si diceva che egli aveva già collaborato con Benvenuti «fin da giovinetto […] e sotto di esso affaticato continuamente nel lavoro del Priorista». La richiesta ebbe esito favorevole, anche perché nel frattempo si era fortemente radicata nell’opinione pubblica la coscienza della pubblica utilità del Priorista, come attesta il fatto che nel 1710 il granduca Cosimo III de’ Medici affidò al M. il compito di fornire, su richiesta, copie e certificazioni dei documenti utilizzati per la compilazione del Priorista, che potevano essere esibiti come prove dello status nobiliare. Il M. aveva l’autorità di sottoscrivere queste copie, a garanzia della loro autenticità, con la qualifica di «Antiquario regio» (Ibid., Deputazione sopra la nobiltà e cittadinanza, 135, c. 32r).
A riprova dell’importanza annessa dal sovrano a questa raccolta, al momento della ripresa dei lavori tutto il materiale documentario, che al tempo di Benvenuti era presumibilmente conservato nel suo appartamento presso la chiesa di S. Felicita, fu trasportato nella residenza granducale di palazzo Pitti, dove furono a quello scopo destinate alcune stanze. Nel 1717, però, la necessità di utilizzare queste sale per l’elettrice palatina, Anna Maria Luisa de’ Medici, determinò il trasferimento del materiale documentario, ormai generalmente noto come «Archivio delle Antichità delle famiglie fiorentine», nell’ex palazzo della Signoria, sede degli uffici pubblici del Granducato.
Il M. rimase nella funzione di antiquario e custode dell’archivio per più di venticinque anni. La sua attività non si esaurì nel controllo e nella custodia del materiale; oltre a terminare la stesura del Priorista, in sei tomi, più uno di indici, compilati tra il 1718 e il 1721, egli «proseguì ad accrescere il detto archivio facendovi indici copiosissimi per renderlo sempre più utile al pubblico» (Baggio - Marchi, p. 868).
L’archivio era aperto al pubblico due ore al giorno e niente era dovuto all’antiquario per la consultazione del materiale e per la consulenza. Il M. percepiva per questo incarico dalle casse granducali un compenso di 5 ducati al mese, che integrava con il provento di incarichi occasionali al di fuori dell’archivio, come per esempio la redazione del regesto di alcuni fondi di pergamene (tra gli altri, quello dell’ospedale di S. Maria Nuova: Arch. di Stato di Firenze, Manoscritti, 78), la compilazione degli indici dei Catasti fiorentini del XV secolo, da lui condotta a termine negli anni 1727-30, e le perizie calligrafiche per conto di tribunali o su incarico di privati.
La sua cultura genealogica ebbe modo di esprimersi nel Ristretto delle qualità delle famiglie nobili fiorentine con le loro armi fatto… l’anno 1713. L’opera, di cui si conservano due copie manoscritte (Firenze, Biblioteca Moreniana, Fondo Palagi, 150, 153), fu pubblicata in G.M. Mecatti, Storia cronologica della nobiltà e cittadinanza di Firenze, I, Napoli 1755, pp. 5-110. In essa il M., autodefinendosi «archiviario» di corte, affronta la complessa questione di una definizione della nobiltà toscana e si sforza di tracciare un profilo unitario di questo ceto, in cui erano andati nel corso dei secoli a confluire diversi gruppi sociali: la nobiltà di origine romana, a suo dire del tutto estinta, quella di origine longobarda o più generalmente imperiale, il «popolo grasso» composto da «una mescolanza di sangue nobile e popolare» e infine la quarta che aveva avuto origine col principato. Dal connubio di questi quattro gruppi traeva origine, ormai in un quadro non più solo cittadino ma regionale, quella nobiltà che nell’assetto politico e istituzionale del principato mediceo trovava le ragioni della propria unità (Verga, p. 22).
Nel 1736 il M. inviò una supplica al nuovo granduca Gian Gastone de’ Medici, nella quale chiedeva, «ritrovandosi ormai in età di 70 anni con varie indisposizioni» (e quindi risulterebbe nato nel 1666, anziché nel 1664), di essere sollevato dall’incarico di archivista e di passare le consegne al suo unico allievo, Giovan Battista Dei, che da dieci anni lo aiutava in qualità di apprendista (Arch. di Stato di Firenze, Deputazione, 135, cc. 13-14). Già negli anni precedenti la preoccupazione che le condizioni di salute del M. avrebbero potuto portare alla chiusura dell’archivio aveva spinto un erudito, Giuseppe Neroni Mercati, a chiedere con insistenza di potergli subentrare nella custodia dell’archivio (Ibid., Carte Bardi, serie III, 132, cc. 33-53); una circostanza, questa, che attesta il grande e generale interesse per tali carte da parte del patriziato toscano, in netto contrasto con l’assoluta noncuranza dell’ultimo granduca. La supplica del M. fu accolta, e con il rescritto del 31 genn. 1736 il granduca affidò la direzione dell’«archivio delle antichità delle famiglie fiorentine» a Dei, assegnandogli lo stesso stipendio goduto dal predecessore, che avrebbe cominciato a percepire solo dopo la morte di questo (Ibid., Mediceo del principato, 1847, c. 51v). Al M. fu assegnata una pensione vitalizia di 60 scudi, ancora erogata nel 1737, alla morte del granduca Gian Gastone.
Il M. morì a Firenze il 9 marzo 1738 e fu sepolto nella chiesa di S. Felicita.
Lasciò i pochi beni a beneficio della sua anima, nominando esecutore testamentario il sacerdote Niccolò Anton Maria Bagnoli, suo nipote ex sorore.
Tra i documenti redatti dal M. durante la sua pluridecennale attività, oltre a quelli menzionati, si ricordano la Genealogia della nobile famiglia Medici… (Ibid., Miscellanea medicea 604, 1712) e l’Inventario manoscritto dell’archivio della nobiltà (Ibid., Manoscritti, 670, senza data). Vari alberi genealogici e sillogi di notizie su diverse famiglie di mano del M. sono sparsi negli archivi e nelle biblioteche fiorentine.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Notarile moderno, Protocolli, 24633, c. 22; Arte dei medici e speziali, 264, c. 207 (il patronimico del M. vi è erroneamente indicato come Francesco); Decima granducale, 9463, c. 16; Mediceo del principato, 1847, c. 51; Depositeria generale, Appendice, 849, c. 1; Guardaroba Medicea, 1073 bis, c. 2428; 1055, c. 83; Manoscritti, 518, ins. «Mariani»; Miscellanea medicea, 17, ins. 11, c. 132; Firenze, Biblioteca nazionale, Poligrafo Gargani, 1219; A. Calogerà, Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, IV, Venezia 1730, p. 106; X, ibid. 1734, p. 139; D.M. Manni, Osservazioni sopra i sigilli antichi dei secoli bassi, IV, Firenze 1740, p. 134; VII, ibid. 1741, p. 103; IX, ibid. 1742, p. 102; XV, ibid. 1744, p. 63; D. Moreni, Bibl. storico ragionata della Toscana, II, Firenze 1805, p. 41; F. Fiorelli Malesci, La chiesa di S. Felicita a Firenze, Firenze 1986, p. 183; M. Verga, Da «cittadini» a «nobili». Lotta politica e riforma delle istituzioni nella Toscana di Francesco Stefano, Milano 1990, pp. 22, 43, 78 s., 230; J. Boutier, L’Accademia dei nobili di Firenze. Sociabilità ed educazione dei giovani nobili nell’età di Cosimo III, in La Toscana nell’età di Cosimo III, Firenze 1993, p. 218; S. Baggio - P. Marchi, L’archivio della memoria delle famiglie fiorentine, in Istituzioni e società in Toscana nell’Età moderna. Atti delle Giornate di studio dedicate a Giuseppe Pansini, Firenze… 1992, Roma 1994, pp. 862-877 (in particolare, pp. 866-870); J. Boutier, Un «who’s who» de la noblesse florentine au XVIIe siècle: l’«Istoria delle famiglie della città di Firenze» de Piero Monaldi, in Sociétés et idéologies des temps modernes, Montpellier 1996, pp. 83, 85.