Magalotti, Lorenzo
Letterato, poeta e scienziato, nato a Roma da famiglia fiorentina nel 1637, morto a Firenze nel 1712; accademico del Cimento e della Crusca, arcade con il nome di Lindoro Elateo.
Dotato di raro buon senso e di gusto squisito, conosceva, come afferma il Redi, " quasi tutto Dante a memoria " e si compiaceva di arricchire la propria pagina con parole dantesche e con intere citazioni di versi, tanto che il Fabroni poté dire di lui che " nihil curabat magis quam ut suis carminibus vim Dantis exprimeret ". Accanto alle citazioni non mancano discussioni e soluzioni di varie difficoltà esegetiche. In una lettera al Panciatichi (Lettere familiari, Firenze 1769, II 5) il M. si sofferma sulle postille dei nostri visi (Pd III 13) e nella lettera Sopra il ribollimento di sangue (Lettere scientifiche ed erudite, Firenze 1721, 36-37) osserva che il Galilei " aveva per avventura imparato dal poeta maggiore che il sasso è un composto di umore e di luce ".
Segno dell'amore del M. per D., ma anche della vivezza del culto per il poeta nella Firenze medicea, è il commento alla Commedia (Commento sui primi cinque canti dell'Inferno, Milano 1819), per la cui genesi cfr. Lettere familiari I 107-108, 112-113, 121, 125, 158, 164, 166-167. Esso non va oltre il quinto canto dell'Inferno, ma per vivezza, equilibrio, agilità, disinvolta eleganza, c'induce a porre il M. al vertice dei valori fra gli studiosi di D. nel Seicento.
Appena terminato un canto, il M., che mancava di particolari studi, lo mandava agli amici per averne il parere, quindi faceva tesoro dei loro rilievi e suggerimenti. Attento, quale si conveniva alla natura stessa dello scienziato, è lo studio delle sensazioni, di " quei momenti in cui l'essere prende o non prende forma, nei vari fenomeni " che offrono la possibilità di " dilucidare il sentimento " di Dante. Per questo il M. sottolinea alcune locuzioni di D. come per lo fioco lume (If III 75): " espressione mirabile di quel ch'è proprio della voce per esprimere un fenomeno della vista "; oppure d'ogne luce muto (If V 28), in cui le tenebre infernali " né hanno tempo, né sono assottigliate da qualche spruzzolo di languidissima luce ". Asserisce inoltre che la Commedia ha la virtù di " suscitare un fermento spirituale nell'intelletto " (Lettere familiari II 128) e D., per la forza espressiva e formatrice dello spirito, è paragonabile a Platone (ibid.).
Della venerazione che questo raffinato scienziato aveva per il divino poeta è testimonianza la lettera a Ottavio Falconieri da Venezia, datata 23 luglio 1667 (Lettere I 174), in cui il M. narra che, andando in visita a Ravenna quale ambasciatore della Crusca per " onorare l'altissimo Poeta / padre di lei, che il più bel fior ne coglie " (II 52), si era fermato in una villa " per fare ", com'egli dice, " un poco di raccoglimento di spirito, prima di adorare la gran tomba e sciorre il voto davanti alle benedette ossa del divino Poeta ". Altra testimonianza significativa è il capitolo dantesco scritto per l'accademia pubblica nel 1698 in morte di Orazio Rucellai.
Bibl. - U. Cosmo, Con D. attraverso il Seicento, Bari 1946, 57, 60-62, 86-87, 155; E. Cecchi, Carattere del M., in " Paragone " XLII (1953), rist. nel vol. miscellaneo Sei-Settecento, Firenze 1956; C. Ricci, L'ultimo rifugio di D., Ravenna 1965, 335 n. 209; G. Güntert, Un poeta scienziato del Seicento, L.M., Firenze 1966, 9, 41-42.