LEONBRUNO (Leombruno), Lorenzo
Figlio adottivo del pittore Giovanni Luca de Liombeni, nacque quasi sicuramente a Mantova entro il mese di giugno del 1477.
Nei documenti s'incontra per la prima volta il L. nel testamento di Giovanni Luca (26 luglio 1495), dove viene ricordato come pittore e designato erede della bottega, dei beni e dei debiti paterni (questi, estinti entro il 1519). Nel 1498 il L. abitava a Mantova in contrada del Grifone.
Da questa data alcuni atti di acquisto, affitto, esenzione fiscale o donazione relativi a terreni interessarono regolarmente il L. (negli anni 1513-14, 1517-19, 1523, 1529) soprattutto nelle fasi di maggior fortuna economica o di stasi degli impegni artistici, e testimoniano una sua intensa attività in questo campo. Si trattava sempre di terreni ubicati nella medesima area rurale o nei pressi dell'abitazione mantovana del pittore, che dal 1510 visse in contrada dell'Unicorno.
Almeno dal 1° febbr. 1499 il L. risulta sposato con la vedova del padre adottivo, Angela de Salati; nel luglio dello stesso anno, in una petizione al marchese di Mantova Francesco II Gonzaga, il L. dichiarava di essere ventiduenne, "patre de familia" (Ventura, pp. 31 s.) e di avere una bottega propria. Inoltre chiedeva al marchese di riconoscergli i diritti della maggiore età, per poter condurre autonomamente la sua professione.
Al 1501 risalgono altre notizie relative al rapporto di committenza del L. con i Gonzaga, un legame che lo avrebbe coinvolto per quasi tutta la vita: in un decreto del marchese di Mantova si ricordano alcune opere imprecisate, forse delle vedute di città, destinate alla residenza marchionale di Gonzaga.
Nell'aprile del 1504 il L., che ormai godeva di un rapporto fiduciario con i Gonzaga, fu inviato dalla moglie di Francesco II, Isabella d'Este, a Firenze, presso la bottega di Pietro Vannucci, il Perugino, per un aggiornamento stilistico e per seguire l'esecuzione della Lotta tra Amore e Castità, destinata allo studiolo della marchesa. Il L. rimase a Firenze fino alla tarda primavera del 1505 e consigliò al pittore umbro la tecnica pittorica (tempera) da utilizzare per quel dipinto.
A fronte di una consistente serie documentaria che consente di individuare lungo il periodo 1499-1533 le fasi della sua attività, è rimasta una sola opera databile con sicurezza, la decorazione della sala oggi detta della Scalcheria, nell'appartamento "vedovile" di Isabella d'Este nella corte vecchia del Palazzo ducale di Mantova. Nonostante (o in conseguenza di) questa situazione, gli studiosi hanno proposto sia un'espansione del catalogo dell'artista sia differenti cronologie per le sue opere, secondo una tendenza che ha visto spesso una compressione delle datazioni dei dipinti in un periodo che va dal 1515 circa al 1525.
Al periodo giovanile, e poco dopo il viaggio a Firenze, deve comunque risalire l'Adorazione dei pastori firmata (Tokyo, Museo d'arte occidentale), che al principio del Seicento si trovava nella collezione del cardinale Paolo Emilio Sfondrati.
Il dipinto presenta ancora dei residui mantegneschi nella conduzione dei panneggi, ma anche chiari segni del soggiorno fiorentino nel paesaggio e nella morbidezza del ductus pittorico, che lo avvicina al protoclassicismo di Lorenzo Costa, pittore di corte a Mantova dal 1506.
La fabbrica del palazzo di S. Sebastiano a Mantova, voluta dal marchese Francesco II, richiese l'attività di numerosi artisti fin dal 1506 e il L. vi fu impegnato probabilmente almeno a partire dal 1507, per pitture decorative all'esterno e all'interno dell'edificio. Dopo una sospensione, coincidente con il periodo di prigionia di Francesco II a Venezia (1509-10), i lavori al palazzo ripresero; il rapporto del L. con i Gonzaga dovette farsi più stretto, poiché dal 1511 è nominato nel "Libro degli stipendiati del Principe", con un salario mensile di 6 ducati (Ventura, p. 40).
Il 3 luglio 1511 il L. fu inviato a Venezia per incarico del marchese, sia per seguire i lavori dell'altare commissionato a Pietro Lombardo per la cappella dell'Incoronata nel duomo di Mantova sia per visionare delle vedute di Gerusalemme (una delle quali di Vittore Carpaccio) e del Cairo, destinate al palazzo di S. Sebastiano.
Tornato a Mantova, nel 1512 il L. fu pagato per altri lavori, perduti, nel palazzo di S. Sebastiano: motivi decorativi, ma anche una Vergine, un Dio Padre e quattro Evangelisti e, forse, un Apollo e le muse.
A questo periodo risale il Giudizio di Mida firmato (Berlino, Staatliche Museen), nel quale i motivi derivati dal Perugino sono ormai pienamente assimilati nella figura di Apollo, insieme con una perfetta conoscenza dei modi di Costa, con qualche eco tratta da Dosso Dossi e dalla pittura veneziana contemporanea. Poco dopo, probabilmente nella seconda metà del secondo decennio, si deve collocare il S. Giovanni Evangelista della chiesa di S. Paolo della Croce a Port'Ercole, in cui gli elementi ferraresi sono ancor più evidenti che nel Giudizio di Mida, a segnalare nuovi contatti con la cultura della città estense, probabilmente sollecitati dalla marchesa di Mantova. Si può anche ipotizzare un possibile soggiorno a Ferrara in questo periodo, in considerazione dell'assenza del L. dalla documentazione mantovana per alcuni anni.
Il 26 e il 28 genn. 1519 il L. ricompare a Mantova come "perito" in documenti che riguardano il pittore Benedetto Ferrari, attivo per i Gonzaga in Palazzo ducale e nella residenza di Marmirolo (Ventura, p. 47). Nel marzo 1521 il L. fu inviato a Roma, presso Baldassarre Castiglione, ambasciatore mantovano in Curia, per "vedere delle cose assai da immitare" (ibid., pp. 47-49), con lo scopo di migliorare così le sue conoscenze artistiche. Giunse a Roma il 22 marzo 1521, ma il successivo 24 aprile Castiglione scriveva a Federico II che il pittore stava già tornando a Mantova, lamentando il fatto che il L. sarebbe dovuto rimanere più a lungo "per haver piena notitia delle cose di Roma" (ibid., p. 49).
Nonostante una lettera inviata dal L. a Federico II il 6 genn. 1522, che sembra denunciare un momento difficile, il periodo immediatamente successivo al ritorno da Roma fu quello di maggiore fortuna professionale - e il più densamente documentato - della vita del L., sia per i suoi lavori fuori della corte (nel palazzo mantovano del funzionario Leonello Marchisio) sia, e soprattutto, per gli interventi nelle residenze dei Gonzaga.
Dal 9 sett. 1521 egli lavorò alla decorazione dell'appartamento di Federico II situato al piano terra del castello di S. Giorgio, mentre il periodo dall'aprile 1522 all'aprile 1523 è quello dell'attività nell'appartamento "vedovile" di Isabella d'Este.
Come testimoniano i documenti di pagamento, il L. realizzò l'intera decorazione ad affresco dei due appartamenti (ibid., pp. 51-56). Se la decorazione dell'appartamento di Federico II, basata su raffinati contenuti allegorici, è perduta, degli interventi per Isabella d'Este rimane la volta della "camera grande", la cosiddetta sala della Scalcheria. Il complesso decorativo riprende alcune tematiche tipicamente isabelliane legate al neoplatonismo e dal punto di vista formale mostra gli effetti del breve viaggio romano del Leonbruno. Le grottesche che definiscono il campo centrale della volta, così diverse dagli esempi mantegneschi, denunciano la conoscenza di decorazioni romane, ma non di quelle più aggiornate prodotte dalla bottega di Raffaello. Anche le figure maschili che campeggiano nei pennacchi, graficamente tratte dagli Ignudi della volta della cappella Sistina, ignorano la vigoria michelangiolesca; così pure gli stucchi sono lontani, anche tecnicamente, da quanto si andava producendo a Roma in quegli anni. La multiforme attività del L. al principio del terzo decennio del XVI secolo lo portò, sempre nel 1523, alla manifattura di due bandiere, nonché alla decorazione di un passaggio nel castello di S. Giorgio, le cui pareti sono affrescate ad architetture in prospettiva, in cui si sentono echi romani.
Alla grande fortuna di quegli anni seguì, nel 1524, un periodo di profondo mutamento nell'attività artistica e nella vita privata del L.: il 28 febbraio viene ricordato per la prima volta come ingegnere militare, inviato a Venezia presso l'oratore gonzaghesco, Giovanni Battista Malatesta, per disegnare le fortificazioni di Padova e Treviso (ibid., p. 57); dopo il 1° agosto fu allontanato dalle imprese artistiche che gli erano state commissionate a Marmirolo; il 5 aprile ebbe inizio una serie di vicende giudiziarie con i parenti della moglie, Angela de Salati, che si conclusero nel 1529 con la restituzione della dote ai familiari della moglie, morta in quell'anno.
La causa della crisi professionale si lega all'arrivo di Giulio Romano a Mantova, com'è testimoniato da una drammatica, ma dignitosa, lettera del 20 genn. 1525 inviata dal L. a Mario Equicola, segretario di Federico II Gonzaga (ibid., pp. 57 s.).
La lettera conferma l'esonero dalla decorazione della loggia della residenza gonzaghesca di Marmirolo, e l'inizio del periodo di relativa disgrazia, in cui il L. fu prevalentemente impiegato come ingegnere militare.
Una testimonianza figurativa di questo brusco cambiamento può essere riconosciuta nell'Allegoria della Fortuna firmata (Milano, Pinacoteca di Brera), nella quale gli insistiti arcaismi di sapore mantegnesco sono una programmatica presa di posizione formale nei confronti delle novità portate a Mantova da Giulio Romano.
In questa situazione potrebbe sorprendere il dono, fatto al L. da Federico II il 1° febbr. 1526, di un terreno di oltre 30 ettari situato presso Reggiolo; ma questo atto può essere considerato da un lato quasi come una liquidazione per i servigi resi dall'artista e dall'altro come una testimonianza della continuità dei suoi legami con la corte. Il 31 luglio 1526, infatti, Federico II ordinò perentoriamente al L. di raggiungerlo a Goito, con quanto fosse necessario per "dessignare una forteza" (Ventura, p. 60).
Nel campo dell'ingegneria militare il L. dovette raggiungere una certa abilità, tanto che nell'autunno del 1530, dopo un soggiorno a Trento, cercò una migliore occupazione presso il duca di Milano Francesco II Sforza, proprio come ingegnere militare.
Il 17 nov. 1530 l'architetto Fabrizio Colli scrisse a Giovanni Angelo Rizzo, segretario del duca di Milano, una lettera di elogi per il L., ricordato come autore dei progetti per le nuove fortificazioni di Mantova, nonché come pittore (ibid., pp. 64 s.). Quattro giorni dopo, anche il segretario del duca Gonzaga a Casale Monferrato, Stazio Gadio, inviò da Mantova a Rizzo notizie positive sulle qualità ingegneristiche del L., facendo riferimento a un'altra lettera di raccomandazione, perduta, inviata da Isabella d'Este che, anche in questa occasione, si confermava la più importante protettrice dell'artista.
Le trattative per il passaggio al servizio del duca di Milano ebbero buon esito e, prima di lasciare Mantova, nel dicembre 1530, il L. estinse alcuni debiti; poi, in data non precisabile, si trasferì a Milano, dove si trovava con sicurezza il 27 ott. 1531.
In una lettera inviata in quella data a Stazio Gadio, il L. si dichiarava ormai attivo come architetto militare per Francesco Sforza, ma accettava comunque di realizzare un rilievo delle mura e del castello di Casale Monferrato su incarico di Federico II Gonzaga. Esprimeva inoltre il desidero di tornare a lavorare in patria, anche con un salario inferiore a quello che gli veniva garantito dal duca di Milano (ibid., pp. 66 s.).
Il 10 giugno 1532, cogliendo l'occasione di un temporaneo rientro del L. a Mantova, Federico II Gonzaga incaricò il pittore di mettersi al servizio di Luigi Gonzaga di Castelgoffredo, per il disegno di una fortificazione. Dopo questo impegno, il L. non tornò immediatamente a Milano ma, tra la fine del 1532 e i primi mesi del 1533, realizzò dei ritratti di cavalli su incarico di Federico II come dono per l'imperatore Carlo V.
Si possono collocare in questa fase estrema di attività due opere firmate, il S. Girolamo conservato in collezione privata (ripr. Ibid., fig. 10) e il Compianto su Cristo morto (Mantova, Palazzo ducale). Nel S. Girolamo, databile poco prima del 1530, per la morbidezza del modellato, è evidente un avvicinamento a modelli della provincia veneta, ma anche un ritorno meditato alla pittura emiliana del Correggio e dei ferraresi come Garofalo. Nel Compianto si affacciano alcuni elementi tratti da lontani esempi michelangioleschi (la Pietà di S. Pietro) e da opere mantovane di Giulio Romano; ma ciò avviene sempre in misura superficiale, senza che il L. abbandoni i suoi riferimenti formali consolidati (Costa e gli emiliani).
Ancora più difficile è tentare di individuare lo stile del L. nelle opere destinate alla committenza ecclesiastica, anche se sono state avanzate alcune ipotesi che potrebbero permettere ulteriori approfondimenti. In particolare sono due le pale d'altare a lui attribuibili: una Madonna con Bambino e santi (Mantova, Palazzo ducale), solitamente assegnata a Francesco Francia, ma vicina allo stile del L. del secondo decennio del Cinquecento; e una pala, con i Ss. Pietro, Paolo e Antonio da Padova (Mantova, S. Apollonia), che potrebbe mostrare lo stile del L. verso il 1530, quando sono più evidenti i motivi formali di derivazione veneta.
Alla fine di dicembre 1529 il L., in procinto di trasferirsi "in districtu Tridentini et Ongariae", fece testamento (21 dic. 1529), parzialmente modificato con un codicillo rogato a Mantova il 24 marzo 1532.
Il L. chiedeva di essere sepolto a Mantova, nel monumento funebre familiare, nella chiesa di S. Maria del Carmine, e stabilì alcuni lasciti, costituendo quale propria erede universale Antonia, figlia di Bartolomeo de Sacchetta, che viveva da qualche tempo con lui more iugalium.
Non si conosce la data di morte del L., anche se alcuni documenti noti agli studiosi ottocenteschi ricordano la sua iscrizione nei registri dei salariati dei Gonzaga fino al 1537, anno che, in assenza di notizie certe, può essere accettato, seppur in via ipotetica, come data di morte.
Fonti e Bibl.: L. Ventura, L. L. Un pittore a corte nella Mantova di primo Cinquecento, Roma 1995 (con bibl.); A. De Marchi, Dosso versus L., in Dosso's fate: painting and court culture in Renaissance Italy, a cura di L. Ciammitti - S.F. Ostrow - S. Settis, Los Angeles 1998, pp. 152-175; H. Economopoulos, "La pietà con l'arte e l'arte con la pietà": collezionismo e committenza del cardinale Paolo Emilio Sfondrato, in "Veri cardines, et clarissima Ecclesiae lumina", a cura di M. Gallo, III, Roma 2001, pp. 23-53; M.T. Sambin de Norcen, "Certe composicione de marmoro pisto": sui primi stucchi rinascimentali a Mantova, in Italia medioevale e umanistica, XLIV (2003), pp. 199-223; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 81.