GRAMICCIA, Lorenzo
Nacque a Cave, presso Palestrina, nel 1702, come è comunemente riportato dalla letteratura (Di Re), o nel 1704, secondo quanto si deduce da un documento pubblicato da Petraroia (p. 281). Qui si legge che nel 1721 il G. era "di anni diciassette" e abitava a Roma, in qualità di discepolo, presso il pittore emiliano Bonaventura Lamberti, deceduto nel settembre di quello stesso anno. Conferma tale rapporto la circostanza che fu il G. a completare uno dei quattro cartoni, quello con S. Pietro che battezza s. Petronilla, commissionati al pittore emiliano nel 1719, per i mosaici dei sordini della cappella degli Angeli e di S. Petronilla in S. Pietro in Vaticano.
Fino al 1745, il G. fu ospite degli ateliers di palazzo Farnese anche se non ci è giunta nessuna opera di questo periodo.
Nel 1749 l'artista sposò la sorella di Clemente Frusinetti (O. Michel, p. 596). Nello stesso anno eseguì gli affreschi, ancora in situ e condotti insieme con Sebastiano Ceccarini, per la chiesa delle benedettine del monastero romano di Tor de' Specchi (Pansecchi, pp. 129-136).
Nel 1748-49 i due artisti avevano già lavorato insieme, nella distrutta chiesa di S. Maria Liberatrice al foro Romano, ove avevano eseguito per la cappella di S. Francesca Romana i due riquadri laterali raffiguranti miracoli della santa. Della tela del G. vista da Titi nel 1763 (p. 205), che doveva forse raffigurare S. Francesca che risana un infermo (ibid., p. 134), si sa che nel 1970 era conservata in una collezione privata (Galleria nazionale d'arte antica…).
Nella cappella del coro del monastero di Tor de' Specchi il G. affrescò, nel catino absidale, L'Eterno e s. Michele con angeli musicanti, opera oggi completamente perduta nella parte inferiore e coperta da pesanti ridipinture nella superiore; nei pennacchi dell'arco absidale angeli con corone di fiori e rami di palme, e infine in controfacciata, ai lati dell'organo, due gruppi di angeli musici (Pansecchi, pp. 130 s.).
In questa, che è la prima opera a noi nota del G., il carattere formale delle figure, prettamente neosecentesco e di gusto classicista, probabilmente memore dell'alunnato presso l'emiliano Lamberti, si sposa con un gusto del colore dichiaratamente settecentesco nella gamma cromatica tenue, ciclamino e verde chiaro, adattata su un'intonazione generale spesso metallica, illuminata da un abile "uso dei cangianti e degli effetti serici anche dorati" (ibid., p. 131).
Nel 1753 il G. dipinse, per la chiesa dei minori conventuali di S. Carlo a Cave, un ciclo di tele poste nella cappella dedicata a S. Giuseppe da Copertino.
La pala d'altare raffigura I ss. Bonaventura e Giuseppe da Copertino e il beato Andrea Conti, nella parete destra il quadro illustra il Miracolo di s. Bonaventura che salva un giovane, nella parete sinistra un dipinto, quasi illeggibile, rappresenta Il santo che ridona la vista ad una fanciulla; infine una lunetta sopra l'altare mostra S. Giuseppe da Copertino che resuscita un gregge colpito dalla grandine. In questo piccolo complesso il G. utilizzò un linguaggio semplificato che meglio interpreta la destinazione provinciale delle opere e quindi il loro carattere prettamente devozionale (ibid., p. 131).
Nel 1756 la principessa Olimpia Caffarelli Pamphili commissionò al G. la tela con l'Assunzione della Vergine per la sua chiesa di palazzo (Valmontone, collegiata dell'Assunta). In questa opera il pittore cercò di fondere in un registro monumentale gli elementi della sua cultura classicistica emiliana con gli aggiornamenti propri della scuola romana da Carlo Maratta in avanti.
Stesse caratteristiche formali presenta la Visione di s. Antonio da Padova, conservata in S. Dorotea a Roma, eseguita dal G. nello stesso anno.
Nel 1759 il pittore dipinse una piccola Allegoria del regno di Carlo III di Spagna (Roma, collezione Lemme), caratterizzata da una folla gremita di personaggi che si accalca intorno all'assorto sovrano.
Un fondamentale cambiamento nella vita dell'artista si ebbe nel 1765, quando, dopo una breve sosta a Bologna, ove non si trattenne poiché probabilmente non ricevette commissioni di lavoro (Pansecchi, p. 132), il G. si recò a Venezia, città nella quale rimase sino alla morte, ospite, secondo Giannantonio Moschini (p. 590), della nobile famiglia Cavalli, che possedette diverse opere del pittore.
A Venezia il G. alternò la sua produzione di pale d'altare e dipinti per chiese, di gusto classicista, con quella di scene di genere che risentirono con evidenza della lezione di Pietro Longhi.
Il primo dipinto eseguito nella città lagunare risale al 1765, quando il G. firmò e datò la Madonna del Rosario con i ss. Domenico e Caterina, per la chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo.
Per la Scuola della Carità, nel 1769, dipinse l'Elia con l'angelo (Venezia, Gallerie dell'Accademia); un anno dopo firmò la tela raffigurante l'Addolorata con i simboli della Passione per la chiesa di S. Giacomo dell'Orio.
La Sacra Famiglia con i ss. Giovannino, Elisabetta, Anna e Zaccaria (Québec, Musée du Séminaire), datata e firmata dal G. nel 1771, corrisponde probabilmente alla Sacra famiglia segnalata da Moschini (p. 105) nella chiesa di S. Simeone Grande.
Tutte queste opere sono caratterizzate da un gusto arcaizzante di stampo cinquecentesco, che preannuncia già "l'Ottocento veneto più reazionario" (Moschini Marconi) e rifiuta coscientemente lo stile rococò allora in voga a Venezia, contribuendo a sottolineare le origini romane del pittore, orgogliosamente dichiarate anche nell'iscrizione posta a firma della pala dell'Addolorata.
Di segno opposto la sua produzione di scene di genere. Nel piccolo dipinto denominato La visita, o Convegno di famiglia come proposto da Pignatti (1968), conservato al Museo civico di Udine e recante la firma del G., apparsa dopo una ripulitura della superficie pittorica (Brandi, p. 120), le piccole figure in abiti contemporanei sono caratterizzate da una solida volumetria e ambientate in una ampia sala, animata dalla luce che proviene dalle finestre.
A Venezia il pittore dovette godere di stima e notorietà, come risulta dalle parole di Pietro Gradenigo, suo contemporaneo, il quale vide le opere veneziane del G., tuttora esistenti, e lodò anche un "bellissimo quadro rappresentante Giacobbe aspirante alle nozze della vaga Lia promessagli da Abramo", esposto dal pittore il 3 sett. 1769 in piazza S. Marco (Notizie d'arte…, p. 184).
Pignatti (1968) ha riferito al G. una serie di opere, già variamente attribuita a Longhi e alla sua cerchia, che presenta indubbie consonanze stilistiche con la scena d'interno del Museo civico di Udine (Pallucchini, 1996, p. 401): la Lezione di geografia (Venezia, Galleria G. Franchetti), il Goldoni nello studio, già a Milano nella collezione Crespi-Morbio, e il Convegno di famiglia (Venezia, Museo del Settecento veneziano), opere tutte caratterizzate, sulla base di un esplicito riferimento alla maniera di Longhi degli anni Ottanta, da un irrigidimento del suo linguaggio formale, che assume forme più stentate e colori meno brillanti, pur conservando, nell'insieme, una briosa nota di vivacità.
Dagli inventari della Collezione Corsini di Roma risulta che nel 1808 vi era conservato un quadro del G. raffigurante S. Pietro che risuscita la tabita, attualmente di proprietà dell'Accademia dei Lincei (Magnanimini, p. 103). Molto incerta è l'attribuzione al G. di un dipinto allegorico, raffigurante un bimbo dormiente appoggiato su un teschio, conservato nei depositi delle Gallerie dell'Accademia (Moschini Marconi).
Il G. morì a Venezia nel 1795.
Fonti e Bibl.: F. Titi, Descrizione delle pitture sculture e architetture esposte al pubblico in Roma (1763), Roma 1978, pp. 205, 453; G. Moschini, Guida per la città di Venezia all'amico delle belle arti, II, Venezia 1815, pp. 105, 117, 478, 590; G. Costantini, La chiesa di S. Giacomo dell'Orio in Venezia, Venezia 1912, p. 53; A. Caramanica - M. Livignani, Storia di Valmontone (1916), Roma 1968, p. 28; G. Fiocco, Catalogo delle opere d'arte tolte a Venezia nel 1808-1816-1838. Restituite dopo la vittoria, Venezia 1919, pp. 49, 153; Notizie d'arte tratte dai notatori e dagli annali del n.h. Pietro Gradenigo, a cura di L. Livan, Venezia 1942, pp. 184, 202; C. Someda De Marco, Il Museo civico e le Gallerie d'arte antica e moderna di Udine, Udine 1956, p. 164; C. Donzelli, I pittori veneti del Settecento, Firenze 1957, p. 100; C. Brandi, in Il Settecento a Roma (catal.), Roma 1959, p. 120; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Settecento, Venezia-Roma 1960, pp. 191, 230; Mostra della pittura veneta del Settecento in Friuli (catal.), a cura di A. Rizzi, Udine 1966, p. 74; S. Moschini, Il catalogo delle Gallerie dell'Accademia. Nuovi accertamenti, in Ateneo veneto, V (1967), 1-2, p. 152; T. Pignatti, Pietro Longhi, Venezia 1968, p. 42; Galleria nazionale d'arte antica. Acquisti, doni, lasciti, restauri e recuperi, 1962-1970 (catal.), a cura di I. Faldi, Roma 1970, p. 20; S. Moschini Marconi, Gallerie dell'Accademia di Venezia. Opere d'arte dei secoli XVII, XVIII, XIX, Roma 1970, p. 32; T. Pignatti, L'opera completa di Pietro Longhi, Milano 1974, p. 106; N.A. Mallory, Notizie sulla pittura a Roma nel XVIII secolo (1718-1760), in Boll. d'arte, LXI (1976), 1-2, p. 111; G. Magnanimini, Inventari della collezione romana del principe Corsini, ibid., LXV (1980), 8, p. 103; G. Michel, in Le Palais Farnèse, I, 2, Roma 1981, p. 552; O. Michel, ibid., pp. 587, 596; P. Petraroia, Ventura Lamberti, in Riv. dell'Istituto nazionale d'archeologia e storia dell'arte, IV (1981), pp. 281, 315 s., 318; S. Rudolph, La pittura del '700 a Roma, Milano 1983, p. 773; P. Di Re, Valmontone, Roma 1984, p. 159; F. Pansecchi, Ceccarini e G. a Tor de' Specchi. Vicenda di L. G., in Boll. d'arte, LXXI (1986), 37-38, pp. 129-136; G. Bergamini, I musei del castello di Udine. La Galleria d'arte antica. La Pinacoteca, Udine 1994, p. 91; R. Pallucchini, La pittura nel Veneto. Il Settecento, Milano 1996, pp. 400 s., 464; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 497; The Dictionary of art, XIII, pp. 276 s.; E. Benezit, Dictionnaire critique et documentaire des peintres, sculpteurs, dessinateurs et graveurs, VI, p. 365.