GHIRARDELLI, Lorenzo
Nacque a Bergamo nel 1600, figlio del notaio Alessandro. Avviato alla professione paterna, frequentò i corsi di diritto dell'Università di Padova, durante i quali si avvicinò anche alla letteratura e alla poesia, attività che preferiva alla giurisprudenza. Tornato a Bergamo dopo la laurea, ottenne facilmente il posto di pubblico cancelliere del Comune.
A questo periodo risalgono le sue prime prove poetiche, di carattere celebrativo: la Corona poetica dell'heroiche virtù del signor Giacomo Suriano capitanio di Bergamo (Bergamo 1621), il Panegirico in sesta rima per Federico Cornaro vescovo di Bergamo (ibid. 1624) e gli Applausi di Nettuno per la creatione del serenissimo doge di Venetia Giovanni Cornaro (ibid. 1625).
Poco dopo sposò Camilla Zucca, dalla quale ebbe due figli: Alessandro, futuro arciprete di Clusone (nel territorio di Bergamo) e poeta epico, e Andrea.
La sua carriera di funzionario e letterato di provincia subì una svolta nel 1629 quando il G., come cancelliere, dovette occuparsi prima della carestia che devastò Bergamo e l'Italia del Nord, e, subito dopo, in quanto membro di diritto dell'Ufficio di sanità, della peste che la seguì. Anch'egli fu colpito dall'epidemia, che lo risparmiò, ma uccise la giovane moglie. Cessato il contagio, in virtù della sua esperienza diretta dei fatti e della fama di letterato che godeva, nel 1631 ottenne dal Maggior Consiglio cittadino l'incarico di scrivere la storia ufficiale della pestilenza, che costituisce il suo lavoro più importante.
Mentre portava avanti quest'opera, scrisse altre rime d'occasione, raccolte nel Panegirico per il felice governo di Bergamo del signor Marino Zorzi podestà, con l'aggiunta di nobilissimi sonetti (Bergamo 1636), e compose due poemi rimasti manoscritti, I trastulli honesti e l'Antonia Bonga, quest'ultimo di carattere epico.
Entrato a far parte dell'ambiente letterario e membro di numerose accademie (degli Umoristi di Roma, degli Svogliati di Firenze, dei Ricoverati di Padova, degli Erranti di Brescia), il G. morì a Bergamo il 13 febbr. 1641.
Il memorando contagio seguito in Bergamo l'anno 1630 fu pubblicato, molto dopo la morte dell'autore, a Bergamo nel 1681. Il G. aveva rinviato a lungo la pubblicazione, forse per il timore di attirarsi l'ostilità dell'aristocrazia veneziana, che, detentrice delle maggiori cariche pubbliche cittadine, aveva di fatto abbandonato la città nel momento del pericolo (sebbene i giudizi del G. in proposito siano più che prudenti), o altrimenti di suscitare l'avversione di altri scrittori (come il medico e cancelliere del Consorzio della Misericordia M.A. Benaglio), che avevano preso le difese del governo veneziano, sostenendo che la città era dove si trovavano i cittadini e non il contrario. La minore età dei figli alla scomparsa del G. posticipò ancora la stampa; bisognò attendere il 18 giugno 1656 perché essi presentassero l'opera ai deputati di Bergamo, ma la licenza ecclesiastica per la sua pubblicazione non sopravvenne (anche il vescovo era stato tra coloro che aveva abbandonato la città durante l'epidemia) prima dell'8 marzo 1680.
La descrizione del G., molto dettagliata e non priva di compassione verso le vittime, oltre che meno credula sulle unzioni rispetto agli autori milanesi, fu apprezzata da A. Manzoni che la utilizzò tra le fonti dei Promessi sposi. Nel Fermo e Lucia (parte IV, cap. V) deriva dal G. tutta la descrizione della peste di Bergamo, poi sostituita nell'edizione finale del romanzo da un esplicito rinvio all'autore bergamasco, "raro però e sconosciuto, quantunque contenga forse più roba che tutte insieme le descrizioni più celebri di pestilenze" (cap. XXXIII). Sono frutto della lettura manzoniana del G. anche il discorso di Bortolo sui provvedimenti presi dalla città di Bergamo contro la carestia (cap. XVII), il ritratto di alcuni mendicanti (cap. XXVIII) e l'elenco delle esenzioni fiscali concesse agli stranieri dal governo veneto, alla fine del romanzo.
Oltre al Memorando contagio, secondo D. Calvi il G. scrisse degli Elogi istorici di tutti i soggetti più ragguardevoli della patria, rimasti manoscritti; B. Belotti cita, senza indicare dove siano conservate, alcune sue Memorie relative alla storia cittadina.
Fonti e Bibl.: M.A. Benaglio, Relazione della carestia e della peste di Bergamo e suo territorio negli anni 1629 e 1630, a cura di G. Finazzi, in Miscellanea di storia italiana, VI (1865), pp. 411 s.; D. Calvi, Scena letteraria de gli scrittori bergamaschi, I, Bergamo 1664, pp. 369-371; G. Donati Petteni, A. Manzoni e uno storico bergamasco del '600, in La Rivista di Bergamo, V (1926), pp. 1-12 (poi in Bergamo, scritti vari di letteratura e di storia, a cura di G. Gambirasio, Bergamo 1956, pp. 22, 25-38); F. Nicolini, Peste e untori nei Promessi sposi e nella realtà storica, Bari 1937, pp. 38 s., 186; L. Volpi, Tre secoli di cultura bergamasca, dalle Accademie degli Eccitati e degli Arvali all'Ateneo, Bergamo 1952, pp. 31, 37; G.P. Galizzi, La Biblioteca civica A. Mai, a cura di L. Chiodi, Bergamo 1958, p. 14; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, Bergamo 1959, I, III-V, ad indices; M. Penco, Fonti manzoniane: Manzoni e G., in Contributi dell'Istituto di filologia moderna. Serie italiana, II, Milano 1966, pp. 219-264; E.N. Girardi - G. Spada, Manzoni e il Seicento lombardo, Milano 1977, pp. 25, 48 s.; A. Manzoni, I promessi sposi, in Id., Tutte le opere, a cura di A. Chiari - F. Ghisalberti, Milano 1977, II, 1, p. 571; II, 2, pp. 573, 592-594, 856 s.