GHIGLINI, Lorenzo
Nacque ad Arenzano il 7 febbr. 1803 da una delle famiglie più distinte della Riviera ligure occidentale, ramo della nobile casata dei Ghillini di Alessandria di Piemonte. La madre era sorella di Giuseppe Polleri, il filantropo che nel 1862 avrebbe lasciato ai poveri di Genova la cospicua somma di 3 milioni di lire.
Dopo essersi laureato in giurisprudenza nell'ateneo genovese, il G., attratto dalla medicina, si iscrisse all'Università di Bologna e vi si laureò nel 1830. Interessato soprattutto alla ricerca pura (non esercitò mai propriamente, infatti, la professione medica), mise per iscritto in vari lavori i risultati delle proprie osservazioni, cominciando nel 1832 col pubblicare uno studio sulla duplice forma del moto vitale, dottrina insegnata dal patologo urbinate F. Puccinotti, il quale gli professò in quell'occasione stima e considerazione. Altre ricerche sulla febbre tifoidea gli valsero l'attenzione di luminari quali G. Tommasini e M. Bufalini. Attorno alla metà degli anni Quaranta, però, anche a causa di ripetute sventure familiari il G. dovette lasciare i suoi studi e si diede a frequentare le lezioni di scienze politiche ed economiche all'Università di Pisa, ove soggiornò per alcuni anni.
Gli avvenimenti seguiti alla decisa svolta riformatrice promossa dal re Carlo Alberto negli Stati sardi a partire dall'ottobre 1847 non lo colsero impreparato: come sindaco, il G. resse la nuova amministrazione di Arenzano ed entrò direttamente nella vita politica alla proclamazione dello Statuto: abbandonate le giovanili suggestioni democratiche, riscoprì la tradizione cattolica, che, in quei momenti, grazie alla mediazione giobertiana, pareva potersi perfettamente conciliare con il movimento nazionale. Fu sconfitto nelle elezioni per le prime tre legislature, ma riuscì finalmente eletto nella tornata del dicembre 1849, in quel collegio di Voltri che lo avrebbe riconfermato deputato, con consenso sempre crescente, anche nelle successive consultazioni del 1853 e del 1857.
Alla Camera, il G. sedette accanto a uomini (quali il conte O. Thaon di Revel, F. Sclopis, G. Benso marchese di Cavour) come lui profondamente religiosi, sinceramente devoti al trono e all'altare, ma consapevoli della irreversibilità del processo storico avviatosi in Piemonte. Non timorosi in assoluto delle novità, erano disposti a venire a patti con il regime instauratosi dopo il 1848 e a collaborare lealmente alla vita costituzionale del paese, purché tutto ciò non ledesse la fede religiosa e l'ossequio alla Chiesa. La politica di secolarizzazione dello Stato intrapresa dai gabinetti d'Azeglio e Cavour, mirando ad affievolire il sentimento di fedeltà incondizionata del clero verso la S. Sede e l'influenza morale del clero stesso, secolare e regolare, sulle popolazioni finì per compattare su un unico fronte i deputati cattolici, come accadde in occasione della violentissima battaglia accesasi nei primi mesi del 1855 sulla abolizione delle corporazioni religiose. In quella circostanza il G., caldamente incoraggiato da A. Rosmini Serbati, con cui era in contatto epistolare, pronunciò un intervento assai incisivo per condannare senza appello il disegno di legge governativo che giudicò lesivo del diritto di proprietà, di quello di associazione (entrambi considerati naturali e primitivi, dunque non creati dalla legge) e offensivo di ogni senso morale. Non fu estranea al G. in questa circostanza la preoccupazione della spaccatura che avrebbe potuto separare in futuro i cattolici dalla causa nazionale.
L'impegno profuso in quel frangente valse al G. la considerazione di Ch. de Montalembert, il quale, come chiaramente emerge da alcuni contatti epistolari, mise il deputato di Voltri in relazione con gli ambienti della Destra cattolica francese e lo considerò un valido punto di riferimento per una più diretta conoscenza delle cose d'Italia.
Quello pronunciato in occasione dello scontro sulle corporazioni non fu comunque l'unico rimarchevole discorso del G. deputato: sempre attento alle questioni economico-finanziarie, più volte egli fu severo censore di una politica governativa caratterizzata da eccessivo carico fiscale, nonché da un troppo facile ricorso al prestito estero e alla spesa straordinaria. Quando però gli eventi del 1859-60 misero definitivamente in crisi il suo neoguelfismo decise di abbandonare le aule parlamentari e tornò alla sua attività di studioso: è di questo periodo infatti la pubblicazione di un opuscolo sul tema Dell'inamovibilità dei giudici (Genova 1859).
Il decreto reale di nomina a senatore del Regno (20 nov. 1861) riportò il G. alla vita pubblica. Anche nella Camera alta egli prese in varie occasioni la parola: in particolare, si oppose nel 1865 alla introduzione del matrimonio civile, con un vigoroso intervento centrato sulla difesa dello spirito della carta albertina, frutto secondo il G. di una perfetta osmosi fra ossequio alla religione dei padri e affermazione del principio di libertà. Successivamente, rivolgendosi per iscritto ai colleghi senatori, combatté energicamente la liquidazione dell'asse ecclesiastico.
Ma l'esperienza cui il G. dedicò forse le sue migliori energie fu quella degli Annali cattolici, il periodico ispirato nel 1863 da mons. A. Charvaz, arcivescovo di Genova, e diretto dai giovani P.M. Salvago e M. Da Passano.
I primi numeri della rivista erano apparsi poco tempo dopo la conclusione di quel Congresso cattolico di Mechelen in cui Ch. de Montalembert, che sarebbe poi divenuto una sorta di padre nobile per il gruppo degli Annali, aveva rilanciato, come idee guida, l'unità religiosa nella Chiesa cattolica, e la libertà politica nelle forme di governo. Seguendo dunque la lezione del cattolicesimo belga e francese, il gruppo degli Annali (al quale furono vicini personalità del livello di C. Cantù e N. Tommaseo) ritenne giunto il momento di partecipare attivamente alla vita politica, rifiutando ogni sterile intransigentismo e puntando anzi a determinare nei fedeli una svolta conciliatorista.
In questo quadro si inserì la battaglia intrapresa sulle pagine degli Annali dal G. a partire dal 1867 e interrotta solamente dalla sua morte. In numerosi articoli, comparsi a volte sotto lo pseudonimo di Antonio Montalbo, il G. sostenne, in violenta polemica contro l'astensionismo professato da tanta parte del mondo cattolico, l'imprescindibile necessità della partecipazione alle elezioni politiche. Nel corretto uso dei diritti politici il G. ravvisava infatti l'unico strumento capace di consentire una difesa veramente efficace degli interessi più cari a ogni buon cattolico. Egli era tra l'altro incoraggiato nella sua lotta dalla pronuncia della Sacra Penitenzieria, avvenuta nel 1866 (anno in cui il G. fu ricevuto in udienza privata dal pontefice Pio IX), che, in effetti, sembrava venire incontro alle istanze dei partecipazionisti. In direzione analoga andava il progetto di un quotidiano cattolico che il G. vagheggiò di fondare con N. Tommaseo e che nelle sue intenzioni doveva favorire la nascita di uno schieramento conservatore-liberale.
Il G., che dal momento dell'annessione di Roma aveva cessato di prendere parte ai lavori del Senato, si occupò, negli ultimi momenti della vita, della risistemazione dei suoi scritti da dedicare al figlio.
Morì in Genova, assistito da don Giovanni Bosco, il 29 nov. 1873.
Fonti e Bibl.: Notizie sulla vita del G. nella commemorazione di B. Fazio in Annali cattolici, XV (gennaio-dicembre 1873), pp. 671-675. Per i contatti giovanili con esponenti della democrazia si veda R. Guastalla, La vita e le opere di F.D. Guerrazzi, I, Rocca San Casciano 1903, p. 367; G. Mazzini, Scritti editi ed inediti, V, Imola 1909, pp. 5 s.; XIX, ibid. 1914, p. 134. Sulle relazioni intessute dal G. negli anni della maturità si veda N. Bixio, Epistolario, II, a cura di E. Morelli, Roma 1943, pp. 438-441; e soprattutto I. Scovazzi, Voci del Risorgimento da Albisola Capo, in Atti della Società savonese di storia patria, XXXIV (1962), pp. 78-117, che pubblica 26 lettere (conservate nella biblioteca dei marchesi Balbi di Albisola, famiglia imparentata con i Ghiglini) indirizzate in tempi diversi al G. da illustri suoi contemporanei, italiani e stranieri.
Riferimenti storiografici al G. in F. Fonzi, Correnti di opposizione alla politica piemontese tra i cattolici liguri negli anni 1849-1859, in Rass. storica del Risorgimento, XXXIX (1952), p. 550; C. De Negri, Arenzano: cose, eventi, genti, Genova 1953, p. 89; A.C. Jemolo, Il "partito cattolico" piemontese nel 1855 e la legge sarda soppressiva delle comunità religiose, in Id., Scritti vari di storia religiosa e civile, a cura di F. Margiotta Broglio, Milano 1965, p. 363; C. Pischedda, Le elezioni politiche nel Regno di Sardegna, Torino 1965, tabb. XII, XIII; Id., Le elezioni piemontesi del 1857, Cuneo 1969, pp. 26, 136, 144; O. Pellegrino Confessore, Cattolici col papa, liberali con lo Statuto. Ricerche sui conservatori nazionali, Roma 1973, pp. 51 s., 59, 85, 250; A. Calani, Il Parlamento del Regno d'Italia, Milano 1866, pp. 997-1002; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, pp. 509 s.; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v.; Enc. biogr. e bibliografica "Italiana", Il Risorgimento italiano, F. Ercole, Gli uomini politici, II, sub voce; Ibid., A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, II, sub voce.