GENESINI (Canozi, Camozzi), Lorenzo (Lorenzo da Lendinara)
Nacque a Lendinara, presso Rovigo, intorno al 1420 (Fiocco, 1961, p. 15), da Andrea di Iacopo, marangone (falegname) alla corte estense, e da Ondaria (Bagatin, 1991, p. 37). La sua formazione, come quella del fratello Cristoforo, non fu pittorica, condotta nella bottega padovana dello Squarcione (Caffi, pp. 5 s.), ma lignaria, e avvenne presso il padre a Lendinara.
È a Ferrara che i due fratelli sono documentati per la prima volta, attivi per conto di Leonello d'Este nello studiolo di Belfiore. Figlio di Niccolò III d'Este e fratello maggiore di Borso, il raffinato marchese, cresciuto sugli insegnamenti di dotti umanisti, tra cui Guarino da Verona, fu il principe di una corte dove anche l'arredo ligneo, e in particolare l'ancora nuova tarsia prospettica, furono particolarmente apprezzati. La residenza marchionale di Belfiore, ristrutturata e ampliata all'inizio degli anni Quaranta, in coincidenza con l'ascesa al potere di Leonello, previde, tra l'altro, il celebrato arredo dello studiolo, particolarissimo ambiente di studio e rappresentanza, oggi perduto, realizzato da diverse maestranze tra il 1448 e il 1453. Nel memoriale dell'8 luglio 1449 i "lavorenti" Cristoforo e Lorenzo sono menzionati "per pagamento de tarsie che loro hano a fare per lo dito studio[…] e per certi lavorieri de intaiamenti" (Venturi, p. 622), e vi risultano attivi fino alla metà del 1453 (Manni, pp. 28, 37). Il G., insieme con il fratello, ebbe dunque modo non solo di arricchire il mestiere dal rapporto di collaborazione istituito con l'affermata bottega del modenese Arduino da Baiso che sovrintese ai lavori, ma di operare in quella città che vide giungere nel 1449, o agli inizi del 1450, Piero Della Francesca con le sue innovative teorie prospettiche, così importanti per la formazione dell'arte tarsiaria dei lendinaresi. Tuttavia, l'incontro con Piero, con il quale il G. ebbe uno stretto rapporto di amicizia, come testimonia L. Pacioli (1509), non comportò l'immediata conversione al suo linguaggio. La produzione dei giovani maestri lendinaresi appariva in quel momento ancora imbevuta di accenti tardogotici: i due fratelli erano abili maestri d'intaglio, e solo di lì a poco sarebbero diventati apprezzati "magistri perspectivae" (Ferretti, pp. 496 s.).
Secondo quanto riferisce Cittadella, prima di tornare a Lendinara il G. e Cristoforo assunsero nel 1456 l'incarico di realizzare il coro della cattedrale ferrarese, presumibilmente mai condotto nei termini stabiliti dal progetto originario. In questo frangente si collocano diversi lavori di minore importanza, tra cui alcuni arredi lignei (Bagatin, 1991, pp. 44, 69), accanto a imprese maggiori che, non essendo documentate, sono state attribuite ai due fratelli con cautela: parte del coro di S. Prospero a Reggio Emilia, realizzato tra il 1457 e il 1458, parte di quello dei monaci olivetani di S. Giorgio, appena fuori le mura della città di Ferrara, il pulpito del duomo di Este (Id., 1990, pp. 38-41; 1991, pp. 44-47).
A Lendinara il G., insieme con Cristoforo, lavorò alla realizzazione del pulpito intarsiato per la chiesa di S. Francesco, pagato il 20 apr. 1458 da Giacomo e Niccolò Brillo il cui stemma nobiliare compare anche sulla grata lignea a intarsio e traforo - oggi nel municipio, proveniente dalla chiesa soppressa di S. Maria Nuova alla Braglia - attribuita anch'essa alla loro bottega. Il legame con i minori conventuali di Lendinara non fu soltanto devozionale - nel proprio testamento del 1477 il G. destinò una somma cospicua alla cappella di S. Bernardino nella chiesa francescana - ma, con il pulpito, si avviò un rapporto di committenza che con ogni probabilità si estese anche all'allogazione del "novus chorus" della chiesa di S. Francesco, demolita nella seconda metà del Settecento (Id., 1990, pp. 41 s.).
Quando i canonici del duomo di Modena decisero di provvedere alla messa in opera di un coro, chiamarono i due maestri lendinaresi, che nel 1460 presentarono un disegno a titolo di saggio (Fiocco, 1913, p. 280). Pur mancando il contratto di allogazione, si può sostenere che nel luglio dell'anno successivo, data del primo pagamento registrato nei libri della fabbrica, i lavori erano già avviati, e si conclusero nel 1465 (ibid., p. 338; Benati, p. 34).
Originariamente a pianta quadrangolare, oggi il coro è il risultato di profondi rimaneggiamenti, benché conservi la maggior parte degli stalli. Impreziositi da una cornice a intagli e trafori ancora tardogotica, i postergali ospitano i pannelli intarsiati, dove un repertorio di illustrazioni si dispone secondo un criterio organizzativo tipico dei maestri lendinaresi: nelle tarsie dei sedili inferiori si notano motivi floreali piuttosto semplici, di tono più dimesso rispetto ai campi dell'ordine superiore dove sono rappresentati oggetti in prospettiva, visti al di là di una doppia anta socchiusa, e costruiti con maestria pittorica, giocando, cioè, sulle peculiarità cromatiche del legno. Gli specchi con i due Padri della Chiesa, Girolamo e Agostino oggi negli stalli capifila, e gli altri due non più in loco, con Gregorio Magno, reimpiegato in un pancone nella cripta, e Ambrogio, nel Museo del duomo, introducono il problema degli apporti culturali all'arte dei maestri che qui impiegarono moduli, forse cartoni, pierfrancescani (Bagatin, 1990, p. 65).
A Modena, il G. sembra essere il punto di riferimento per i pagamenti degli anni 1461-62 e per l'acquisto del legname. Fu inoltre a lui che i fabbricieri commissionarono la ricca cornice, perduta, della venerata immagine della Madonna della Colonna, per la quale è registrato un pagamento nell'agosto del 1461. Tutto ciò potrebbe indicare una sua particolare abilità nell'intaglio, riecheggiata da alcuni documenti secondo i quali nel coro modenese il G. si sarebbe specializzato nell'esecuzione dei "brazali" (Baracchi, pp. 206-212).
Avendo ricevuto nell'aprile del 1462 l'importante commissione del coro per la basilica del Santo a Padova (Sartori, 1961, p. 25), per la quale aveva fatto da garante il nobile lendinarese Lodovico di Sambonifacio, i due fratelli si dovettero avvicendare nella direzione delle due imprese: inizialmente fu Cristoforo a recarsi in Veneto ma, a partire dall'ottobre del 1463, il G. non risulta più presente nei documenti modenesi se non in una notazione dell'aprile successivo (Baracchi, p. 212). Nel 1463, infatti, il G. si trasferì a Padova dove, come da contratto, si dovevano realizzare tarsie "habentibus prospectivam" (Sartori, 1961, p. 25). I registri di pagamento documentano la costante presenza a Padova del G. quale "maestro al coro" (Id., 1976). E difatti i lavori proseguirono nei tempi stabiliti da contratto, nonostante brevi assenze del G. documentato a Este per conto dei massari padovani (Id., 1961, p. 36), e a Lendinara, nel marzo, aprile e settembre 1468 (Griguolo, p. 338; Bagatin, 1990, p. 102), dove possedeva ancora la casa paterna.
A causa di rimaneggiamenti (1652) e incendi (1749), del coro patavino sopravvivono soltanto due elementi reimpiegati nei confessionali, oggi nella cappella di S. Rosa da Lima. Ma esiste una celebre descrizione redatta da Matteo Colacio pubblicata a Venezia nel 1486, con il significativo titolo di Laus perspectivae, nella quale, sotto forma di epistola indirizzata a Cristoforo, al G. e a suo genero, Pietro Antonio Abbati, si ritrovano descritti i motivi caratteristici della loro arte, ovvero l'osservazione e la resa stilizzata degli oggetti e delle loro proporzioni attraverso l'estrema padronanza del mezzo espressivo, il legno, sapientemente usato per modulare toni e profondità (Bagatin, 1990, pp. 69-73).
Nell'agosto del 1470 il G. è ancora documentato a Lendinara (Griguolo, p. 338) dove rimase qualche tempo lasciando Padova con l'intento di ritornarvi: in quest'ultima città tale "domina Maddalena" si impegnava a "bene salvare et custodire et restituere" gli averi del G., elencati nell'inventario da lui stesso stilato il 13 ott. 1469, in cui si firmava "maestro Lorenzo da Lendenara intarsjador" (Sartori, 1961, pp. 46-49). Con ogni probabilità aveva già intenzione di avviare l'attività di editore che lo avrebbe impegnato negli anni successivi, dal momento che a Lendinara vendette alcuni terreni per procurarsi del denaro. Solo il 20 sett. 1473 avrebbe infatti preso residenza stabile a Padova in una casa in affitto.
Nella città veneta il G. trovò il proprio spazio entro il nuovo orizzonte dell'editoria che qui, come in altre parti d'Italia, aveva iniziato ad avviarsi in quegli anni: a Venezia soltanto nel settembre del 1469 il Collegio aveva concesso a Giovanni da Spira il privilegio di stampa. Non solo il G. fu a Padova tra i primi a sperimentare la nuova tecnica, se non addirittura il prototipografo, ma, all'interno di un'attività che prevedeva la messa a frutto del mestiere lignario, organizzò la propria iniziativa editoriale intorno a un progetto che, in questa città, centro di massima diffusione dell'aristotelismo e dell'averroismo, prevedeva, tra l'altro, la stampa delle principali opere aristoteliche (Bagatin, 1990, pp. 103-110), tutte in-folio grande e finanziate dal nobile vicentino Giovan Filippo Aureliani.
Il 22 nov. 1472 venne dato alle stampe il De anima di Aristotele, "opera […] atque ingenio Laurentii Canozii Lendenariensis" (Indice generale degli incunaboli [IGI], I, n. 800). L'anno 1472, unito all'annotazione "op(us) Ma(gistr)i Lau(ren)tii de Lendenaria", fu indicato da Eusebio Cocchi sull'edizione della novella Ippolito e Lionora, stampata probabilmente l'anno prima (Bertieri, p. 36). Il G., inoltre, fu, con ogni probabilità, editore del Liber de complexionibus… di Mesue il Vecchio (Yuhanna ibn Masawaih; IGI, IV, n. 6383) stampato nel 1471 (Bagatin, 1990, pp. 97, 100-102).
Probabilmente a causa della concorrenza o degli impegni contratti ancora con i massari del Santo, il G. interruppe l'attività, forse proseguita dal figlio Andrea (Sartori, 1961, p. 50), nato, come Giovan Marco, Cesare e Galasso, dal matrimonio con Angela di Pietro Viviani di Lendinara (Griguolo, pp. 340 s.). Nel 1475 diede in gestione il torchio a un tal "magister Federicus" (Bagatin, 1990, p. 115).
Il 12 marzo 1474 il G. si impegnò a realizzare a intarsio le ante dell'armadio delle reliquie nella sagrestia del Santo, per le quali ottenne i primi pagamenti nella primavera del 1475 (Sartori, 1961, pp. 51-53). Solo a partire dal febbraio 1477, a lavoro sostanzialmente ultimato, si registra l'intervento del genero Pietro Antonio Abbati (Bagatin, 1990, p. 43).
Poste all'interno di una struttura marmorea realizzata qualche anno prima da Bartolomeo Bellano, le ante dell'armadio sono costituite da quattro pannelli inferiori con oggetti in prospettiva e da scomparti superiori rappresentanti al centro i Ss. Francesco e Antonio su uno sfondo di prospettive urbane, e ai lati altri santi dell'Ordine francescano.
Il G. morì a Padova il 20 marzo 1477 e fu sepolto, come ricorda un'epigrafe, nel chiostro del capitolo al Santo (Sartori, 1961, p. 54).
Secondo le fonti il G. avrebbe operato anche in altri ambiti artistici: Vasari ricorda un'attività nel campo della scultura, non altrimenti provata. Più solida è la tradizione che, a cominciare da Pacioli, lo vuole attivo in imprese pittoriche. Il Michiel riferisce di un S. Giovanni Battista di mano del G., oggi perduto, realizzato a fresco su uno dei pilastri del Santo. Anche se non rimane alcun dipinto che gli si possa con certezza attribuire, benché tentativi in tal senso siano stati fatti (Bagatin, 1990, p. 124), i documenti confermano tale attività: il 24 dic. 1464, dopo una lunga lite, il G. giunse a un accordo con la fraglia padovana dei pittori per poter praticare questa arte e il 29 nov. 1475 sottoscrisse il contratto di allogazione di una pala, comprensiva di cornice, per un altare della chiesa di S. Eufemia, nel piccolo borgo omonimo appena fuori Padova, commissionata da Iacopo Guidoni da Favariego (Danieli, 1993, pp. 131-135). Non è da escludere, inoltre, che il G. abbia realizzato personalmente alcune miniature dei suoi libri con esiti vicini a modi ferraresi (Mariani Canova).
Fonti e Bibl.: L. Pacioli, De divina proportione, Venetiis 1509, c. 23r; M.A. Michiel, Notizia d'opere di disegno (sec. XVI), a cura di J. Morelli, Bologna 1881, p. 12; G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, III, Firenze 1878, p. 404; L.N. Cittadella, Notizie amministrative, storiche, artistiche relative a Ferrara ricavate da documenti, I, Ferrara 1868, p. 60; M. Caffi, Dei Canozzi o Genesini lendinaresi maestri di legname del secolo XV celebratissimi, Lendinara 1878; A. Venturi, I primordi del rinascimento artistico a Ferrara, in Rivista storica italiana, I (1884), pp. 622 s.; G. Fiocco, Lorenzo e Cristoforo da Lendinara e la loro scuola, in L'Arte, XVI (1913), pp. 273-288, 321-340; Id., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, Leipzig 1929, pp. 48 s., s.v.Lendinara; R. Bertieri, Editori e stampatori italiani del Quattrocento, Milano 1929, ad indicem; A. Sartori, La provincia del Santo dei frati minori conventuali, Padova 1958, pp. 180 s.; G. Fiocco, Lorenzo Canozio e la sua scuola, in Il Santo, I (1961), 2, pp. 13-21; A. Sartori, I cori antichi della chiesa del Santo e i Canozi-Dell'Abate, ibid., pp. 23-57; Id., Documenti per la storia dell'arte a Padova, Vicenza 1976, pp. 54-68; M. Ferretti, I maestri della prospettiva, in Storia dell'arte italiana, IV, Torino 1982, pp. 496-498, 505-507; G. Manni, Mobili in Emilia, Modena 1986, ad indicem; O. Baracchi, La cattedrale di Modena nei documenti della fabbrica di S. Geminiano, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 11, IX (1987), pp. 198-222; P. Casadei, Una nuova ipotesi per le tarsie del coro di S. Marino in Rimini: due date di esecuzione, in Notizie da Palazzo Albani, XVI (1987), 2, pp. 62-70; G. Mariani Canova, Ferrara 1474: miniatura, tipografia, committenza… (catal., Ferrara), Firenze 1988, pp. 29 s.; D. Benati, Cristoforo da Lendinara pittore, in La cappella Bellincini nel duomo di Modena, Modena 1990, pp. 19-22, 34; P.L. Bagatin, L'arte dei Canozi lendinaresi, Trieste 1990 (con bibl.); Id., La tarsia rinascimentale a Ferrara, Firenze 1991, passim; Id., Le sculture, in Lendinara. Notizie e immagini per una storia dei beni artistici e librari, Treviso 1992, pp. 341 s.; A. Röper-Steinhauer, Untersuchungen zur illusionistischen Bildintarsie der Brüder Lorenzo und Cristoforo Canozi da Lendinara, Frankfurt am M. 1992; G. Danieli, Schede d'archivio per la storia dell'arte a Padova e nel territorio (sec. XV-XVI), in Boll. del Museo civico di Padova, LXXXII (1993), pp. 131-135; A. Franceschini, Artisti a Ferrara in età umanistica e rinascimentale. Testimonianze archivistiche, II, Ferrara 1993, ad indicem; P. Griguolo, Schede d'archivio riguardanti gli Zenesini o Canozi da Lendinara, in Il Santo, III (1993), pp. 337-345.