EULA, Lorenzo
Nacque a Villanova Mondovì (Cuneo) il 17 sett. 1824. Non ancora ventenne, e dopo essersi distinto tra i migliori del suo corso, si laureò in legge nella università di Torino il 13 maggio 1844. Entrò di lì a tre anni in magistratura come volontario nell'ufficio dell'avvocatura generale presso il magistrato d'appello del Piemonte.
Superato il periodo iniziale di tirocinio (svolto, com'era uso all'epoca, senza percepire stipendio alcuno), fu nominato nel giugno del 1849 giudice aggiunto presso il tribunale di prima cognizione di Ivrea, da dove venne in rapida successione trasferito in un primo momento a Pinerolo (settembre) e poi nella nativa Mondovì (dicembre), ove rimase poco più di due anni. L'incarico seguente, ottenuto nel marzo del 1852, fu quello di sostituto avvocato fiscale generale di 4a classe; anche in questo caso diverse furono le sedi cui l'E. venne via via destinato: Cuneo (sino al novembre 1853), Mondovì (con promozione alla classe superiore e relativo aumento dello stipendio, ammontante, ora, a 1.300 lire annue) e Nizza (dal maggio 1855 al novembre 1857, con stipendio firiale di 2.000 lire). Il 4 nov. 1857 venne nominato sostituto avvocato generale presso la corte d'appello di Genova, di cui divenne, a partire dal 27 apr. 1860, sostituto procuratore generale (con uno stipendio annuo di 6.000 lire).
Nell'ottobre del 1861 fu trasferito nel Mezzogiorno d'Italia per dargli modo di offrire il suo qualificato contributo professionale al travagliato processo di unificazione legislativa. Il primo incarico, estremamente delicato e gravoso, fu quello di regio commissario a Napoli, dove l'E. ricevette il compito di provvedere alla liquidazione o allo stralcio della gestione degli affari di giustizia derivanti dall'amministrazione borbonica e, al tempo stesso, preparare il campo all'applicazione dei nuovi ordinamenti giudiziari.
Un compito estremamente complesso, richiedente un impegno totale e prolungato nel tempo, come lo stesso E. si preoccupava di sottolineare in un dettagliato rapporto inviato nel gennaio del 1862 al ministero dell'Interno. Riferendosi al lavoro svolto dai commissari demaniali (per i quali la luogotenenza Farini aveva stabilito procedure straordinarie) ed alle difficoltà da loro incontrate, l'E. proponeva -dietro sollecitazioni giunte da parte degli stessi commissari demaniali - che i poteri giurisdizionali dei commissari fossero prorogati per tutto il 1862 e che solo in seguito, con la diminuzione delle questioni pendenti, fossero abbassati gradualmente; era inoltre opportuno, a suo avviso, che per ovvi motivi di praticità la direzione del servizio non fosse trasferita a Torino, ma rimanesse a Napoli. I suggerimenti dell'E. riinasero, però, lettera morta ed il governo centrale si comportò in maniera diametralmente opposta: furono aboliti i commissari demaniali e fu delegato ai prefetti l'incarico di condurre a termine le operazioni da loro avviate, agendo alle dipendenze del ministero di Agricoltura, Industria e Commercio.
Dopo aver svolto l'ufficio di r. commissario a Napoli, l'E. ottenne, a partire dal 21 apr. 1862, l'incarico di reggente la procura generale di Catania, ove ebbe a passare alcuni momenti difficili (superati con dignità ed estrema fermezza) quando Garibaldi, sulla strada di Aspromonte, occupò militarmente la Città (20-24 ag. 1862).
Al generale che gli chiedeva notizie sul processo aperto due anni prima a carico di una quarantina di abitanti di Bronte l'E. rispose di non poter accelerare il corso della giustizia. Rifiutò, in quanto pubblico ufficiale, di prendere parte alla pubblica sottoscrizione in favore dei volontari aperta dalle principali personalità cittadine e si oppose, infine, alla concessione della grazia e della scarcerazione in favore di due uomini accusati di falso, i cui familiari si erano rivolti a Garibaldi.
Da Catania l'E. fu trasferito a Palermo, sempre in qualità di reggente la procura della corte d'appello (ottobre 1862) e poco dopo, il 15 genn. 1863, divenne segretario generale del ministero di Grazia e Giustizia, posto al quale rimase - salvo una breve interruzione, durante la quale ricoprì la carica di procuratore generale prima all'Aquila e poi a Casale - fino al 31 dic. 1865, seguendo cosi per un relativamente lungo periodo il lavoro per l'unificazione legislativa.
Dal 21 genn. 1865 fu restituito, dietro sua richiesta, all'ufficio di procuratore generale presso la corte d'appello di Casale, da cui fu poi trasferito, nell'aprile del 1868, a Torino. A questo periodo appartiene una interessante relazione a stampa sull'amministrazione della giustizia, letta all'assemblea generale della corte riunita il 3 genn. 1873.
In essa l'E. prendeva spunto dalle numerose accuse di corruzione e complicità politiche mosse da più parti alla magistratura, per esprimere in maniera netta la sua posizione, contro la tendenza dei magistrati a ricorrere alla protezione politica, osservando: "Certo il Magistrato non cessa di essere cittadino, e come tale deve pur avere politiche convinzioni, ma da ciò non segue che abbia ad esser uomo di partito; esso non deve mai permettere che la passione faccia velo all'intelletto e turbi la serenità dell'animo suo. Né ciò gli riuscirà difficile, perché le sue opinioni, comunque possano talvolta essere contrarie all'indirizzo politico dei governanti, inconciliabili però non siano col politico nostro ordinamento. Appunto perché il Magistrato non deve avere altra guida che la legge, sulla sua bandiera deve star scritto: 'Ossequio allo Statuto, il quale è la legge per eccellenza'" (p. 41).
Nominato il 7 maggio 1868 ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia e senatore del Regno con r. d. del 21 nov. 18 74, l'E. partecipò attivamente al dibattito svoltosi in Senato nel corso del 1875 sul progetto di riforma del codice penale. Chiamato per le sue vaste cognizioni giuridiche a ricoprire la carica di membro della commissione senatoriale istituita dal ministro guardasigilli P. 0. Vigliani, l'E. sostenne con vigore i diritti della potestà civile contro le pretese dei clero; memorabili sono rimasti, nel corso delle movimentate ed accanite discussioni, i duelli oratori con Matteo Pescatore, destinato a ricoprire in seguito la carica di primo avvocato generale della Cassazione di Roma. Fu, nel corso del 1876, vicepresidente dell'assemblea e con tale carica partecipò attivamente alla discussione sulla reintroduzione di alcuni punti franchi, svoltasi al Senato nel mese di luglio.
Il ruolo attivo, a tratti anche autoritario ed al limite del regolamento, svolto dall'E. in quell'occasione gli causò numerose critiche, rischiando di compromettere la sua fama di uomo integro moralmente ed al di sopra delle parti di cui godeva all'interno dell'assemblea e tra i suoi colleghi magistrati; probabilmente per l'unica volta nel corso della sua lunga carriera, l'E. si lasciò allora trascinare dalla passione e dallo spirito di parte, giungendo a compiere alcuni gravi soprusi, approfittando dell'autorità derivantegli dalla sua alta carica, nel corso dello svolgimento delle votazioni sulla legge. Dopo l'episodio, per riconoscenza, la città di Genova (di cui l'E. era allora primo presidente della corte d'appello) gli conferi la cittadinanza onoraria.
Il 13 marzo 1879 l'E. fu nominato primo presidente della corte di cassazione di Torino ed il 25 genn. 1891 trasferito, con il suo assenso, a quella della capitale, ottenendo generali apprezzamenti per il lavoro svolto in entrambe le sedi.
Il 24 maggio 1893 fu chiamato da G. Giolitti a far parte del suo gabinetto in qualità di ministro di Grazia e Giustizia. Come annota il Farini nel suo diario, la nomina di un uomo notoriamente integerrimo e stimato quale l'E. sarebbe stata dovuta essenzialmente alla necessità di far cessare in qualche modo (o quantomeno affievolire) le voci di biasimo al governo Giolitti suscitate dallo scandalo dalla Banca romana.
Sebbene da tempo ammalato, l'E. accettò l'incarico, ma dopo poco più di un mese, il 5 luglio 1893, mori a Torre del Greco (Napoli).
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Fascicolo nominativo; A. L. Ferreri, Dai ricordi di un vecchio avvocato romano, Roma 1942, pp. 182, 188 ss.; D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, Roma 1961, pp. 101 96, 274 ss., 284, 300, 411; V. Pareto, Lettere a M. Pantaleoni. 1890-1925, a cura di G. De Rosa, Roma 1962, I, p. 434; II, p. 96; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, Torino 1881, 11, p. 465; S. Sapuppo Zanghi, La XV legislatura italiana, Roma 1883, p. 353; E. Michel, E. L., in Diz. del Risorg. naz., Milano 1933, III, pp. 14 s.; A. Scirocco, Governo e paese nel Mezzogiorno nella crisi dell'unificazione (1860-61), Milano 1963, pp. 318, 320; M. D'Addio, Politica e magistratura (1848-1876), Milano 1966, pp. 230, 763, 771, 841; M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d'Italia, Roma 1978, pp. 64, 182, 203, 205; A. Moscati, I ministri del Regno d'Italia, Roma 1976, VI, pp. 302ss.; P. Saraceno, Alta magistratura e classe politica dalla integrazione alla separazione. Linee di una analisi socio-politica del personale dell'alta magistratura ital. dall'Unità al fascismo, Roma 1979, pp. 20 s., 26, 28, 44, 49, 55 s., 61, 71, 75 s., 98, 103 s., III, 117, 139, 145; Novissimo Digesto italiano, Torino 1960, VI, p. 1039; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, p. 431; Enc. biogr. e bibliogr. ital., A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori..., I, p. 388.