DELLA CASA, Lorenzo
Nacque a Lugo (prov. Ravenna) l'8 nov. 1803 da Bernardo e da Agata Ferraresi. Dopo avere frequentato le scuole elementari e secondarie nella sua città, fu ammesso, a 3 anni, a studiare scienze matematiche nell'ateneo bolognese e vi conseguì la laurea con menzione al governo, massima onorificenza di allora.
Ritornò quindi a Lugo, dove fu eletto per concorso, nel 1827, a ricoprire il posto di professore di fisica presso il collegio "Trisi". Svolse tale incarico fino al 1851, quando fu nominato professore di fisica nell'università di Bologna. Mantenne la cattedra fino alla morte, sopravvenuta l'8 luglio 1870.
Come professore universitario, il D. fu membro di diritto dell'Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna. Fu inoltre presidente del collegio matematico della stessa università dal 1861 al 1870, membro dell'Istituto storico di Francia e di varie accademie scientifiche. Fu anche amico di fisici illustri, che volentieri ricorrevano a lui come ad abile sperimentatore.
Le sue pubblicazioni scientifiche consistono essenzialmente nelle memorie, che egli leggeva annualmente all'Accademia delle scienze e che vennero quasi tutte stampate per intero nei volumi curati dall'Accademia stessa. Tali memorie abbracciano gli argomenti più svariati, dalla meteorologia all'elettrostatica, e forniscono un'immagine molto significativa delle conoscenze e degli interessi del D. e dei suoi contemporanei nel campo della fisica. La prima memoria venne letta nel maggio 1852 - l'anno stesso della nomina ad accademico - e l'ultima nel maggio 1868, due anni prima della morte del Della Casa.
Nelle memorie, scritte in buono stile e piacevoli a leggersi (il D. si dilettava anche di poesia e pubblicò una raccolta di versi), egli mostra piena padronanza della produzione scientifica italiana e straniera (soprattutto di lingua francese) le cui affermazioni sottoponeva al vaglio delle sue capacità critiche e, appena possibile, al confronto con esperimenti condotti da lui stesso. Non esitava ad impegnarsi, ove occorreva, in ragionamenti astratti e quasi filosofici, mentre evitava sempre formulazioni e deduzioni matematiche. Sapeva trovare all'occorrenza una vena di buon polemista per mettere in luce gli errori e le contraddizioni dei suoi avversari.
Merita di essere segnalata in particolare, per l'interesse anche attuale degli argomenti trattati, la memoria Sulla formazione della grandine, Bologna 1854. In questa opera, il D. prende posizione contro le teorie che ritengono la grandine causata dell'elettricità (una di queste teorie era stata sostenuta da A. Volta) e la fa risalire invece al raffreddamento dei vapori, che nelle ore calde del giorno salgono dalla superficie della terra e si espandono negli strati superiori dell'atmosfera.
Quasi contemporanea alla memoria citata è l'altra Sui paragrandini metallici, presentata alla Società agraria della provincia di Bologna nell'ambito di una ricerca, indetta dalla Società stessa, sull'utilità di tali apparecchi (si tratta dell'unico scritto del D. non pubblicato dall'Accademia delle scienze ma nelle Mem. d. Soc. agraria d. Provincia di Bologna, VIII [1856], pp. 189-95).
Qualche settimana prima del D. aveva parlato il canonico Bontà, raccomandando vivamente l'uso di paragrandini costituiti da lunghi fili metallici legati a pali o ad alberi. Il D., dopo avere reso omaggio al canonico, ne contestò vivacemente le conclusioni e, citando H. Becquerel, definì i paragrandini "invenzione dell'ignoranza".
Nel Nuovo modo di rendere grafici gli strumenti meteorologici, in Mem. d. Acc. d. scienze dell'Ist. di Bologna, s. 1, IX (1858), pp. 145-56, il D. avanzò una proposta molto interessante ed elaborata anche nei particolari per dotare gli strumenti meteorologici di un meccanismo ad orologeria e di indici percorsi da corrente elettrica che producono una traccia colorata. Gli indici sono poi collegati ai diversi strumenti con ingegnose disposizioni meccaniche. Il D. non giunse a costruire l'apparecchio che aveva proposto; la sua idea venne ripresa in seguito dal Dahlander (1861).
Con le Osservazioni sull'induzione elettrostatica, ibid., X (1859), pp. 461-75; Nuove osservazioni sull'induzione elettrostatica, ibid., XI (1859), pp. 139-56; Ulteriori osservazioni sull'induzione elettrostatica, ibid., s. 2, IV (1864), pp. 35-53, il D. scese in campo contro M. Melloni, da poco scomparso, e P. Volpicelli, che ne aveva raccolto l'eredità. Questi due studiosi pretendevano sostituire alla teoria elettrostatica classica, ormai ben affermata e sostenuta dalle esperienze di M. Faraday, una teoria piuttosto ingarbugliata di loro conio e sostenuta da esperienze che essi stessi andavano conducendo. Il D. smantellò inesorabilmente le loro costruzioni teoriche e mise in luce le manchevolezze delle loro esperienze, dimostrando che, ogniqualvolta le esperienze erano state condotte correttamente, venivano a confermare la teoria classica.
La memoria Su l'equivalente meccanico del calore, ibid., s. 2, I (1862), pp. 479-92, dà una chiara dimostrazione delle capacità del D. come sperimentatore. La questione dell'equivalente meccanico del calore era allora molto attuale e vari ricercatori si erano cimentati nella sua determinazione, con risultati a volte abbastanza discordi. Dopo avere passato in rassegna i metodi seguiti da altri ed i risultati ottenuti, il D. descriveva le esperienze condotte da lui stesso. In mancanza di altri mezzi, si era servito di un calorimetro a ghiaccio a tre vasi concentrici - sul modello dei calorimetri usati da Lavoisier e da Laplace (in alcune esperienze aveva utilizzato più semplicemente un blocco di ghiaccio). Il calorimetro assorbiva il calore prodotto da un trapano nel forare un cilindro metallico; alla fine dell'esperienza si misurava la quantità di ghiaccio liquefatta e si poteva così determinare la quantità di calore spesa nella liquefazione. La quantità di lavoro impiegata nella perforazione veniva misurata dal D. con un dispositivo meccanico ingegnoso. Introdotte le correzioni opportune, il D. fornì un valore medio dell'equivalente - su 20 determinazioni - pari a 418 kgm/kcal con una dispersione dei risultati inferiore allo 0,5%. Si tratta quindi di una misura notevolmente precisa per l'epoca (il valore assegnato oggi all'equivalente è 426,7 kgm/kcal).
In questa memoria del 1862 e nell'ultima che ci ha lasciato (Sull'unità dei fenomeni naturali, ibid., s. 2, VIII [1868], pp. 251-58) il D. si soffermava a lungo sugli studi allora in corso per dare una spiegazione unitaria di tutti i fenomeni naturali; citava in particolare quelli di W. R. Grove, del Saigey, di p. P. A. Secchi e del Boucheporn. Quasi tutti questi studi tendevano a ricondurre ogni fenomeno naturale ad un moto; secondo il D., peraltro, non è possibile spiegare in tale modo tutto ciò che avviene (fa l'esempio dell'incendio, in cui la quantità di moto è enormemente superiore a quella della scintilla che lo ha originato). Nella conclusione del suo ultimo scritto il D. invitava a diffidare di ogni teoria che non fosse suffragata dall'esperienza e citava ancora il motto dell'Accademia del Cimento "provando e riprovando" a cui si era sempre ispirato.
Il nome del D. resta legato, oltre che alle pubblicazioni scientifiche, all'impulso dato al Museo di fisica dell'università bolognese. Egli seppe fare in modo di dotare il museo di apparecchi moderni, opera di costruttori ben noti come H.D. Ruhmkorff, il Duboscq, il Koenig. Al momento della morte stava lavorando ad una nuova sistemazione e ad un catalogo del Museo.
Fonti e Bibl.: Oltre che dal necrologio di G. Sacchetti, Comment. sulla vita e sui lavori del prof. L.D., in Mem. dell'Accad. d. scienze d. Ist. di Bologna, s. 3, I (1871), pp. 245-272, utili notizie sulla vita del D. si possono rinvenire nella sua corrispondenza con amici e personaggi vari, conservata nella Biblioteca comunale F. Trisi di Lugo.