MEDICI, Lorenzo
de’ (Lorenzo il Popolano). – Nacque a Firenze il 4 ag. 1463 da Pierfrancesco (il Vecchio), figlio di Lorenzo (il fratello minore di Cosimo il Vecchio), e da Laudomia di Iacopo Acciaiuoli; fu battezzato il 10 agosto.
Alla morte del padre, il 19 luglio 1476, il M. e il fratello minore Giovanni, nato nel 1467, furono posti sotto la tutela della nonna paterna Ginevra di Giovanni Cavalcanti e di Lorenzo il Magnifico e Giuliano de’ Medici, figli di Piero di Cosimo il Vecchio. Ebbe tra i suoi insegnanti il poeta Naldo Naldi, Marsilio Ficino, Angelo Ambrogini (Poliziano).
Approfittando del suo ruolo, fra il maggio e il settembre 1478 Lorenzo il Magnifico si impossessò di oltre 53.000 fiorini in contanti dell’eredità di Pierfrancesco per far fronte alla crisi che aveva colpito la filiale romana del banco Medici all’indomani della congiura dei Pazzi (26 apr. 1478). Questi fatti non portarono a una rottura con i familiari del ramo di Cosimo, data la tutela del Magnifico sui due fratelli: l’anno seguente il M. accolse per qualche giorno nella sua villa del Trebbio la famiglia di Lorenzo, in fuga da Firenze a causa della peste.
Il 7 ott. 1480 fu stabilito il matrimonio fra il M. e Semiramide Appiani, figlia di Iacopo III signore di Piombino. A volere questa unione fu Lorenzo il Magnifico, che precedentemente aveva pensato di far sposare con la giovane il fratello Giuliano.
Le nozze furono celebrate il 19 luglio 1482 e in un primo momento Semiramide rimase a Piombino, raggiungendo solo in seguito il M. a Firenze. Dal matrimonio nacquero Vincenzo, nel 1485, che morì in età infantile; Pierfrancesco (1487-1525), che sposò nel 1511 Maria di Tommaso Soderini; Averardo (1488-95); Laudomia che si maritò nel 1502 con Francesco di Giuliano Salviati; e Ginevra, che sposò nel 1508 Girolamo di Luca Albizzi. La dote della Appiani fu di 10.000 fiorini, ma il vero obiettivo della famiglia Medici era il controllo, tramite questo matrimonio, del ferro dell’isola d’Elba: da alcuni atti del 1507-08 risulta che il M. possedesse alcune vene di quel metallo nell’isola, ma la gestione fu affidata a una magona controllata dalla famiglia fiorentina.
Nel 1485 il M. e il fratello Giovanni, divenuti entrambi maggiorenni, reclamarono quanto loro dovuto e, a seguito di un arbitrato, Lorenzo il Magnifico fu costretto a cedere loro la villa di Cafaggiolo e altre proprietà nel Mugello per un valore di 30.000 ducati. Tuttavia il M. si lamentò in seguito di essere stato gravato ingiustamente di un terzo delle perdite della filiale londinese del banco e di alcune spese di lusso che il padre non avrebbe mai accettato di compiere. Proprio a causa dei presunti debiti contratti con il fisco fiorentino, nel 1484 il M. fu impossibilitato ad accettare l’elezione nel Consiglio de’ cento e lo stesso accadde all’inizio del 1495 con l’ufficio dei Dieci di balia.
Il M. si dedicò alla mercatura e nel 1488 fondò un banco insieme con il fratello. Pochi anni dopo, nel 1491, inviò nella filiale di Siviglia Amerigo Vespucci.
Vespucci era al servizio del M. fin dalla morte del proprio padre, avvenuta nel 1482. Ma i due si conoscevano da prima, in quanto lo zio di Vespucci, il canonico Giorgio Antonio, era stato precettore del M. negli anni Settanta, mentre un cugino, Marco Vespucci, aveva sposato Simonetta Cattaneo, imparentata con Semiramide Appiani. In un primo momento Amerigo Vespucci fu l’uomo di fiducia di Semiramide, poi amministrò i beni rurali del M., quindi tenne i contatti fra i vari agenti del banco. Fu durante il suo soggiorno a Siviglia come agente del M. che Vespucci ebbe modo di tessere quei legami che lo portarono poi a navigare verso il Nuovo Mondo. Si sono conservate tre lettere che egli scrisse al M. per raccontargli dei suoi viaggi: le prime due, datate 4 giugno e 18 luglio 1500, descrivono il primo viaggio in America, mentre la terza, scritta nel 1502 e incompleta, tratta della spedizione a Capo Verde e in Brasile. Vespucci avrebbe poi dedicato al M. il suo trattato Mundus novus (1504).
Il M. si tenne lontano dalla vita politica fiorentina; non ricoprì incarichi pubblici, ma fu più volte nominato ambasciatore. Il 10 nov. 1483 partì da Firenze per recarsi in Francia: compito suo e dei colleghi Gentile Becchi e Antonio Canigiani era quello di congratularsi con il nuovo sovrano, il giovane Carlo VIII. Il M. e i suoi compagni rientrarono in città il successivo 1° marzo. A più riprese accolse vari personaggi in arrivo a Firenze: il 2 luglio 1478 era al fianco del Magnifico quando giunse in città l’inviato francese, Philippe de Commynes, mentre il 26 giugno 1488 ospitò nella sua villa di Castello Franceschetto Cibo, figlio di papa Innocenzo VIII e genero del Magnifico. Alla morte di quest’ultimo, però, i rapporti con Piero di Lorenzo andarono peggiorando.
Alla fine dell’aprile 1494 il M. e il fratello ospitarono nella loro villa di Cafaggiolo il vescovo di Saint-Malo, Guillaume Briçonnet (o suo figlio, secondo altre fonti), fatto che provocò il risentimento di Piero de’ Medici. Il 26aprile il M. e Giovanni furono imprigionati nel palazzo della Signoria insieme con il loro cancelliere, Zanobi di Raffaello Acciaiuoli. Senza essere sottoposti a tortura, confessarono di essere vassalli del re di Francia e mostrarono il relativo documento, da cui sarebbe anche risultato che ognuno di loro riceveva da quel sovrano una provvisione annua di 2000 ducati. Il M. e il fratello furono condannati al carcere perpetuo e alla confisca dei beni, ma già il 29aprile Piero dovette mutare la pena al confino nelle loro tenute in Mugello per non irritare Carlo VIII. Il 14 maggio i due lasciarono Firenze per la villa di Castello. Nei mesi seguenti si moltiplicarono le richieste dalla Francia in loro favore, finché, raggiunto dalla notizia che Carlo VIII era infine arrivato a Vigevano, il 13 ott. 1494 il M. ruppe il confino, allontanandosi dalla sua villa dell’Olmo e invitando il fratello Giovanni, che si trovava a Cafaggiolo, a fare lo stesso. I fratelli si unirono così al sovrano francese e rientrarono a Firenze al suo seguito in novembre.
All’indomani della fuga di Piero de’ Medici, dopo la capitolazione di Firenze e l’ingresso di Carlo VIII, alcuni cittadini avrebbero visto volentieri il M. al suo posto. Eletto tra i venti accoppiatori, all’inizio di dicembre il M. volle chiamare con il nome «Popolani» il suo ramo della famiglia per sottolineare la distanza dall’altro ramo dei Medici.
Negli anni a seguire i governatori fiorentini sfruttarono il legame che univa alla casa reale francese il M., che prese parte a diverse ambascerie.
Già nel novembre 1494 egli avrebbe dovuto accompagnare il re francese a Siena, ma fu sostituito da Francesco de’ Rossi. Il 5 marzo 1495 fu nominato ambasciatore a Napoli insieme con Guidantonio Vespucci, Bernardo Rucellai e Paolantonio Soderini (poi sostituito da Lorenzo Morelli): il loro compito era congratularsi con Carlo VIII per la conquista di quel Regno e chiedere la restituzione di Pisa e delle località della Lunigiana che erano andate perse alcuni mesi prima durante il transito dell’esercito francese. Il M. rientrò in città l’11 giugno. A quell’epoca era a capo, insieme con Bernardo Rucellai, di una delle due fazioni che si erano create a Firenze; l’altra era capitanata da Piero Capponi e Francesco Valori. Così, quando fu necessario inviare degli ostaggi al sovrano per quietare lo scontro fra le due parti, il fratello del M. fu uno di essi, insieme con i figli di Paolantonio Soderini e di Piero Capponi e con il nipote di Francesco Valori. A dicembre, invece, il M. fu inviato con Soderini a Pistoia per ricevere gli inviati francesi.
Segue un periodo di silenzio sull’attività del M., che si allontanò da Firenze, spaventato dall’azione di Girolamo Savonarola: sarebbe rientrato in città solo dopo la morte di Savonarola, nel maggio 1498. Nello stesso anno, trovandosi a Lione, fu raggiunto dalla nomina ad ambasciatore fiorentino con l’incarico di congratularsi con il nuovo sovrano, Luigi XII (consacrato tra aprile e maggio). L’anno successivo fu di nuovo inviato a Pistoia per pacificare le fazioni cittadine.
Nel frattempo, il 14 sett. 1498, era morto a Santa Maria in Bagno il fratello Giovanni, e il M. iniziò una lunga diatriba con Caterina Sforza, la moglie di Giovanni, per la tutela e l’amministrazione dei beni del nipote Ludovico, nato nell’aprile di quello stesso anno e alla morte del padre rinominato Giovanni (sarà Giovanni dalle Bande Nere).
La Sforza tenne segreto per quasi un anno il matrimonio con Giovanni de’ Medici, nonostante il parere contrario del M., che la invitò a rendere noto il legame se non voleva che la tutela del figlio fosse avocata dagli ufficiali dei Pupilli. Alla fine del 1499, tuttavia, inviò a Firenze il bambino. Il M. cercò di aiutare la cognata che stava affrontando l’offensiva di Cesare Borgia contro i suoi domini in Romagna e la accolse nella propria casa quando, nel luglio 1501, si rifugiò a Firenze. Pochi mesi dopo scoppiarono però violenti contrasti a causa della gestione dell’eredità di Giovanni e in particolare per il possesso della villa di Castello. La Sforza accusò il M. di avere sperperato l’eredità del marito ed egli reagì facendo rapire il piccolo Giovanni, che fu rinchiuso nel convento di S. Vincenzo d’Annalena fino alla morte del M.; solo successivamente la contesa trovò una soluzione legale.
All’indomani dell’azione di Cesare Borgia in Romagna e della perdita di Faenza, a Firenze si iniziò a meditare di porre un solo uomo alla testa del governo cittadino e il M. fu visto come l’uomo giusto. Restio ad assumersi tale compito, almeno stando alla testimonianza del cronista e amico Bartolomeo Cerretani, il M. preferì allontanarsi dalla città, e fu quindi nominato ambasciatore presso Luigi XII per protestare contro Cesare Borgia; nel giugno 1501 si trovava ancora in Francia insieme con Pierfrancesco Tosinghi. Rientrato a Firenze, il 18 luglio 1502 fu incaricato con Benedetto Nerli di scortare verso Montevarchi il capitano, tal «monsignor Engles», inviato dal re a fronteggiare Cesare Borgia. Il 5settembre fu nuovamente nominato oratore in Francia insieme con Iacopo Salviati, ma entrambi declinarono l’incarico.
Fece scalpore il suo rifiuto di partecipare al banchetto per l’insediamento del nuovo gonfaloniere perpetuo della Repubblica fiorentina, Piero Soderini (1° nov. 1502), dopodiché il M. non rivestì altri ruoli politici.
Il M. morì a Firenze il 20 maggio 1503.
Il M. fu un mecenate. In particolare ebbe ai suoi servizi Michelangelo, che verso il 1496 scolpì per lui un S. Giovanni, e soprattutto Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi). Quest’ultimo affrescò la villa di Castello, acquistata dal M. nel 1477, e intorno al 1480 illustrò con disegni i Commentari alla Divina Commedia di Cristoforo Landino. Fra i letterati protetti spicca il nome di Michele Marullo, che nel 1489 raccomandò a Lorenzo il Magnifico e che gli dedicò i suoi Epigrammi; fu amico anche di Marsilio Ficino. Egli stesso si dilettò di letteratura: scrisse almeno due sacre rappresentazioni, Abram e Agar e Incoronazione della Croce.
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