DE CONCILJ (De Concili, De Conciliì, De Concilij, De Conciliis), Lorenzo
Nacque ad Avellino il 6 luglio 1776 da Donato e Maddalena Genovese.
Tra le varie forme dei cognome, delle quali il più delle volte si riscontra De Conciliis, la dizione prescelta è quella che adoperava egli stesso e i suoi contemporanei che più intimamente lo conobbero (Cannaviello).
Di agiata famiglia borghese, studiò a Napoli fino ai diciotto anni, quando, interrotti gli studi senza il consenso del padre, si arruolò volontario nella cavalleria napoletana. Negli anni successivi, prima da soldato, poi da cadetto e quindi da alfiere, combatté contro l'esercito francese: prima nell'Italia settentrionale, poi, nel 1798, nella spedizione di Roma e immediatamente dopo nel tentativo di contrastare l'avanzata francese nel Regno.
Nel 1799 aderì alla Repubblica partenopea più perché trascinato dagli eventi che per convinzione politica. Infatti, mentre era in missione fuori della capitale in qualità di aiutante del col. Roccaromana, uno dei capi della resistenza popolare contro i Francesi, veniva a sapere che il suo comandante si era rifugiato a Castel Sant'Elmo ed aveva aderito alla Repubblica. Il D. perciò, impossibilitato a rientrare a Napoli, si unì allora all'esercito filofrancese e, entrato con questo in città, combattè quegli stessi lazzari di cui pochi giorni prima era stato alleato.
Caduta la repubblica, sotto la quale aveva raggiunto il grado di capitano, riuscì a fuggire da Napoli e a evitare in tal modo la prima repressione borbonica; quindi, al seguito del suo vecchio comandante, si batté contro i Francesi in fuga, inseguendoli fino a Roma.
Questi primi emblematici episodi della sua vita rendono evidente la mancanza di una precisa ideologia nel De Concilj. Egli era un soldato, dotato di molto coraggio e di una forte dirittura morale, coinvolto continuamente nelle turbinose e contraddittorie vicende della sua epoca e costretto quindi, suo malgrado, a fare delle scelte di campo di drammatica urgenza o comunque a prendere delle posizioni politiche.
Nel 1800, grazie all'ultimo repentino cambiamento di bandiera, il D. fu amnistiato, ma degradato a soldato semplice. L'anno dopo, però, essendosi distinto in un combattimento sotto Siena contro l'esercito napoleonico, venne reintegrato nel grado di tenente. Da questo momento fino al 1806, distaccato al comando di una colonna mobile in Irpinia, si dedicò con successo alla repressione del brigantaggio. Di ciò continuò ad occuparsi anche nel decennio francese, distinguendosi, col grado di capitano, per gli ottimi risultati conseguiti in Irpinia, Lucania e Puglia.
Solo nel 1814 tornò a combattere in campo aperto, partecipando alla campagna del Murat contro il Regno d'Italia. L'anno dopo, mutate le alleanze, fu coinvolto nell'estremo disastroso tentativo dello stesso Murat contro l'Austria. È probabile che il D. non sia stato impegnato in tutta la campagna, ma abbia fatto parte soltanto, col grado di maggiore, di un corpo di spedizione comandato dal Macdonald e inviato dalla regina dopo la sconfitta di Tolentino, risultando uno dei pochi a distinguersi a Mignano nel tentativo di fermare l'avanzata del Nugent.
Al ritorno dei Borboni il D. - come tutti gli ufficiali murattiani - conservò il grado; nell'ottobre 1816 fu anzi promosso tenente colonnello e due anni dopo nominato capo di Stato Maggiore dei generale G. Pepe, comandante delle milizie provinciali di stanza ad Avellino. Secondo il Nisco, in questo periodo il D. avrebbe fatto parte della carboneria, dedicandosi alla sua diffusione nelle milizie provinciali. Alla luce della più recente storiografia ed anche delle memorie e cronache sul moto del 1820, che probabilmente il Nisco non conosceva o non tenne nel debito conto, pare accertato che il D. non sia appartenuto alla setta, ma si sia limitato ad avere con essa costanti rapporti, riscuotendo la sua fiducia e perché era di idee piuttosto liberali, e perché in linea con il Pepe e il suo progetto di moto costituzionalista promosso dall'esercito.
Scoppiata la rivolta a Nola il 10 luglio 1820 e essendo diretti i rivoltosi ad Avellino, il D., in assenza del Pepe, fu investito delle aspettative e delle richieste di collaborazione della componente militare del moto capeggiata da M. Morelli, ma non riuscì ad evitare un comportamento ambiguo e tentennante. Mentre cercava invano di far tornare immediatamente ad Avellino il Pepe dalla capitale, schierò le milizie attorno al capoluogo col chiaro intento di opporle ai rivoltosi, distrusse le linee telegrafiche, convinse il Morelli a deviare la marcia su Mercogliano. Quando poi il 3 luglio gli insorti entrarono nel capoluogo accolti trionfalmente dalla popolazione e dalle milizie, il D. si vide pressoché costretto dagli eventi e dal Morelli, che pubblicamente lo dichiarava suo ispiratore, ad accettare il comando dell'insurrezione, ma solo in attesa dei suo comandante.
Nei giorni successivi l'azione del D. fu rivolta verso il conseguimento di un duplice obbiettivo: sconfiggere le truppe inviate da Napoli e indirizzare in senso moderato gli aneliti rivoluzionari.
In entrambi i casi l'intento fu raggiunto, ma non poche riserve possono essere formulate sull'effettivo ruolo che il D. vi ebbe. La vittoria sulle truppe regie, che avrebbero dovuto investire la provincia da due direttrici, fu dovuta principalmente alle incertezze del re, che lasciò per diversi giorni il Carrascosa senza truppe sul fronte verso Caserta, e alle numerose diserzioni delle truppe sul fronte salernitano. Anche il suo apporto personale, che pure viene magnificato dal Nisco e dal Cannaviello, fu modesto: il D. si limitò a seguire i movimenti dei suoi ufficiali dal quartiere generale di Avellino; e, in definitiva, il suo principale merito fu proprio l'ambivalente rafforzamento dei punti nevralgici della provincia, operato nei primi giorni dei moto, e che risultò efficace contro l'avanzata delle truppe regie.
Per quel che concerne il suo contributo alla soluzione moderata, di cui fu incolpato decisamente dai memorialisti radicali (De Attellis, Minichini), va detto che fu efficace in tal senso la sua prudenza in attesa del Pepe e soprattutto l'azione, svolta a Salerno dal 6 all'8 luglio, di freno ad alcune componenti più radicali presenti nell'esercito vittorioso; tuttavia fu il Pepe ad operare in modo decisivo contro il più rafficale degli insorti, L. Minichini.
Frattanto la rivoluzione aveva trionfato; il 6 il re aveva promesso la costituzione e demandato il potere al figlio Francesco; quello stesso giorno il Pepe era giunto ad Avellino e il D., nonostante un certo disappunto nei suoi confronti perché non aveva rischiato e giungeva quando ormai il successo era sicuro, gli aveva ceduto il comando; il 9 le truppe ribelli e i carbonari sfilarono in parata a Napoli, al cospetto del vicario e della corte, con alla testa il Pepe e il De Concilj.
Nel periodo costituzionale il D., eletto nel collegio di Avellino, e quindi deputato dal 1° ottobre, appoggiò o approvò le scelte moderate che andavano compiendo il governo di derivazione murattiana e la carboneria "sana", legata alla proprietà fondiaria.
Tale moderatismo e la forte dirittura morale lo spinsero ad uscire dalla setta, alla quale probabilmente aveva aderito - come tanti - solo dopo la rivoluzione, in seguito all'assassinio dell'ex direttore della polizia Giampietro.
Nonostante le posizioni moderate, il D. nel luglio si era opposto alla rinuncia di annettere Benevento e Pontecorvo e aveva invano sostenuto le richieste di aiuto dei liberali marchigiani e romagnoli; nel dicembre appoggiò la mozione del Pepe contro l'autorizzazione del viaggio del sovrano a Lubiana. Divenne poi uno dei più decisi fautori della guerra all'Austria ed anzi approvò il progetto del Pepe di marciare verso il Lazio e la Toscana per favorirne l'insurrezione. Fallito questo tentativo e sconfitto il Pepe a Rieti, il D., che dal 14 ott. 1820 aveva il grado di colonnello, fu impegnato sul Liri al comando di una brigata leggera nel tentativo di fermare l'avanzata austriaca, ma fu abbandonato dai suoi soldati.
Il 24 marzo 1821, mentre l'esercito nemico entrava in Napoli, il D. si imbarcò su una nave sarda che lo condusse a Barcellona. Iniziò un esilio che sarebbe durato ben ventisette anni, perché, condannato a morte in contumacia con il Pepe, il Carrascosa e diversi altri nel 1823, il D. sarà escluso dalle amnistie concesse dal governo napoletano in varie occasioni.
Nei due anni che rimase in Spagna conibatté prima come semplice soldato dell'esercito costituzionale nella guerra civile e poi come colonnello nell'armata che si oppose invano all'esercito francese. Nel 1823 si recò in Inghilterra, dove visse alcuni anni facendo tra l'altro il domatore di cavalli. Nell'ottobre 1827 giunse a Corfù, dove erano andati esuli due suoi fratelli; qui l'anno successivo, secondo il Cannaviello (pp. 80 s.) in accordo col Carrascosa e R. Poerio che erano a Malta, progettò uno sbarco, non attuato, in Calabria ed in Puglia. Anche il tentativo di partecipare ai moti di Ancona del 1830 andò a vuoto, perché il D. giunse quando ormai l'insurrezione era stata domata e fu costretto a ritornare a Corfù. Nel 1832 si recò in Francia, dove rimase ininterrottamente fino al 1848. Risiedette inizialmente a Marsiglia; qui conobbe Mazzini e nel 1834 pare appoggiasse dall'esterno la fallita spedizione in Savoia; l'anno precedente aveva perso la moglie Margherita Bellucci, che l'aveva seguito sino ad allora in tutti gli spostamenti. Nel 1842, dopo la morte dell'amico fraterno D. Nicolai, il D. si trasferì a Parigi, dove rimase fino allo scoppio della rivoluzione del 1848.
Tornato a Napoli nell'aprile di quell'anno fu eletto al Parlamento, reintegrato nel grado di colonnello e inserito nella guardia nazionale. Il 15 maggio tentò di contrastare il colpo di mano reazionario del re schierando le sue milizie, ma lo sbandamento di queste favorì la vittoria dell'esercito regio. Nelle elezioni del giugno, svoltesi con suffragio ristretto, il D. fu rieletto. Sedette alla Camera i pochi mesi che questa sopravvisse e poi, dilagando la reazione borbonica, si ritirò a vita privata in Avellino.
Nei primi giorni di settembre del 1860 il D., sebbene avesse ormai ottantaquattro anni, tornò sulla breccia e capeggiò un nucleo di liberali irpini, che intendeva liberare la provincia prima dell'arrivo dell'esercito garibaldino. L'azione non fu coronata da successo e ad Ariano gli insorti furono cacciati dai cittadini e da truppe fedeli ai Borboni. Il 7 settembre il D. fu proclamato dai liberali prodittatore del governo provvisorio irpino. Demandato subito il potere a Garibaldi, il D. l'11 sett. fu nominato da questo maggior generale. Nel 1861 il governo italiano lo collocava a riposo coi grado di luogotenente generale e lo nominava senatore; il D., però, non poté mai recarsi nella capitale per motivi di salute.
Morì ad Avellino il 2 ott. 1866.
Fonti e Bibl.: Diverse sono le biografie del D.: la prima in ordine cronologico è in A. Santangelo, Ricordi d'illustri passati, Napoli 1883, pp. 9-26. Successivamente comparve un ampio e documentatissimo studio di V. Cannaviello, L. D. o liberalismo irpino, Napoli 1913, che tende talvolta a ipervalutare il personaggio, ma resta il principale strumento per una approfondita conoscenza della sua lunga e movimentata vita. Ad esso si rifanno altre brevi biografie: A. D'Amato, L. D. (estr. da Riv. stor. del Sannio, II [1916], 1), Sant'Angelo dei Lombardi 1917; Diz. del Risorg. naz., II, pp. 860-63; Il Risorg. ital.: I Combattenti, a cura di A. Ribera, Roma 1943, p. 164. Della posizione del D. durante la rivoluzione del 1820 si occupano specificamente: N. Nisco, L.D., in Il Risorg. italiano. Biogr. stor. pol. d'illustri ital. contemp., I, Milano 1884, pp. 206-31; V. Cannaviello, Gli Irpini nella riv. del 1820 e nella reazione, Avellino 1941, passim. Entrambi, il secondo riprendendo quanto già esposto nella citata biografia, accreditano però al D. un'adesione e una decisione non segnalate dalla gran parte nelle memorie coeve sull'argomento, nelle quali egli è frequentemente citato: B. Gamboa, Storia della rivol. di Napoli entrante il luglio del 1820, s. l. né d. [ma 1821]; O. De Attellis, L'ottimestre costituzionale delle Due Sicilie, autenticamente documentato, da servire alla storia di quel regno, Barcellona 1821 (ma introvabile; copia parziale ms. è nella Bibl. naz. di Napoli, V. A. 47/2); G. Solai Bembi, Sulla riforma Politica del Regno di Napoli avvenuta nel di 1° luglio 1820. Lettera a mons. A. Coumeiwhian in Marsiglia, Napoli 1821; M. Carrascosa, Mémoires histor. politiques et militaires sur la révolution du Royaume de Naples en 1820 et 1821 et sur les causes qui l'ont am.née, accompagnés de pièces justificatives, la plupart inédites, Londres 1823; F. Pignatelli, Cenno dei fatti accaduti nel Regno di Napoli nei primi giorni di luglio del 1820, scritto in quegli anni, ma pubblicato postumo in N. Cortese, Mem. di un generale della Repubblica e dell'Impero, Bari 1927; G. Pepe, Mem. intorno alla sua vita e ai recenti casi d'Italia, Lugano 1847; P. Colletta, Cenno stor. sulla rivol. napol. del 1820, in Opere ined. e rare, I, Napoli 1861. Il giudizio sostanzialmente negativo è confermato dagli storici che successivamente si sono occupati del moto: M. Manfredi, L. Minichini e la carboneria a Nola, Firenze 1932, ad Ind.; R. Moscati, G. Pepe, I (1797-1831), Roma 1938, ad Ind.; N. Cortese nelle note dell'ediz. da lui curata di P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, Napoli 1954, ad Ind.; P. Pieri, Storia milit. del Risorg., Torino 1962, ad Ind.; M. Themelly nell'introd. e note a L. Minichini, Luglio 1820. Cronaca di una rivoluzione, Roma 1979, ad Ind., a cui si può far riferimento per una più completa aggiornata bibliografia. In linea con le posizioni del Nisco e del Cannaviello è invece C. Spellanzon, Storia del Risorg., I,Milano 1933, pp. 799. 803-06. Sugli altri momenti della sua vita il principale punto di riferimento è la citata biografia dei Cannaviello; utili sono anche: L. Blanch, La rivol. del 1820 e la reazione che ne seguì, in Scritti storici, a cura di B. Croce, II, Bari 1945, ad Ind., per la sua partecipazione alla guerra contro gli Austriaci; D. Nicolai, Memorie acerbe ed onorate di L. D. e Margherita Bellucci, Brighton 1834 (rist. Napoli 1902); A. Zazo, Vicenda di alcuni ms. sugli avvenimenti napol. del 1820 e una mancata grazia all'esule irpino L. D., in Samnium, XLVII (1974), 1-2, pp. 1-11, per le notizie sull'esilio; G. Paladino, Il quindici maggio del 1848 a Napoli, Milano-Roma-Napoli 1920, ad Ind., per la sua partecipaz. a questa rivoluzione.