DE CARO, Lorenzo
Pittore napoletano, fu attivo dal 1740 al 1761.
La produzione pittorica del D., inizialmente confusa con quella di un inesistente L. D. Cayo, è stata oggetto di nuova considerazione in un breve scritto del Voss del 1968, dove l'autore, pur rivelando numerosi limiti nella conoscenza del pittore (come l'affermazione che non abbiamo suoi dipinti eseguiti per chiese), metteva definitivamente in chiaro la sua appartenenza all'area napoletana, escludendo alcune erronee interpretazioni miranti a. farne un esponente della scuola svizzera del XVIII sec. o addirittura un allievo del Tiepolo. D'altra parte, già il Causa (1947) aveva inserito il pittore in ambito napoletano, individuandovi però un'adesione ai termini tardosettecenteschi del De Mura, che la successiva lettura del Bologna (1962) negava a favore di un aggancio al percorso tardobarocco dell'ultimo Solimena: interpretazione questa che la critica ha poi pienamente accolto, facendo propri anche i riferimenti alle sollecitazioni del Traversi per quel che riguarda la caratterizzazione tipologica dei personaggi raffigurati.
La sua figura è venuta pertanto emergendo con chiarezza nella mostra "Civiltà del '700 a Napoli" (1979) ed in quella sulla "Pittura sacra" (1980), dove è risultato, proprio dal confronto con i coevi esiti dei pittori della stretta cerchia solimenesca, come il D. (per il quale non ci è possibile avvalerci dell'apporto biografico del De Dominici, probabilmente per motivi cronologici) rielaborò in maniera personalissima il linguaggio del Solimena tardo, utilizzando l'accentuazione della macchia in termini di palese opposizione alla perdurante continuità del verbo accademico e soprattutto alle delicate atmosfere arcadiche proposte dal De Mura con un inconfondibile chiarore timbrico, ridotto presto a puro virtuosismo tecnico. È risultato così evidente come, accanto ad un recupero puntuale dei tagli compositivi del Solimena, sottoposti ad una movimentata azione cromatica esemplata sul ricordo dei "dorato" giordanesco, l'analisi dei personaggi rivela un tentativo di adesione alla lezione del Traversi, di cui traduce l'indagine psicologica verificata su campioni umani di diversa condizione sociale. Così, come ha avuto modo di sottolineare più recentemente il Bologna (1980), è possibile non solo riscoprire legami col Giobbe, già a Berlino in collezione Habertak, ma considerare anche come il D., nell'individuare una via alternativa a sostegno delle proprie scelte in chiave rococò, "aveva centrato l'interesse sull'ancor meno ovvio Traversi delle tele sacre" (p. 68).
La conoscenza dell'iniziale attività del pittore poggia sul documento del 9 ag. 1740, in cui si fa riferimento alle perdute tele della parrocchiale di Piedimonte San Germano (Cassino), raffiguranti la Gloria di s. Germano, l'Invenzione della Croce e il Martirio di s. Bertario (Rizzo, 1979, p. 229). A queste seguirono nel 1746 i restauri degli affreschi dello Schepers nei SS. Severino e Sossio e del Corenzio nel Tesoro e nella sagrestia dell'Annunziata, sempre a Napoli. Nel 1750, oltre ad eseguire la Madonna del Carmine e santi per S. Gerolamo dei Ciechi (oggi dispersa), il D. affrescò la volta dell'atrio dell'ospedale della Trinità dei pellegrini (andata distrutta). In questi stessi anni dovette realizzare il bozzetto della collezione Pisani a Napoli, pubblicato dal Bologna (1962, tav. XXVI), del quale molti particolari sembrerebbero ripresi da un perduto dipinto dell'Amigoni (Spinosa, 1982), e dove, inoltre, è evidente il legame del francescano sulla destra col Ritratto di padre Raffaele Rossi da Lugagnano del Traversi (Civiltà del '700..., 1979, p. 226). Nel medesimo arco di tempo andranno collocati la Presentazione al tempio (collez. Leone a Napoli), la Cacciata di Eliodoro, dal tempio (Pinacoteca di Bologna), la Vergine di coll. privata napoletana (Bologna, 1980, fig. 62): premesse indispensabili per gli alti raggiungimenti della Conversione di s. Paolo e del Trionfo di Giuditta, oggi nella collezione Molinari Pradelli a Marano di Castenaso, in cui non solo la libertà cromatica rivela la volontà di un uso del colore indipendente da schemi formali e dal rigore disegnativo, ma l'acume delle tipizzazioni e l'avvaloramento di queste attraverso tocchi contrastati di luce ed ombre induce a considerare tali esiti come il culmine di una ricerca condotta sulla metà del secolo, in totale contrasto con gli orientamenti prevalenti. Anzi, figure come la Giuditta consentono di precisare come accanto ad una vivace capacità ideativa si faccia strada quell'apertura all'individuazione di tipi e atteggiamenti popolari che, se trova un corrispettivo dell'interesse verso la produzione dei pastori da presepe, consente di constatare come in questa fase il D., pur disposto ad aprirsi a preziosismi di stampo rococò, mostri una capacità di presa diretta del reale, cui corrisponde la festosa interpretazione. di Giuditta "popolana", piuttosto che "cortigiana".
In tale direzione è apprezzabile il recupero della traversiana Vecchia della coll. Pagano a Napoli (Civiltà del '700, 1979, p. 220) per la definizione tipologica della serva di Giuditta, pur plasmata da un cromatismo che riscatta la rugosità della pelle a favore di un crescendo luministico.
Almeno quattro delle tele individuate dal Voss in collezione privata a Cantù (Trionfo di Davide, Trionfo di Mardocheo, Ester e Assuero e Trionfo di Giuditta) spettano al medesimo momento; mentre con l'Immacolata Concezione della coll. Palmieri a Napoli ci troviamo dinanzi ad una diversa fase, in cui il moto dei panni si accompagna ad una penetrante tintura d'ombra di indubbia memoria pretiana, destinata a caratterizzare le tele delle due prime cappelle di destra e di sinistra, eseguite per la chiesa dei SS. Filippo e Giacomo (Estasi di s. Teresa, S. Pietro d'Alcantara e s. Teresa, Gloria di s. Pietro d'Alcantara e Martirio di s. Gennaro, Gloria di s. Gennaro, Gloria di angeli).
Queste tele furono eseguite tra il 1757 e il '58, come risulta da fonti inedite dell'Archivio storico del Banco di Napoli (Banco del Salvatore, 9 genn. 1758, matr. 1409, d. 15; 23 ag. 1758, matr. 1394, d. 18): nel gennaio '58 erano state già eseguite l'Estasi di s. Teresa e la Gloria di s. Pietro, nell'agosto erano stati terminati due dei quadri destinati alla cappella di S. Gennaro, mentre il D. stava dipingendo il quadro con i SS. Pietro e Teresa. In queste opere la marcata unzione del colore trova forza attraverso una stabilizzazione formale che rivela un iniziale impegno disegnativo, quale confluirà nel segno di una chiarità tonale di marca demuriana nelle tele della cappella della Croce annessa al collegio Landriani a Portici, anch'esse eseguite tra il '57 e il '58: Crocefissione, Pietà, Rinvenimento della Croce.
Nel 1760 il D. risulta invece impegnato nella realizzazione del quadro per l'altare, della Congrega della Carità di Dio, sempre a Napoli (Arch. stor. d. Banco di Napoli, Banco del Salvatore, 18 aprile, matr. 1432).
Ultima opera nota del pittore è l'Allegoria della Fede (1761) per S. Maria della Pazienza alla Cesarea, di cui esiste il bozzetto segnalato dallo Spinosa (1971, p. 537 n. 79). il quale ha reso anche noto che una replica firmata del S. Pasquale Baylon della stessa chiesa è nella collezione G. C. Sestieri a Roma. A queste opere vanno legate cronologicamente le tele firmate del Museo di S. Martino, raffiguranti S. Giovanni di Dio e S. Francesco Saverio: quest'ultima trova un interessante parallelo nell'analogo dipinto firmato, già nella chiesa del Gesù a La Valletta e ora nel Museo di belle arti di quella città.
Andranno inoltre assegnate al D. l'Ecce Homo della coll. Donatone a Napoli, l'Adorazione del serpente di bronzo, già nella collezione De Gregorio; l'Adorazione dei magi e l'Educazione di Maria del Museo di Solothurn in Svizzera e la Visitazione di S. Maria dell'Olivella a Cassino, resa nota dal Maltese (1961).
Bibl.: G. Ceci, Saggio di una bibliogr. per la storia delle arti figurative nell'Italia merid., Napoli 1911, p 88; Mostra della pittura ital. del Sei e Settecento in palazzo Pitti (catal.), Roma-Milano-Firenze 1922, sub voce; R. Causa, Mostra dei bozzetti napol. del '600 e '700 (catal.), Napoli 1947, p. 60; C. Maltese, Mostra dell'arte nel Frusinate dal XII al XIX sec. (catal.), Frosinone 1961, pp. 51 s., fig. 67; F. Bologna, in Settecento napol., Torino 1962, p. 94; H. Voss, L. D., in Festschrift Ulrich Middeldorf, Berlin 1968, pp. 494 ss.; M. Stoughton, in Paintig in Italy in the Eighteenth Century: Rococo to Romanticism (catal.), Chicago 1970, p. 220 (cfr. recens. di I. Faldi, in The Burlington Magaz., CXIII [1971], pp. 568 s.); N. Spinosa, in Storia di Napoli, VIII, Cava dei Tirreni 1971, pp. 494-98, 536 s.; M. [ma N.] Spinosa, Caro, L. de, in Diz. enc. Bolaffi, III (1972), pp. 84 ss.; G. Fiengo, L'arch. I. Cuomo e la villa... a Portici, in St. dell'arte, 1979, n. 35, p. 74; Civ. del '700 a Napoli (catal.), Firenze 1979, I, pp. 140 s., 246-51; II, p. 431; V. Rizzo, Notizie su artisti e artefici dai giorn. copiapolizze degli antichi banchi pubbl. napol., in Le arti figur. a Napoli nel Settecento, Napoli 1979, p. 229, n. 15; N. Spinosa, in Cultura materiale, arti e territorio in Campania, Napoli 1979, pp. 464 ss.; F. Bologna, G. Traversi nell'Illuminismo europeo, Napoli 1980, pp. 66 ss.; N. Spinosa, Pittura sacra a Napoli nel '700 (catal.), Napoli 1980, pp. 36 ss.; Id., in Arti e civiltà del Settecento a Napoli, Bari 1982, p. 233 n. 60; La Raccolta Molinari Pradelli (catal.), Firenze 1984, p. 150.