LORENZO da Bologna
Nacque molto probabilmente a Bologna dal muratore Simone che, negli anni Cinquanta del Quattrocento, potrebbe aver lavorato al castello di Rubiera e alla costruzione del palazzo di Sassuolo. Scarse sono le notizie biografiche su L.: certo è che fu attivo come architetto nell'Italia settentrionale tra il 1460 e il 1508.
L'opera fondamentale riguardante la sua biografia personale e artistica rimane la monografia di G. Lorenzoni del 1963. Al testo base sull'attività dell'architetto si devono aggiungere nuove testimonianze rintracciate da studiosi di diversa formazione (Danieli, 1996-97; Maffei, 1994; Clerici, 2001). Nel 1454 è attestata la presenza di L. nel cantiere della rocca di Castel Poledrano (castello Bentivoglio: Danieli, 1996-97, pp. 209 s.); e in un atto stilato a Padova nel 1502 l'architetto compare come "magistro Laurentio quondam Symeonis de Pardis ingeniario" (Bresciani Alvarez, p. 380). Questi dati, insieme con alcuni connotati stilistici, suggeriscono l'ipotesi che l'espressione "de Pardis" si riferisca all'emblema araldico, il leopardo, che rivestiva il salone principale della residenza bentivogliesca. Tuttavia L. si firmò più spesso con il solo patronimico o con l'indicazione della città natale o di provenienza. A L. vengono attribuiti numerosi interventi di ricostruzione e di nuova edificazione in ambito privato e religioso e qualche perizia edile e territoriale.
Si può affermare che l'attività di questo "inzegniarius", che si propose come rinnovatore dell'architettura veneta senza tuttavia raggiungere il rigore di L.B. Alberti, F. Brunelleschi e D. Bramante, cui pure è stato accostato, si possa suddividere in due fasi principali: quella vicentina e quella del secondo periodo padovano.
L. è documentato nella provincia di Padova a partire dalla metà degli anni Sessanta del Quattrocento, dove appare ben introdotto nell'ambiente dei murari della città. Già "habitator Padue", dal 1467, anno in cui risulta essersi sposato con Veronica, al 1474 abitò a Candiana (si suppone che abbia collaborato ai lavori presso il monastero di S. Michele) in un'abitazione di sua costruzione; in seguito tornò a Padova in contra' Borgo Zucco e vi rimase fino al 1479 quando lo si trova a Vicenza ingegnere del duomo e come tale investito del possesso di un terreno. Nel 1480 si iscrisse alla fraglia dei muratori e scalpellini della città berica.
I lavori vicentini gli vennero commissionati dalle famiglie Trissino, Valmarana, Barbaran (1485: cappella in S. Corona), Da Porto, Thiene, appartenenti, tranne i Thiene, alla nobiltà vicentina più ricca e antica. Nuovi documenti (Clerici, 2001, pp. 121 s.) relativi all'ospedale dei Proti di Bolzano Vicentino testimoniano la sua versatilità e confermano come fosse in grado di sovrintendere a più lavori contemporaneamente. Dal suo rapporto con la famiglia Valmarana, proprietaria terriera nella campagna vicentina e legata sia ai serviti di Monte Berico sia ai domenicani di S. Corona, discendono varie commissioni, come il granaio e altri fabbricati presso l'ospedale di Bolzano (1479), la casa di Giacomo Valmarana (attuale casa Bertolini: 1480), interventi al coro o cappella maggiore e sacrestia della basilica di Monte Berico (1479, e non 1476: Danieli, 1996-97, p. 214), la cappella maggiore e la cripta di S. Corona con volta a botte divisa in sei campate da fasce in cotto e terminazione a dodici lati (1480-81). La cappella del Santissimo nel duomo di Vicenza (1481), poi trasformata, fu costruita invece per Gaspare Trissino.
Nel 1482, insieme con il genero Gregorio Spezabanda da Barbarano, venne incaricato di compiere una serie di opere per Giovanni Da Porto (palazzo Porto-Breganze), per i lavori al portale, del quale i due artisti risultano entrambi creditori ancora nel 1487. Parallelamente ai lavori di apertura di una cappella di proprietà dell'ospedale dei Proti presso la chiesa di S. Fermo a Verona, nel periodo 1486-88 controllava il cantiere del palazzo di Giovanni Da Porto e probabilmente iniziava la costruzione di palazzo Thiene (1489 circa), pesantemente restaurato nel 1824.
In mancanza di ulteriori informazioni, la presenza nello stesso 1488 a casa di Giacomo di Marco Thiene di L. "de Mantua habitatore Vincentie" (denominazione che farebbe pensare a un soggiorno mantovano di L.) non sembra essere sufficiente per ipotizzare una sua assimilazione delle linee più avanzate dell'architettura mantovana del momento, né spiega le caratteristiche già presenti nella sua architettura prima di questa data.
I suoi rapporti con le architetture brunelleschiane e albertiane sono troppo generici perché possano essere interpretati come regole vincolanti. La differenza esistente tra le ricerche spaziali e formali che caratterizzano i palazzi vicentini e la successiva attività padovana è dovuta probabilmente alla committenza, più interessata a citazioni antiquarie a Vicenza piuttosto che a Padova.
A Padova ritornò nel 1489 tramite i frati del convento di S. Bartolomeo di Vicenza per i quali aveva sistemato il chiostro: la committenza era soprattutto religiosa (il seminario vescovile, già monastero di S. Maria in Vanzo, intorno al 1489); ma L. accettò incarichi sia dalla Comunità (1492: modello per la loggia del Consiglio) sia dalla Dominante (progetto per una "buova del ponte piochioso" del 1505: Rigoni, p. 175). Dal 1489 in avanti collaborò con il vescovo P. Barozzi sovrintendendo alla costruzione della cappellina dell'episcopio, lavoro non suffragato da documenti, ma accettato dalla critica sia a causa di soluzioni stilistiche, che sembrerebbero essere comuni ai lavori vicentini, sia per analogie con il suo contributo alla ridefinizione della parte absidale del duomo di Montagnana (1495), località ove L. visse tra il 1495 e il 1499. Nel 1497 è documentata (Danieli, 1996-97, p. 237) invece la sua presenza a Montagnana e a Padova: mentre conduceva il cantiere del duomo, probabilmente ingaggiato dalla Comunità, lavorava anche nel palazzo vescovile, tra l'altro incaricato da Barozzi della pavimentazione interna. Nel 1491 L. risulta operare al monastero di S. Giovanni di Verdara con l'incarico di costruire il loggiato superiore del chiostro doppio. Nel 1496 era impegnato con Pietro Antonio Abbati (intarsiatore, ma anche pittore e architetto), nella realizzazione del chiostro grande dello stesso monastero. È in questo edificio, dall'iter costruttivo travagliato, che ricompare il tradizionale uso del cotto, soprattutto nel loggiato superiore del chiostro doppio, con copertura a botte appiattita, sottili colonne e pennacchi ornati da medaglioni che richiamano forme brunelleschiane.
Tra il 1495 e il 1505 L. intraprese i lavori per la ricostruzione della parte absidale e del soffitto della navata e per il completamento della sacrestia della chiesa del Carmine a Padova. La chiesa presenta una sola navata voltata a botte con cappelle laterali che all'esterno risultano incastrate tra alti archi, che richiamano soluzioni albertiane. Il contributo di L. al completamento della chiesa di S. Francesco Grande a Padova è ancora controverso e si basa sostanzialmente sulla sua presenza all'atto di acquisto del terreno e su affinità strutturali con il duomo di Montagnana.
I tratti caratteristici della sua architettura, alla base di attribuzioni scarsamente o per nulla documentate, sono l'utilizzazione del bugnato a diamante sullo zoccolo angolare degli edifici, memore di soluzioni emiliane e del resto presente solo in palazzo Thiene; l'uso di un particolare tipo di decorazione in cotto per gli esterni e della volta a botte lunettata; l'aggiunta di un mezzo pilastro in funzione strutturale (come per l'innalzamento del soffitto nel duomo di Montagnana); le cupole con lunette. L'utilizzazione della conchiglia come catino absidale, di strutture e di dimensioni dalle più modeste (cappellina Barozzi) alle più impegnative (abside e cappelle laterali nel duomo di Montagnana) pare acquistare un significato simbolico di celebrazione mariana a partire dai contatti con il colto vescovo Barozzi, ma già faceva parte del vocabolario di L. fin dal 1486 nella cappellina all'interno della chiesa di S. Rocco a Vicenza (che, senza documenti, gli è stata attribuita insieme con il chiostro).
La sua capacità di risolvere problemi tecnici tramite soluzioni genericamente rinascimentali, con un vocabolario classicheggiante ma mai pienamente assorbito, lo accosta più al tipo del proto che a quello dell'architetto e appartiene alle conoscenze e al modus operandi più diffuso nel Quattrocento.
L. non dette origine a una bottega; i suoi compagni di lavoro provenivano dalla Lombardia, da Mantova e da Ferrara; e se è accertata la società fondata con Pietro Antonio Abbati, presente con lui in molti cantieri (a S. Giovanni di Verdara, a S. Benedetto Novello nel 1495, al Santo, ai Carmini), i ferraresi Giovanni da Ferrara e Biagio Bigoio furono suoi aiutanti. Il primo lo accompagnò a Verdara nel 1467 mentre il secondo ebbe probabilmente il ruolo di tecnico di fiducia, dato che subentrò a L. nei cantieri padovani della loggia del Consiglio, dei Carmini e di S. Francesco Grande.
Dopo il 1508 non si hanno più notizie di L.; ed è quindi presumibile che, interrotta l'attività, morisse poco più tardi.
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