CRICO, Lorenzo
Nato a Noventa di Piave (Venezia) il 10 nov. 1764 da Santo e Maria Benson, ricevette una buona educazione letteraria nel seminario di Treviso dove fu ordinato sacerdote e per qualche anno insegnò lettere italiane e latine. Nel 1792 rientrò al paese natale e per cinque anni si dedicò a tranquille letture dei classici latini e italiani, interrotte il 20 ott. 1797 dalla nomina, personalmente sollecitata presso il vescovo Bernardino Marino, ad arciprete di Fossalunga, piccolo e povero paese della pianura tra Treviso e Castelfranco, dove per ben 27 anni attese ad una operosa ed appassionata cura d'anime, serenamente intercalata dai prediletti studi agronomici e da un'infaticabile attività editoriale, i cui proventi destinava al restauro ed abbellimento degli edifici sacri e alla fondazione di un ospizio per quattro agricoltori vecchi e poveri.
Nella parrocchia di Fossalunga il C. era stato preceduto da un altro celebre studioso di agricoltura, quel Melchiorre Spada che con il Catechismo di agricoltura e la Dissertazione sopra i mezzi di migliorare la coltivazione delle terre nel territorio trivigiano alto e basso aveva dato celebrità ed impulso alla neonata Accademia agraria di Treviso.
L'accostamento del C. al mondo dell'agricoltura avvenne però, come in molti agronomi-umanisti del sec. XVIII, per la via della poesia e degli studi classici: in una serie di egloghe "rusticali", La Nencia (Venezia 1792), La cresima (Treviso 1794) Egloghe rusticali (ibid. 1795), Il mercato di Barcon (ibid. 1802), tratteggiò in brutti versi e con scarsa vena poetica una vita agreste idealizzata in tratti ancora tipicamente arcadici. Spiccano in questa produzione la traduzione della Bucolica di Virgilio (Venezia 1792), accompagnata da un Poemetto su la poesia pastorale, e il poema La coltivazione del grano-turco (Treviso 1812), dedicato al conte G. Scopoli - che come prefetto di Treviso gli procurò il posto di rettore del ginnasio dipartimentale - e chiaramente modellato sulla famosa Coltivazione del riso dello Spolverini. Con il poema giocoso Esopo (Venezia 1828) il C. pose fine alla sua mediocre avventura poetica, cui del resto aveva già affiancato da tempo una ben più solida e concreta produzione agronomica, stimolata dall'ambiente in cui viveva e dalla generale tendenza di studi del sec. XVIII.
Scrittore di vena facile ma prolisso e noioso, scrisse in pochi anni numerosi trattati di agricoltura in forma dialogica, spesso rifacimenti e ampliamenti l'uno dell'altro, raramente ispirati alla letteratura rustica contemporanea, che pure non ignorava, e invece ancorati alla realtà della vita contadina trevigiana. Dopo L'amico dei contadini (Bassano 1805), operetta semisconosciuta anche ai suoi tempi, conseguì fama con Il contadino istruito dal suo parroco (3 voll., Venezia 1817-18) vasto trattato dialogico, in cui introduceva vari contadini (Cecco, Giovanni, Carletto, Margherita) a discorrere in forma semplice e bonaria dei problemi economici, agricoli e familiari.
Estraneo alla cultura illuministica di fine '700, che pure con Francesco Griselini aveva teorizzato il ruolo fondamentale dei parroci nell'educazione dei villani, il C. fu pure estraneo a qualsiasi precisa posizione politica passando, come tanti religiosi contemporanei, dalle entusiastiche lodi del genio di Napoleone alla fiduciosa e sincera adesione al governo della cattolica Austria.
Nei dialoghi dei suoi contadini si respira l'orrore per le "orribili guerre" e le "crudeli ferite" delle campagne napoleoniche, ma, senza astio e rancore per il caduto regime, il C. interpreta nelle sue opere un sentimento largamente diffuso nell'opinione pubblica italiana ed europea di questi anni, l'acuto desiderio di pace dopo i tumultuosi sconvolgimenti bellici dell'età napoleonica. Ispirandosi al tipico paternalismo agrario di molti politici ed agronomi della Restaurazione, in questo eredi legittimi di tanti scrittori illuminati del secolo XVIII, il C. tratteggia figure di contadini "buoni", pazienti, laboriosi e zelanti, un po' riottosi ma in fondo obbedienti alle autorità politiche e religiose, tutto sommato disponibili ad accogliere i paterni consigli, spirituali e profani, del parroco che viene così ad assumere un ruolo di effettiva centralità nella vita dei paesi trevigiani ("ogni villaggio suol avere la sua particolare indole dominante, e può contribuirvi di molto a formarla un parroco, che siasi guadagnato la pubblica estimazione e sappia farsi amare dal suo popolo", I, p. 10). Ai contadini veneti il C. consiglia il "contentamento del proprio stato", evitando le funeste conseguenze delle insensate bramosie di "cangiamento" della propria condizione, ma questo non gli impedisce di collocarsi su posizioni apertamente "progressiste" su molte questioni sociali che allora cominciavano ad affacciarsi alla discussione politica. Così caldeggia apertamente l'alfabetizzazione dei contadini, attraverso l'istituzione di scuole comunali, teorizza l'equivalenza del lavoro domestico delle donne a quello agricolo, distrugge le superstizioni popolari e le sciocche credenze in streghe, folletti e spiriti, esorta i proprietari terrieri ad una più attiva partecipazione ai lavori agricoli e a più intensi investimenti di capitali (I, pp. 21-23, 32-42, 180, 214).
Sempre ne Il contadino..., ma anche in una serie di interventi all'ateneo trevigiano, di cui fu per tre anni presidente (I, pp. 27-37 III, pp. 27 ss.), possiamo cogliere come in uno specchio i tratti più tragici della grave crisi che travaglia le campagne venete nei primi anni della Restaurazione: la mendicità "resa oggimai quasi un'inondazione", il frazionamento fondiario, la pellagra, l'alcoolismo, i danni del "pensionatico", le misere condizioni di vita dei "pisnenti" o braccianti, lo sviluppo della grande conduzione diretta da avidi "affittanzieri", i problemi della coltivazione del gelso e della soccida (I, pp. 43-51 97-107, 181-204, 205-218, 274-284 cfr. anche Berengo, L'agricoltura ..., pp. 117, 206 s., 312, 327). La carestia degli anni 1815-1817 stimola il C. a farsi paladino presso i contadini della coltivazione delle patate, "un composto dolcissimo, che tale si esperimenta in que' paesi, massime montani, ne' quali non si raccoglie quanto occorre all'annuo mantenimento della popolazione" (I, p. 259).
Se i volumi primo e secondo de Il contadino..., intitolati Economia domestica ed Economia rustica (comprendenti dialoghi sulle tecniche colturali e i vari tipi di coltivazioni, di biade, di animali), costituiscono un vero e proprio trattato di economia agricola, il terzo invece sotto la denominazione di Dialoghi sulla storia santa mira ad offrire alle classi rustiche, in forma piana e accessibile e con la consueta tecnica dialogica, una buona conoscenza della Bibbia. Questa ambizione del C. di proporsi come divulgatore semplice e umile dei fatti del Vecchio Testamento si concreta negli anni seguenti in una lunga serie di "dialoghi rusticali" a soggetto sacro (Mosè, Venezia 1821, Giosuè, ibid. 1823, Rut, ibid. 1823, I giudici d'Israello, ibid. 1824, Davide, ibid. 1825, Giuditta, Esther e Giobbe, Treviso 1826, Elia ed Eliseo, ibid. 1827, Isaia e Geremia, ibid. 1828, Daniele, Esdra, Neemia e i Maccabei, ibid. 1830), che non pare però abbiano né raggiunto il pubblico contadino cui erano destinati, quasi totalmente analfabeta, né accresciuto la fama letteraria del Crico.
Sempre in forma dialogica od epistolare egli rielaborò e allargò i temi de Il contadino..., in altre opere, che vennero sempre più assumendo la forma di "catechismo agrario", un genere prediletto in quel giro d'anni da molti preti-agronomi italiani. All'Istruzione d'agricoltura pei contadini (Venezia 1820), che ripeteva in buona parte gli argomenti de Il contadino ..., fece seguire sempre a Venezia nel 1822 i Doveri del contadino. Lettere di un possidente al suo colono, in cui valorizzava il ruolo sociale della classe dei possidenti, "che formò in ogni tempo il nerbo dello stato e l'anima della società", denunciava il "disordine assai pernicioso alla società ed all'agricoltura" costituito dall'"aperta alienazione d'animo che di frequente regna tra la famiglia del colono ed il possidente" e insisteva con forza sul solidarismo interclassista, sui doveri di sottomissione alle autorità politiche e sulla funzione sociale della religione cristiana, "base" e "anima della legislazione" del "mirabile" governo monarchico- austriaco (pp. 48, 51-55, 58-65).
Sugli stessi temi, ma con crescente fiacchezza e ripetitività, tornò negli anni seguenti con l'Agenzia di campagnia. Lettere d'un possidente al suo fattore (Venezia 1925) e le Istruzioni per un gastaldo (Treviso 1829), interessanti almeno perla sottolineatura della crescente importanza dell'"agente di campagna" o "gastaldo" nella campagna veneta, ormai segnata dalla presenza della grande proprietà borghese.
Nel 1824 il C., dopo aver retto per qualche tempo il collegio di Castelfranco, fu sollevato dalla cura d'anime a Fossalunga e nominato canonico della cattedrale di Treviso, dove per vari anni ebbe la sovrintendenza dei lavori per la ricostruzione del duomo. Gli anni seguenti lo videro dedito a studi e ricerche di belle lettere e storia dell'arte, confortato dall'amicizia e dall'aiuto di eruditi e uomini di cultura come A. Fapanni, E. A. Cicogna, A. Rosmini. Stimolato dai colleghi dell'ateneo, fondato (1810) da Napoleone, cominciò ad interessarsi dell'inventario e catalogazione dei beni artistici. visitando di persona chiese e palazzi della provincia di Treviso alla ricerca di informazioni di prima mano. Esordì nel campo dell'erudizione storico-artistica con due lettere sulla pittura di Andrea da Murano pubblicate sul Giornale di scienze, lettere ed arti delle provincie venete, IV (1822), cui fece seguire, nello stesso anno, il Viaggio pittorico da Venezia a Possagno (Venezia 1822), che col pretesto di suggerire al patriarca Giovanni Ladislao Pyrker un itinerario artistico sino a Possagno, descriveva in cinque lettere vari dipinti del Trevigiano. Amico di Antonio Canova, descrisse i lavori del tempio di Possagno nella quarta lettera del Viaggio pittorico e nella più ampia Lettera sullo stato attuale del tempio di Possagno (Treviso 1825), pubblicata dallo stesso Giornale di scienze, lettere…, (X [1825], 56).
Coronamento della sua decennale attività di ricerca erudita nel campo della storia dell'arte furono le Indicazioni delle pitture ed altri oggetti di belle arti degni di osservazione esistenti nella regia città di Treviso (Treviso 1829) e soprattutto le ventisei Lettere sulle belle arti trivigiane (ibid. 1833), in cui, rivolgendosi a vari uomini illustri, descrisse chiese, palazzi, monumenti, affreschi, pitture e sculture della provincia di Treviso.
Il C. ebbe il merito di schedare una grande quantità di oggetti artistici altrimenti destinati all'oblio e alla distruzione, e di correggere i molti errori di attribuzione dei Federici grazie alle personali ricerche su singoli monumenti. Il suo "viaggetto pittorico" tra i tesori d'arte del Trevigiano si conclude con la lettera XXVI, indirizzata nel 1832 ad A. Diedo, segretario dell'Accademia di Treviso, Sull'andamento delle belle arti trivigiane dal mille e cento fino a' nostri giorni (pp. 284-318), che traccia un profilo dello svolgimento della pittura, scultura e architettura trevigiane dal Medioevo ai tempi del prediletto Canova. Le Lettere sono opera di erudizione municipale, non priva di errori, di modesto spessore critico, ma pur utile come fonte di notizie minute e spesso non più verificabili in loco del resto il suo valore va commisurato al livello dell'erudizione e della critica d'arte nella prima metà del secolo XIX.
Il C. morì a Venezia il 2 ott. 1835.
Fonti e Bibl.: Bassano, Bibl. comunale, ms. F.I. 64, D. 15, 30-C-10-8, 34-D-2-5, Epist. Remondini, VIII, 304, Carteggio Canoviano, III, 304 Carteggio F. Trivellini, IX, 49 Treviso, Biblioteca comunale, Lettere autografe di uomini chiari nelle scienze, busta 2 G. A. Moschini, Della letter. venez. del secolo XVIII fino a' nostri giorni, Venezia 1806, pp. 188 s. E. De Tipaldo, Biografia degli ital. illustri, III, Venezia 1836, pp. 152 s. G.Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia edi suoi ultimi cinquant'anni, Append., Venezia 1757, p. 48, A. Dalla Verde, sula vita e le opere di L. C., Treviso 1908 L. Coletti, Treviso, Roma 1935, p. 9 Id., Storiografia artistica trivigiana, in Arch. veneto, LXXX (1950), pp. 190-205 C. Chimenton, Commemorazione di mons. L. C. nel centenario della morte, Treviso 1936 M. Berengo, L'agricoltura veneta dalla caduta della Repubblica all'Unità, Milano 1963, pp. 117, 121, 206 s., 312, 327 P. De Tomaso, Il racconto campagnolo dell'Ottocento it., Ravenna 1973, pp. 73-76.