LORENESE, Claude Gellée, detto il
Pittore e incisore, nato nel 1600 a Chamagne (diocesi di Toul) in Lorena, morto a Roma il 23 novembre 1682. Già nel 1613 si recò in Italia, che poi non lasciò più, come il Poussin, se non per rivedere il paese nativo nel 1625. Ritornato nel 1627 a Roma, ove abitava sotto al Pincio, vicino al Poussin, vi rimase sino alla morte senza avere mai dimenticato la sua cara Lorena. Secondo B. Baldinucci ebbe cuore semplice e spirito quasi incolto. Francese d'origine, di cuore e di maniera, trovò nell'Italia di Urbano VIII protettori potenti e ricchi, tra cui lo stesso papa e il cardinale G. Bentivoglio, e il proprio ambiente artistico in cui s'incontravano tutte le scuole: maestri della prospettiva come A. Tassi e il tedesco Waëls, entrambi allievi di A. Elsheimer, e i paesisti bolognesi; e nel paesaggio romano luce e linee incomparabili. Compose per 55 anni di seguito paesaggi, conservati, oltre che in altre gallerie, in quella Doria Pamphili e nella Barberini in Roma, al Louvre in Parigi e particolarmente nelle gallerie d'Inghilterra, che ha votato un vero culto a quel pittore del sole e del mare. Nel suo Liber veritatis (collez. del duca di Devonshire) egli stesso tenne memoria, con disegni, dei quadri che eseguiva o che già aveva dipinti. Disegnò molto a seppia, praticò l'acquaforte. In pittura attese a paesaggi (ne colse i motivi, vagando con J. Sandrart nella campagna romana, nei Monti Sabini, sui Colli Albani) e a marine o a porti di mare. Ma tanto gli uni quanto le altre hanno uno stesso carattere: il soggetto mitologico o biblico, puro luogo comune mutuato dall'Italia, è sempre secondario, con piccole figure che faceva dipingere da suoi aiuti, quali G. Miel e F. Lauri; altro importava al suo animo: la poesia dell'universo; e fu il pittore della luce, del sole. Nei suoi paesi, la prospettiva aerea fa intravvedere, tra scure inquadrature di fronde e di architetture, simili a quinte, orizzonti scintillanti nella nebbia dorata. La sontuosa decorazione architettonica, anch'essa presa a prestito dall'Italia, è un semplice mezzo pittorico per dare risalto allo sfondo; essa non compare in certe vedute dirette, come nel Campo Vaccino del Louvre. Studiò i fenomeni luminosi varianti con le ore, cioè con l'angolo d'incidenza della luce; essi gl'ispirarono la celebre serie dello Ermitage: Mattino, Meriggio, Crepuscolo, Notte; e quegli studî di luce fanno del L. un precursore dell'impressionismo. Amò i mattini delicatamente argentati in un'atmosfera sempre trasparente, ma l'ora prediletta fu quella del tramonto, quando le ombre si allungavano consentendogli i toni dorati da lui ricercati. Nella maggior parte dei suoi paesaggi terrestri si trova sempre l'acqua, lago o fiume, perché è lo specchio della luce, e favorisce le ricerche d'un carattere così nuovo iniziate dal L.: i riflessi, i rapporti tra le cose (Il Molino, Roma, Galleria Doria Pamphili); ciò spiega il suo amore per i porti, cioè per le marine, che studiò a Venezia, a Civitavecchia, a Ostia, a Napoli. Nella Galleria nazionale di Londra, l'Imbarco della regina di Saba (1648) e l'Imbarco di S. Orsola (1647); al Louvre lo Sbarco di Cleopatra a Tarso (1647), Ulisse che consegna Criseide al padre Crise, sono tra i migliori suoi studî di riflessi di cieli mattutini o serali sulle acque, con schifi che si disegnano in controluce sull'orizzonte. Le gradazioni sfumate, il fine senso dei valori più che la cura delle intonazioni, l'amore del lontano pulviscolo luminoso, la velata dolcezza delle sere estive fanno del L., che in Roma conobbe i paesisti bolognesi e quelli nordici, dal renano Elsheimer al fiammingo Paul Brill, un pittore più vicino al nostro spirito che non il potente costruttore Poussin. Il Castello incantato (proprietà di A. Thomas Lloyd, Wantage) sorprende per le sue qualità espressive, e nel suo genere è unico: il sentimento della solitudine e del silenzio pervade l'azzurra gravità del crepuscolo. Sembrano convergere nell'opera complessa del L., e ricomporsi classicamente, il Settentrione, la Francia e l'Italia. I disegni del L. (collezione principale a Parigi, al Louvre e alla biblioteca della Scuola di belle arti; alla biblioteca reale di Windsor, a Oxford, agli Uffizî, ecc.) sono dei capolavori che rivelano più immediatamente il suo senso della natura: sono composti a macchie di sole e di densa ombra; i tratti di penna sono leggieri, sottili; larghi spazî bianchi spandono intorno luce. Le acqueforti (J. Callot, che suggerì al L. di praticare l'incisione, gli fu modello) spiegano come egli sia piuttosto un luminista nei valori che non nei colori. L'arte sua, definita "sogno dell'Italia nell'anima di un settentrionale" (Demonts), ebbe una larga eco: ne risentirono i Patel, i fiamminghi come van Bloemen, detto Orizzonte, gli olandesi Zwanevelt, Berchem, Karel Dujardin e, attraverso il Bloemen, Joseph Vernet. Suo lontano discepolo fu lo stesso J. Turner che lasciò alla National Gallery la sua Fondazione di Cartagine e il Sole nascente nella nebbia, tutti pervasi dal proprio modello, a patto che fossero collocati fra le due opere di Claudio di L. che vi sono tuttora. Discende dal L. anche il Corot.
Bibl.: M. Pattison, Claude Lorrain. Sa vie et ses œuvres d'après des documents inédits, Parigi 1884; R. Bouyer, C. L., Parigi 1905; E. Dillon, C. L., Londra 1905; K. Gerstenberg, C. L. u. die Typen d. idealen Landschaftsmalerei, Halle 1919; W. Friedländer, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XIII, Lipsia 1920; id., C. L., Berlino 1921; L. Demonts. Cat. des dessins C. G. dit Le Lorrain, Parigi 1923; K. Gerstenberg, Beiträge zur C. L.-Forschung, in Jahrb. f. Kunstw., I (1923), pp. 283-87; L. Hourticq, C. L. et Jacques Callot, in Mélanges Bertaux, 1924, pp. 156-66; A. M. Hind, Pseudo-Claude drawings, in The Burl. Mag., XLVIII (1926), pp. 191-96; id., Pseudo-C. drawings and Gaspar van Wittel, ibid., LIII (1928), pagine 92-93; S. Ernst, Les tableaux de C. L. dans les collections Joussoupoff et Stroganoff, in Gaz. des beaux-arts, II (1929), pp. 243-57; K. Kötschau, Goethe u. C. L., in Wallraf-Richartz-Jahrbuch, n. s., I (1930), pp. 261-68; H. Weizsäcker, Die Anfänge des C. L. in ihrem Zusammenhang mit der röm. Landsch., in Zeitschr. f. bild. Kunst, LXIV (1930-31), pp. 25-31.