LÓPEZ de AYALA, Pedro
Poeta, storico e uomo politico spagnolo, nato a Vitoria nel 1332, morto a Calahorra nell'aprile del 1407. Di famiglia nobile e potente, fu introdotto alla corte dal padre Fernán López de Ayala, che vi godeva molta autorità. Valletto del re Pietro il Crudele, già nel 1359 era capitano della flotta di Valenza e "alguacil mayor" a Toledo; ma quando il suo re, dissennato e debole, fuggiva dinnanzi all'impeto di Enrico di Trastamara, che si proclamava re (1366), L. de A., seguendo la decisione del padre, giurava fedeltà al nuovo monarca, del quale servì la politica e la milizia, mai dimentico dei proprî interessi personali. Come alfiere maggiore della Orden de la Banda - alto onore cavalleresco - combatté contro gl'Inglesi a Nájera (1367), dove fu ferito e fatto prigioniero. Riscattato, ebbe dal re nuove terre e nuove attribuzioni, dalla cui ambizione fu, in fondo, dominata tutta la sua azione: "alcalde mayor" di Vitoria (1374), poi di Toledo (1375), per la morte della madre e per la rinunzia del padre che abbandonava il secolo per la vita religiosa, ereditò il diritto di maggiorasco. Consigliere di Enrico II e del successore Giovanni I, L. de A. provò le sue sagge attitudini diplomatiche in Aragona, in Francia e poi anche in Portogallo. Ferito nel disastro di Aliubarrota (1386), dove s'era spinto Giovanni I temerario e maldestro, fu tenuto nella prigione di Oviedo per circa un anno, durante il quale meditò e compose gran parte del suo Rimado de Palacio. Durante la minorità di Enrico III, fece parte del Consiglio di reggenza, portandovi il suo pronto acume politico, specialmente nell'annosa questione con il Portogallo (1392). Dal nuovo re fu nominato gran cancelliere (1398), e per circa nove anni fu intessuta dalle sue mani la difficile trama della politica castigliana: esperienza ricca di fatti e di passioni, che L. de A. tradusse in una vigorosa opera di storia.
La sua partecipazione alla vita del tempo, come principe, guerriero e diplomatico, si proietta entro lo sfondo di un'educazione intellettuale d'interessi soprattutto morali e sociali, con un incipiente gusto umanistico. L. de A. fu tra i primi ad avvertire in Spagna la nuova cultura italiana, se non nella sua interna sostanza, certo come senso del reale e come armonia spirituale. Tradusse e fece tradurre alcune Décadas di Tito Livio (I, II e IV), il De Consolatione di Boezio, i libri Morales di San Gregorio, il De Summo bono di Isidoro di Siviglia, la Cronica troyana di Guido delle Colonne, e, in parte, la Caída de príncipes del Boccaccio, contribuendo ad allargare gli orizzonti della cultura castigliana. Ma soltanto nel Rimado de Palacio, vasta compilazione poetica, L. de A. andò raccogliendo le sue personali meditazioni, quasi note lirico-didattiche di un diario ideale, in cui la vita appare saggiata nei suoi aspetti più generali ma anche più empirici. L'umanità è colta con un realismo pieno e sicuro, negli ambienti entro cui si agitano le sue sfrenate e tortuose cupidigie: dalla vita politica, "palaciega" (onde il titolo generale) alla pratica religiosa; da sé stesso, uomo e peccatore tra gli uomini e gl'impenitenti, alla classe cortigiana ed ecclesiastica, con una libertà di giudizio e una crudezza d'esperienza che ora esplode con gli accenti della satira demolitrice e apocalittica, e ora si vela di amaro e rassegnato pessimismo. Nella varietà di forme metriche - da quelle piuttosto narrative a quelle più propriamente liriche - L. de A. ha tentato una vagabonda escursione entro l'animo e la condotta dell'uomo; ed è perciò che l'opera, slegata e sorta in momenti diversi (soltanto successivamente fu compresa sotto un titolo comune), cade spesso in un prosaismo pedagogico e in un'astrattezza morale, da cui la può riscattare soltanto quel tono di verità direttamente acquisita. Ma questa società del sec. XIV, che nel Rimado figura sotto specie generale, ritorna nell'opera storica con un ordine cronologico, politico e individuale. Nelle sue Crónicas, L. de A. descrive il regno di Pietro I. Enrico II, Giovanni I ed Enrico III (e la morte non gli consentì di completare quest'ultimo), con una vigorosa, partecipe e drammatica rievocazione: nelle sue pagine è sempre presente la figura del re o del protagonista, fissata nella sua azione concreta, nella fisionomia psicologica, nelle sue linee fisiche. Breve, rapido, a scorci, L. de A. rappresenta la realtà effettuale nel suo giusto tono, e nella storia ritrova e isola l'elemento individuale, la presenza tenace e operosa dell'uomo, il gioco delle passioni e degl'interessi. I suoi re, i principi, i cavalieri, le figure centrali e le episodiche sono rappresentate o accennate con vera ed essenziale nettezza di atteggiamenti, sicché nella sua prosa spira la poesia del dramma: specie per il re Pietro, scettico e terribile, per cui il suo stile si fa freddo e incisivo. Con L. de A. la cronistoria spagnola fa presentire i metodi della storiografia umanistica.
Ediz.: Rimado de Palacio, ed. F. Janer, in Bibl. aut. esp., LVII; ed. A. F. Kuersteiner, in Bibl. hispanica, XXI-XXII; Crónicas, ed. E. de Llaguno y Amírola, Madrid 1769; poi in Bibl. aut. esp., LXVI. Un'operetta di L. de A.: El libro de las aves de caça, fu ed. da P. de Gayangos, Madrid 1869; e da J. Gutiérrez de la Vega, Madrid 1879.
Bibl.: R. Floranes, Vida literaria de P. L. de A., in Documentos inéditos para la historia de España, XIX-XX, Madrid 1851-52; M. Menéndez y Pelayo, Historia de la poesía lírica castellana, I, Madrid 1911.