LONGHI (Lunghi, Longo), Martino, il Vecchio
Nacque a Viggiù, presso Varese, nel 1534, secondo lo Stato delle anime della parrocchia di S. Stefano, del 30 ott. 1574 (in Frigerio - Galli), che attesta la presenza di "messer Martino, Architetto, capo di caxa, di anni 40". Figlio di Francesco detto il Bravo e di Eleonora Buzzi, nel 1567 sposò Elisabetta Olgiati di Andrea da Ligornetto, da cui ebbe Onorio Martino, Decio Leonoro, Antonio Simone e, per ultima, Eleonora. Negli anni antecedenti il 1566 ebbe una figlia "spurie", di nome Maddalena, a cui rimase sempre legato, citata nei testamenti dell'11 genn. 1567 e del 10 marzo 1572 (ambedue in Galli - Lerza).
Fu architetto di rilievo nella Roma del secondo Cinquecento, dove si stabilì definitivamente dal 1573 in qualità di architetto papale.
Studi recenti hanno rivalutato il ruolo del L. evidenziandone la portata nell'ambito delle evoluzioni stilistiche dell'architettura postridentina. I punti di maggiore interesse sono i caratteri distintivi, rispetto alle opere precedenti, che segnano i passaggi nel filone sintetista sangallesco (derivato cioè dall'architettura di Antonio da Sangallo il Giovane) a partire dallo sviluppo che il L. seppe dare a un sistema già noto come "ordine a fasce". Fedele alla consolidata tradizione cinquecentesca, il L. svolse una propria linea evolutiva tesa a valorizzare la declinazione della tendenza sintetista estranea tanto ai canoni classici quanto a quelli manieristi, alieno all'altra ricerca seguita da molti suoi contemporanei romani, più legati alle citazioni stilistiche michelangiolesche.
A soli 27 anni si trovava a lavorare a Ems, l'odierna Hohenems, in Austria, per i fratelli Marco Sittico e Iacopo Annibale Altemps. Qui aveva ricevuto l'incarico di restaurare il castello medioevale, sulla rocca, nonché di progettare il nuovo palazzo, la casina delle delizie e i giardini all'italiana. Il castello restaurato doveva ospitare la novella sposa di Iacopo Annibale, Ortensia Borromeo, sorella di Carlo, mentre il palazzo fu edificato per volere di Marco Sittico dopo la nomina a cardinale, avvenuta nel 1561.
Il palazzo, collocato ai piedi della rocca, è negli elementi essenziali il prototipo di quelli che il L. avrebbe realizzato a Roma. Nella planimetria egli scelse una tipologia a U, con l'inserimento del cosiddetto "muro ombra" che gli consentiva di chiudere il cortile sul lato verso la rupe, mentre nella facciata, molto lineare, realizzò due torri d'angolo di pianta quadrata, dal significato più rappresentativo del potere del cardinale, che difensivo. I disegni autografi del L. sono conservati nel Vorarlberger Landesarchiv a Bregenz (pubblicati in Bertsch). Nel cortile emerge la preferenza del L. per la parasta come elemento caratterizzante l'ordine architettonico, in luogo della semicolonna. Il progetto originario prevedeva due ordini sovrapposti, tuscanico al primo piano e ionico al secondo, realizzati con modanature in rilievo e coronati al terzo piano da un attico ripartito a fasce. Allo stato attuale, le paraste e le decorazioni dei piani secondo e terzo sono quelle dipinte da H. Noppis von Sulz nell'opera di completamento del cortile apportata nei primi decenni del XVII secolo sotto il conte Kaspar Altemps.
Un progetto su scala urbana come quello richiesto e progettato dal L. presupponeva un'adeguata esperienza nonché un consolidato rapporto con una prestigiosa committenza quale quella degli Altemps. Si pone qui la questione della formazione del giovane L., su cui incise la tradizionale attività di estrazione e lavorazione di pietre e marmi che vantava da secoli la zona del Viggiutese, in Valceresio; attività che aveva già favorito la nascita di numerose maestranze di scultori e architetti, organizzati non più in corporazioni medioevali ma secondo "imprese" familiari, le quali operavano nelle valli varesine, comasche, nel Ticinese e presso il lago di Lugano. Nella stessa Roma risiedeva la Compagnia di Roma di Viggiutesi di cui il L. divenne la personalità più in vista.
Non minore rilievo ebbe nella crescita professionale del L. l'influenza delle casate più illustri dell'alto Milanese, gli Altemps inprimis, e i Borromeo, imparentati fra loro, e che tanta importanza ebbero come committenti nella sua attività. Le realizzazioni di Hohenems furono influenzate con una certa probabilità dai modelli di ville cinquecentesche dell'alto Milanese, quali villa Cicogna-Mozzoni a Bisuschio e villa Medici di Marignano a Frascarolo, concepite secondo l'ideale umanistico dell'otium e del nuovo rapporto con la natura.
Tra il 1567 e il 1574 lavorò a Viggiù, nelle chiese medioevali di S. Martino e S. Stefano, apportando modifiche conformi ai canoni che dalla conclusione del concilio di Trento, nel 1563, dettarono le regole anche in campo architettonico, e che videro in Carlo Borromeo il più autorevole promotore.
Entrambe le opere sono esempi ante litteram del trattato del cardinale Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae libri II, del 1577. In seguito alle visite a S. Martino, nel novembre 1567, di G.B. Castano, delegato di Borromeo (Milano, Arch. stor. diocesano, X, Arcisate, vol. 25, q. 5, f. 5v, 1567), venne disposto il restauro della chiesa e al 17 luglio 1568 risale la stipulazione del contratto per costruire la nuova cappella secondo il disegno del L. (Arch. di Stato di Milano, Notarile, pz. 12283). È verosimile l'ipotesi che durante il restauro sia stata presa la decisione di demolire la vecchia abside in degrado e di ampliare l'area presbiteriale, costituita da una tribuna di pianta quadrata coperta a crociera. Oltre che per il restauro e per l'ampliamento longhiano, la chiesa è importante per essere divenuta cappella della famiglia Longhi, il cui stemma, un castello con mura merlate provvisto di due torri, compare presso l'ingresso e all'interno.
Della vicina chiesa parrocchiale di S. Stefano, il L. realizzò il portico antistante in luogo di un dirupo, il campanile in testa alla navata destra, e l'altare maggiore. Il L. dimostra una certa maturità e autonomia dal rigore classicista tali da fargli adattare il nuovo portico alla facciata preesistente, sacrificandone una perfetta ortogonalità alle esigenze strutturali, mentre riquadra con definizioni a fasce il campanile, costituito da blocchi volumetrici giustapposti in altezza, evidenziati da fasce elementarizzate.
Dal settembre 1568 fino al 1572 è documentata la sua presenza a Bosco Marengo, dove fu chiamato per volere di Pio V. Presso questa fabbrica ebbe l'occasione di entrare in contatto con architetti quali E. Danti, che fu il progettista, G. Della Porta e G. Lippi, più noto come Nanni di Baccio Bigio. Nonostante non siano ben chiari i rispettivi ruoli, sicuramente a partire dal febbraio 1569 sarebbe stato il L. a sostituire Danti come architetto papale (Arch. di Stato di Alessandria, Notarile, Notaio Antonio Fassolus, filza 581, 1569, 18 maggio e 17 agosto).
Nelle opere successive, attraverso il recupero e la valorizzazione dell'ordine a fasce, il L. tese a interpretare questo elemento formale sintetico mediante l'articolazione di diversi sintagmi, come intelaiatura sorreggente: un mezzo espressivo, questo, che riveste tanta importanza nell'architettura di fine Cinquecento e primo Seicento non solo a Roma, ma anche a Milano e in tante altre città italiane.
I primi interventi romani del L. si rivolsero principalmente all'edilizia civile, mentre quella religiosa lo vide impegnato dal 1581, nella fase più matura.
Tra le prime esperienze va annoverata la ristrutturazione di palazzo Cesi in Borgo Vecchio, voluta da P.D. Cesi, di datazione compresa tra il 1570, anno della nomina del committente a cardinale, e il 1577, data della pianta prospettica di E. Du Pérac e A. Lafréry con il palazzo già ristrutturato. Nonostante la demolizione del lato destro nel 1939 per la nuova sistemazione dei Borghi, e lo spostamento del portale dalla originaria posizione, corrispondente alla quinta campata da destra, alla quarta, è tuttavia possibile, grazie al disegno di un particolare del prospetto (Roma, Accademia di S. Luca, Fondo Mascarino, n. 2401), apprezzarne la scansione operata da fasce verticali binate e fasce orizzontali sottolineate da marcapiani.
Nel 1573 il L. ricevette l'incarico di ristrutturare e completare palazzo Ceri-Poli nell'isolato della fontana di Trevi, oggi distrutto, ma in parte ricostruibile grazie al disegno di P. Holl e P. Mazzoni del 1863 (Arch. segr. Vaticano, Arch. Boncompagni-Ludovisi, prot. n. 683/27) e all'unica fotografia risalente al 1884 (Schiavo).
A partire dal giugno del 1573, fu chiamato a sostituire Iacopo Barozzi detto il Vignola, che morì subito dopo, nel cantiere di villa Mondragone a Frascati, fatta edificare da Marco Sittico Altemps.
La sistemazione attuale della villa corrisponde all'ampliamento seicentesco dovuto alle modifiche operate dal "cardinal nepote" Scipione Borghese Caffarelli dopo l'acquisizione della villa nel 1613. Ai fini di una ricostruzione del progetto originario risulta fondamentale la planimetria conservata presso l'Archivio di Stato di Firenze (già pubblicata in Marcucci, p. 119). Il prospetto della villa si qualifica per alcuni tratti tipicamente longhiani: tra questi, l'ordine a fasce che appare nella soluzione binata posta nel fronte di entrambe le torrette laterali, tale che il raddoppio delle fasce fa sembrare le specchiature laterali più strette, dando maggiore risalto alla loggia centrale che appare, quindi, più ampia.
Del L. è anche la villa Carafa, oggi Grazioli, a Grottaferrata, edificata tra il 1578 e il 1580 e sensibilmente modificata dai Borghese nel '700. La forma originaria dell'esterno è ipotizzabile grazie all'affresco che si trova nella volta della cosiddetta sala Eliseo al piano nobile della medesima villa.
Elemento distintivo era lo schema a torrione centrale, quest'ultimo con funzione di altana, che costituiva un modello per le ville tuscolane cinquecentesche; in villa Grazioli emergono la sua flessibilità progettuale e il suo interesse a "saggiare" entrambi i differenti modelli compositivi, a una o due torri. A far edificare la villa fu il cardinale Antonio Carafa, altro personaggio di spicco della Controriforma, e uno dei committenti più legati al L., tanto da indicare nel testamento del 1590 la volontà di far realizzare a lui una cappella nella chiesa di S. Domenico a Napoli. Per lo stesso Carafa il L. realizzò, nel 1581, il campanile di S. Maria in via Lata, di cui il cardinale era titolare, che nel 1663 subì dei rimaneggiamenti sotto la direzione di Pietro da Cortona per volontà di Alessandro VII (Lerza).
Sotto il pontificato di Gregorio XIII si collocano la progettazione e l'esecuzione dei "Granai" in occasione del giubileo del 1575, opera collegata al problema dell'approvvigionamento alimentare dell'Urbe, localizzata tra il calidarium delle terme di Diocleziano e l'attuale planetario.
A pochi anni dopo risale l'approvazione da parte dei magistrati capitolini del progetto del L. per la torre campanaria del palazzo senatorio, cominciata nell'autunno del 1578 e completata in cinque anni. La torre presenta il motivo della finestra ad arco tra paraste binate, che sarebbe stato riutilizzato nel campaniletto di S. Girolamo degli Schiavoni e nell'altana di palazzo Altemps, tra le più belle dell'epoca.
Quest'ultima fu interamente progettata dal L., il quale intervenne anche nell'ornato del portone, nelle finestre inginocchiate sulla scarpa di mattoni, nelle paraste che fiancheggiano lateralmente le finestre su via S. Apollinare e piazza Fiammetta, sulle angolate, nel cornicione e nell'intero disegno dei prospetti su piazza S. Apollinare. Anche all'interno del cortile è visibile l'intervento di ristrutturazione e completamento del Longhi. Il prospetto rivela, nella sapiente alternanza di pieni e di vuoti, nella continuità stilistica con l'altana e nell'applicazione della proporzione diagonea, una raffinata attenzione all'armonia dell'intero complesso.
Nel periodo compreso tra il 1583 e il 1586 il L. lavorò per le famiglie Cenci e Olgiati, tra loro legate da vincoli di parentela, rispettivamente al palazzetto Cenci e alla cappella Olgiati a S. Prassede.
Il primo rappresenta il culmine del processo sintetista avviato precedentemente nei palazzi Cesi, Ceri-Poli e Altemps. Il L. vi coniugò, nel prospetto, elementi ripresi dal Sangallo come per esempio la suddivisione in tre livelli, il bugnato angolare con le eleganti scelte di P. Ligorio, applicate nel palazzo Torres-Lancellotti a piazza Navona, tra cui il bugnato liscio, mentre costituiscono delle novità la forma estremamente semplificata del portale e la fila di finestrelle cieche a simulare un finto mezzanino al di sotto del piano nobile.
Nella cappella Olgiati a S. Prassede, realizzata negli anni 1583-86, il L. ricorre al sistema a fasce nell'interno, adattandolo a sistema generatore dell'opera e subordinando a esso l'ordine architettonico, che viene "sovrapposto" all'ordine a fasce per venire assimilato a componente decorativa.
Nei medesimi anni va collocata un'altra cappella gentilizia, realizzata dal L. per la famiglia Altemps a S. Maria in Trastevere. Per molto tempo ha dominato una certa reticenza ad attribuirla al L., sia per l'accentuazione del motivo coloristico sia per una maggiore movimentazione plastica, in linea con le tendenze che si andavano affermando sul finire del Cinquecento; in realtà, grazie all'analisi dei documenti conservati nell'Arch. Altemps di Gallese (Torresi), si sono potute ricostruire una prima fase di progettazione ed esecuzione da attribuirsi al L., e una seconda di completamento e rifinitura operata dal figlio Onorio Martino e da F. Ponzio, conclusa nell'aprile 1591.
Sempre sotto il pontificato di Gregorio XIII il L. realizzò il portico di S. Maria Maggiore, che era di dimensioni ridotte rispetto a quello attuale, costruito da F. Fuga nel 1740, secondo quanto si vede dal celebre affresco nella Biblioteca Vaticana (1585-90), e le logge del cortile di S. Damaso in Vaticano come completamento del lato nord. Sul disegno conservato all'Accademia di S. Luca (Fondo Mascarino, n. 2480) e firmato dal L. compare una prosecuzione delle logge sul lato orientale, oggi occupato dal palazzo di Sisto V.
Commissionato da F. Boncompagni, nipote di Gregorio XIII, e collocato nel progetto di rivalutazione dell'area compresa tra piazza Ss. Apostoli e la colonna Traiana, promosso dallo stesso papa, fu il palazzo Valentini, oggi della Provincia di Roma, terminato nel 1588.
I progetti del L., conservati presso l'Accademia di S. Luca (ibid., n. 2383 ss.), mostrano l'esigenza di progettare un palazzo con cortile centrale all'interno di uno spazio trapezoidale e una ricerca di diverse soluzioni per quanto riguarda la collocazione e la forma dello scalone principale, che propone rampe sia rettilinee parallele, secondo la soluzione sangallesca, sia a chiocciola con un sistema di colonne centrali, schema questo che rievoca la scala del Belvedere di D. Bramante e il celebre scalone del palazzo di Caprarola del Vignola. Nell'impianto planimetrico, delineato dal cortile a C traslato rispetto all'asse longitudinale dell'edificio, il L. dimostra di non rinunciare a un evidente sperimentalismo che si riflette anche nella asimmetria del portale rispetto alla facciata.
Tra le opere di incerta attribuzione va collocato il palazzo Deza-Borghese; secondo Hibbard è del L. il progetto del cortile, tranne il lato verso via Monte d'Oro, realizzato un anno dopo la sua morte; secondo De Angelis d'Ossat va invece attribuito a F. Ponzio. In realtà la progettazione degli elementi costruiti negli anni '90 risale al decennio precedente: è quindi ragionevole ascrivere al L. la paternità del palazzo.
Oltre alle prestigiose famiglie romane, importanti committenti del L. furono le confraternite e le congregazioni religiose, promotrici nel corso di tutto il XVI secolo di un fermento spirituale non privo di risvolti nel campo dell'edilizia per quanto riguarda ospedali, oratori e chiese.
Il decennio 1581-91 lo vide impegnato in alcuni dei cantieri romani più prestigiosi. Il primo fu quello della Vallicella degli oratoriani, detta anche chiesa Nuova. La vecchia chiesa versava in tali condizioni di degrado che la Congregazione, con l'impegno di Filippo Neri, ne promosse la completa riedificazione.
Le consistenti difficoltà economiche poste dall'opera furono superate anche con il sostegno di eminenti prelati - tra cui lo stesso papa Gregorio XIII e i cardinali Carlo Borromeo e Marco Sittico Altemps - che rivestirono particolare importanza nella trama dei rapporti in cui si trovò coinvolto il Longhi. L'intervento del L. si colloca tra quello di M. Bartolini da Città di Castello, a cui venne affidato il primo progetto, a navata unica con cappelle, seguito fino al 1582, e quello di Della Porta che, chiamato dagli oratoriani, subentrò nel 1585, trasformando radicalmente l'edificio in un organismo a tre navate. Attraverso i primi disegni del L., redatti già dal 1581, si evince che partecipò a una progettazione dell'intero complesso, compreso il convento, e che prese a modello la pianta di S. Maria a Bosco Marengo. Il progetto della facciata ideato dal L. è ricostruibile grazie all'incisione di G. Lauro, stampata da N. van Aelst. Pubblicato per la prima volta da Hess, risale certamente ai primissimi anni Ottanta poiché non presenta ancora, quale emblema della Congregazione, la Madonna Vallicelliana così come compare nella cappella Pinelli, nonché nella facciata della medesima chiesa riprodotta nell'incisione stampata da van Aelst, databile dalla fine del 1586.
Relativamente al peso decisionale che il L. assunse rispetto alla facciata, dai documenti risulta che intese correggere il progetto di Della Porta tanto da "abbassare la cornice da sei palmi, per fare che la facciata corrisponda di fuori et di dentro al suo disegno, et farà la volta lavando l'architrave et i pilastri dove hora è l'altar grande; et dice con questo suo disegno non viene a entrare in quella strada dove si entrava con l'altro disegno, et le due cappelle vengono in forma di quelle della tribuna del Giesù. Il padre Filippo et noi abbiamo concluso di rimettere tutto in Sua Signoria Illustrissima et in detto nostro Martino, per sodisfar loro et liberar noi da questo pensiero et intrico" (lettera di Bordini a Talpa del 28 giugno 1586, in Cistellini).
Numerose fonti confermano che il L. progettò la chiesa di S. Maria Maddalena delle Convertite al Corso, andata distrutta nel 1900, della quale sono conservate anche le piante relative ai primi due piani dell'annesso convento (Arch. di Stato di Roma, Collezionedisegni e mappe, Collezione I, cartella 85, foglio 497).
Negli stessi anni il L. si trovò a lavorare, con Della Porta, nel cantiere di S. Maria della Consolazione nei pressi del Campidoglio. La vita della chiesa e dell'annesso ospedale era legata all'Arciconfraternita di S. Maria in Portico, delle Grazie e della Consolazione che dal 1585 godette di ingenti privilegi da parte del papa Sisto V. Dal 1585 il L. subentrò a Della Porta nella direzione dei lavori, e nei documenti relativi a quell'anno compare come "Camerarius della Fabbrica" (Ibid., Ospedale di S. Maria della Consolazione, Congregazioni e decreti, b. 3, fogli n.n.). I lavori procedevano lentamente se nel 1591 la facciata era ancora incompleta. È tuttavia interessante l'ipotesi che gli attribuisce il primo ordine per analogia con S. Girolamo degli Schiavoni, l'opera più esplicativa, in campo religioso, della poetica longhiana, poiché l'unica interamente progettata e diretta da lui.
Commissionata da Sisto V, che ne era stato titolare dal 1570, era legata alla Venerabile Congregazione Illirica, detta anche Schiavonia, nata agli inizi del XV secolo, e aveva, annesso, un ospedale per i connazionali pellegrini davanti al porto di Ripetta. È possibile ripercorrere le tappe dell'edificazione della chiesa grazie ai mandati di Sisto V (Ibid., Camerale I, Conti della Depositeria generale, regg. 1819-1823). Preziosa a tal fine risulta anche la "Misura et stima di tutta la nuova chiesa di S. Gironimo di Schiavonia posta sulla piazza di Ripetta", datata 1° marzo 1590 e conclusa dalla dichiarazione delle somme ricevute, firmata "Martino Longo mano propria" (Arch. segr. Vaticano, Archivum Arcis, Arm. B, 8, Conto della nuova chiesa di S. Girolamo degli Illirici. 1° marzo 1590). In pianta, così come in facciata, il L. sviluppò delle innovazioni nel rapporto tra le dimensioni della navata e quelle dell'area sacra, che risulta di 1:1, proporzione che conferisce unità organica fra le varie parti, sempre nel rispetto gerarchico e simbolico che richiedevano gli elementi di un edificio sacro. Una tale visione unitaria, e al contempo la distinzione per funzione degli spazi liturgici, si concretizza nel ricorso alla proporzione aurea e a quelle armoniche musicali; una concezione, comune a tutti gli artisti del '500, attenta a quell'armonia intrinseca all'ordine cosmico. Modello di riferimento per la facciata fu S. Caterina dei Funari, opera di G. Guidetti, di evidente impronta sangallesca; eppure in S. Girolamo è del tutto originale l'equilibrio raggiunto tra apparato decorativo e schema essenziale, delineato dall'ordinanza a fasce, su cui l'ordine architettonico viene "sovrapposto", ricerca peraltro già avviata con successo nel secondo piano e nell'attico del cortile di palazzetto Cenci.
Negli ultimi anni il L. fu impegnato a effettuare delle perizie nel rione Monti.
È documentata la sua partecipazione (Pugliese - Bernacchio) nella storia urbanistica della zona compresa tra via della Madonna dei Monti, via dell'Agnello e via Pozzuolo. Durante una disputa scoppiata per motivi di eredità nel corso del '700, le due parti in causa, il monastero delle oblate di Tor de' Specchi, legittimo proprietario degli stabili, e Stanislao Bugdonovitz, al quale parte della casa era stata, a detta del monastero, impropriamente venduta, si procurarono i disegni e gli atti notarili a difesa delle rispettive posizioni. I documenti riportano che il L. intervenne quando "fu fatta la divisione e Separazione di detta casa […] e ne fu fatto Instrumento con l'inserzione della pianta fatta da Pubblico Perito" (ibid., pp. 24 s.). La pianta firmata dal L. si trova oggi nell'Archivio di Stato di Roma (ibid., p. 23, fig. 4), mentre l'atto rogato dal notaio Francesco Righetti recita che il monastero e la famiglia Ceci "deputaverint d.num Martinum de Longis de Viglue plebis Arcisaten. Status Mediolani Architectum in Urbe ad mensurandum, separandum, dividendum, et declarandum ac specificandum partes" (ibid., p. 42, n. 3).
Testi di poco posteriori alla morte del L. (Baglione) gli attribuiscono il ciborio di S. Bartolomeo all'isola Tiberina, con quattro colonne in porfido; secondo altri avrebbe avuto parte anche alla realizzazione della facciata (Titi) e alla ricostruzione della navata destra (S. Bartolomeo all'isola…).
I lavori per il restauro della chiesa, voluti dal cardinale G. Sartorio, erano iniziati nel 1583 dopo la grave inondazione del 1557 che ne aveva distrutto la fronte con tutti i mosaici medioevali tranne il Salvatore benedicente e l'intero lato destro della struttura. È ragionevole ritenere, tenendo conto dei rapporti che intercorrevano tra il L. e Gregorio XIII, che egli abbia partecipato alla ricostruzione della navata destra e alla progettazione della facciata, edificata dopo la sua morte.
Nel quadro romano il L. conquistò certamente un peso significativo anche in relazione al confronto-scontro con Della Porta, l'architetto più in vista nella Roma del tempo.
Il L. fu l'unico architetto che seppe conquistare un ruolo da protagonista nel cantiere del Campidoglio, dominato e guidato dal 1564 da Della Porta, ma fu anche l'unico che si misurò con l'opera di Michelangelo, a cui aggiunse una parte di particolare efficacia inventiva reinterpretando con la torre Capitolina una non eseguita idea di Buonarroti: la loggia coperta al colmo dello scalone del palazzo senatorio. Il confronto con Della Porta si ripropose dopo la vicenda del Campidoglio in modo non certo neutro in altri cantieri romani: nella intricata vicenda costruttiva della chiesa della Vallicella e in quella di S. Maria della Consolazione, nelle quali Della Porta sarebbe stato soppiantato dal L. (Benedetti).
Il L. morì a Roma l'11 giugno 1591, lasciando al figlio Onorio Martino il compito di portare a termine le opere da lui lasciate incompiute.
Fonti e Bibl.: G. Baglione, Le vite de' pittori, scultori et architetti… (1642), a cura di V. Mariani, Roma 1935, p. 68; F. Titi, Studio di pittura, scoltura, et architettura, nelle chiese di Roma (1763), a cura di B. Contardi - S. Romano, Firenze 1987, p. 34; A. Schiavo, La fontana di Trevi e le altre opere di Nicola Salvi, Roma 1956, fig. 113, p. 163; G. De Angelis d'Ossat, L'autore del più bel cortile di Roma barocca, in Strenna dei romanisti, XIX (1958), pp. 45-48 (ripubbl. in Id., La realtà dell'architettura. Apparati alla sua storia, 1933-78, Roma 1982, II, pp. 1251-1255); H. Hibbard, The architecture of the palazzo Borghese, in Memoirs of the American Academy in Rome, XXVII (1962), pp. 83-93; J. Hess, Contributi alla storia della chiesa Nuova. S. Maria in Vallicella, in Scritti di storia dell'arte in onore di Mario Salmi, III, Roma 1963, a cura di F.M. Aliberti, pp. 215-238, 431-433; B. Torresi, La cappella Altemps in S. Maria in Trastevere, in Quaderni dell'Istituto di storia dell'architettura dell'Univ. di Roma La Sapienza, XXII (1975), 127-132, pp. 159-170; L. Marcucci, Villa Mondragone a Frascati, ibid., XXVII (1982), 169-174, pp. 118-123; A. Cistellini, S. Filippo Neri. L'oratorio e la Congregazione oratoriana. Storia e spiritualità, Brescia 1989, I, p. 470 n. 214; C. Bertsch, Briefe und Pläne von M. L. d.Ä. aus dem Palastarchiv zu Hohenems, in Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana, XXVI (1990), pp. 171-184; P. Frigerio - B. Galli, La chiesa di S. Stefano (secc. XIII-XVI), Casciago 1992, pp. 63-94; G. Galli - G. Lerza, Note inedite sulle origini della famiglia Longhi, architetti di Viggiù, in Palladio, n.s., X (1997), 20, pp. 101-106; S. Bartolomeo all'Isola. Storia e restauro, a cura di M. Richiello, Roma 2001, p. 36; G. Lerza, L'architettura di M. L. il Vecchio, Roma 2002; S. Benedetti, Per M. L. il Vecchio, ibid., pp. 21-29; M. Vitiello, Sintassi architettonica longhiana. Martino e Onorio, continuità e discontinuità, in Quaderni dell'Istituto di storia dell'architettura dell'Univ. di Roma La Sapienza, n.s., XL (2002), pp. 53-68; A. Pugliese - N. Bernacchio, Perizie e disegni di M. L. il Vecchio, Sebastiano Cipriani, Carlo Francesco Bizzacheri, Carlo Fontana per la casa e Torre Secura nel rione Monti a Roma, in Bollettino d'arte, LXXXVII (2002), 119, pp. 21-56; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 355.