LONGHI (Lunghi, Longo), Martino, il Giovane
Nacque a Roma il 18 marzo 1602, nella casa di via Alessandrina ai Pantani. Fu figlio di Onorio Martino e nipote di Martino, detto il Vecchio, architetti lombardi che si erano affermati nella Roma papale negli anni tra la seconda metà del Cinquecento e la prima del Seicento, in quel periodo di trasformazione permeato da un gusto teso a un livello espressivo di particolare "magnificenza" nel quale si delineavano i germi e gli sviluppi dell'architettura barocca. Ultimo esponente della parabola che abbraccia, attraverso tre generazioni, la produzione dei Longhi, il L. accolse più degli altri le nuove forme espressive.
Cultore di letteratura e filosofia, nel 1639 pubblicò un Canzoniere che fu recitato all'Accademia dei Fantastici, di cui faceva parte (Poesie de' signori Accademici Fantastici di Roma, raccolte e stampate da L. Grignani, Roma 1637). La prima opera scritta che andò in stampa fu l'Epilogismo di architettura (Bracciano 1625), dove espresse la sua concezione culturale relativa all'arte del costruire, fondata sull'insegnamento di Vitruvio e di L.B. Alberti e sulla necessità della conoscenza filosofica, a suo parere troppo trascurata dai contemporanei; egli inoltre indica come modello di riferimento insostituibile G. Della Porta.
Apprese le basi della professione coadiuvando il padre: nel 1619, appena diciassettenne, era già attivo nel cantiere dei Ss. Carlo e Ambrogio al Corso insieme con Onorio Martino, fino alla morte di questo avvenuta il 31 dicembre; probabilmente gli subentrò nei lavori solo a partire dal 1624. Le sue opere sono caratterizzate da una libera interpretazione degli elementi classici. Nel progetto per la facciata di S. Carlo al Corso, non eseguita, proponeva la realizzazione di dieci colonne libere che creavano un forte effetto chiaroscurale e di profondità visiva.
La prima opera concepita in autonomia fu il rifacimento della facciata di S. Antonio dei Portoghesi nei pressi di via della Scrofa.
Al 15 dic. 1629 risale la licenza dei maestri delle Strade, e poco dopo dovettero cominciare i lavori. La mancanza di documenti relativi ai progetti del L. e le divergenze tra le informazioni fornite dalle guide dell'epoca non permettono di attribuirgli l'intera esecuzione della facciata, ma è certo che il progetto iniziale, da lui elaborato, fu portato a termine da C. Schor alla fine del XVII secolo, il quale apportò gli ultimi ritocchi all'apparato decorativo. Il L., in quest'opera, rimase legato al modello di facciata "a edicola", affermatosi nella Roma del secondo Cinquecento e canonizzata da Della Porta nella chiesa del Gesù. L'intervento all'interno fu piuttosto parziale e probabilmente limitato alla sezione posta al di sopra del cornicione, comprese finestre e volte.
Come riporta Passeri, l'esecuzione della scala di palazzo Caetani (oggi Ruspoli) permise al L. di ottenere fiducia e ammirazione presso la prestigiosa famiglia: "hebbe, occasione dal Signor Cardinale Gaietano nel suo palazzo così bello nel Corso di fare la scala, per dare comodità maggiore[…] A dire il vero Martino ordinò quella scala d'una maestà regia, e la rese perfettamente adorna, comoda, vaga e luminosa, et è delle più belle scale". L'indubbia capacità del L. si manifestò nel saper inserire il nuovo scalone in una situazione preesistente e nel riuscire a fornire il pianerottolo mediano di un consistente punto luminoso, accorgimento insolito tra le opere coeve dello stesso genere. Lo scalone fu apprezzato per i due secoli successivi come una delle "meraviglie architettoniche di Roma", insieme con palazzo Borghese, palazzo Farnese e il portale di palazzo Sciarra. Tale esperienza fu elaborata ulteriormente nel periodo più tardo della sua vita (1650 circa) nel cantiere di palazzo Ginnetti a Velletri, per volontà dal cardinale M. Ginnetti.
Il cardinale, che aveva intrapreso l'opera di rinnovamento del palazzo di famiglia, chiamò il L. proprio per realizzare una scala che, secondo le sue intenzioni, riproponesse quella di palazzo Caetani. Non essendo in questo caso costretto in uno spazio compreso tra due cortili, il L. realizzò una scala-torre libera nello spazio a formare un corpo autonomo che ben si integrava con il palazzo preesistente. Il risultato finale fu un'abile integrazione tra architettura e paesaggio insieme con una perfetta ambientazione delle strutture monumentali. Suo collaboratore fu F. Deodini, detto anche Cecchetto, abile muratore e stuccatore che collaborò con lui anche nella chiesa di S. Adriano. Dopo i bombardamenti del gennaio 1944, del palazzo resta purtroppo soltanto uno dei portali che immettevano nel giardino, risalente al 1659.
Il L. espresse la sua maturazione artistica in Ss. Vincenzo e Anastasio presso la fontana di Trevi, dove prende piede quella libertà dai vincoli manieristici nella graduale conquista dello spazio, concretizzata in facciata da un'opposizione dialettica tra la parete e le colonne. L'apparato decorativo, in analogia con S. Antonio dei Portoghesi, presenta il tipico elemento delle cariatidi sorgenti da volute. Fu commissionata dal cardinale G. Mazzarino, il quale, risiedendo alla corte di Francia, seguiva i lavori avvalendosi di una fitta corrispondenza con i suoi collaboratori P. Maccarani ed E. Benedetti.
Per conto del primo, il L. aveva già realizzato l'altare maggiore di S. Maria dell'Umiltà, nello stesso rione Trevi, tra il 1643 e il 1646, secondo quanto si deduce dalle cronache del monastero. L'unica fonte contemporanea ad attribuirne la paternità al L. è F. Martinelli (p. 96), che annota: "l'altar maggiore fatto da Signor Paolo Maccarani è disegno di Martin Lungo. L'Assunta in cima di esso è pittura di Antonio della Cornia. L'angeli che tengono la Madonna in campo ametisto di metallo con l'angeli che la scoprono di marmo sono opera di Orfeo Boselli". In uno spazio piuttosto esiguo il L. inserì una notevole quantità di elementi cromatici e decorativi, tra cui quattro colonne romane di giallo antico brecciato; la composizione tende a creare una dilatazione dello spazio tramite il multiforme aggetto della trabeazione marmorea sovrastante i capitelli corinzi. In luogo dell'attuale quadro ottocentesco, il partito tra le due colonne laterali era occupato da una grata che dava sul retrostante coro.
Nel 1640 si decise la ricostruzione della chiesa di S. Giovanni Calibita presso l'isola Tiberina. Anche se comunemente si ascrive la facciata a L. Barattoni, che la eseguì nel 1771, da una lettera del 4 maggio 1644 si apprende che il priore p. G. Catalano aveva chiesto ai religiosi "se si dovesse eseguire il disegno della facciata della nostra chiesa fatta dal Sig. Martin Lungo con l'elemosina che ha promesso il Sig. Durante Ferrati" (Roma, Arch. gen. Fatebenefratelli di S. Giovanni Calibita, Registro congreg. 1631-1663). Il disegno per la pianta della facciata (Vienna, Graphische Sammlung Albertina, Coll. mappe, XVI, n. 356) presenta l'unico esempio, nell'attività del L., di una opzione per la linea curva concava, forse in linea con quanto aveva proposto F. Borromini nelle sue opere di poco antecedenti.
Nel 1645 fu interpellato, insieme con O. Torriani, per una perizia sulla stabilità della torre dei Conti. Lo scritto (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 11257, c. 85r) suggerisce la demolizione e la ricostruzione di alcuni punti particolarmente pericolanti e svela una notevole precisione nelle prescrizioni, oltre a riferimenti a Vitruvio, che supportano un giudizio negativo sull'architettura medievale.
Dello stesso anno è il Discorso di Martino Longhi delle cagioni delle ruine della facciata, e campanile del famoso tempio di S. Pietro in Vaticano: de gli suoi rimedij e delle ragioni (Roma 1645), composto in seguito al tentativo di costruire due torri ai lati della fronte di S. Pietro, intrapresa da G.L. Bernini, e alla successiva interruzione per complicazioni strutturali; furono chiamati a intervenire diversi architetti fra cui G. Rainaldi, Bernini e Borromini e lo stesso Longhi. Nello scritto egli sostiene la rifondazione del campanile con dovizia di particolari sugli errori commessi all'origine della costruzione, contrariamente a quanto suggerito da Borromini, favorevole alla demolizione del campanile.
Tra il luglio 1649 e l'aprile 1650 è documentato un intervento del L., limitato alla verifica e stima, con l'aggiunta di alcuni suggerimenti tecnici, nel cantiere della chiesa di S. Nicola da Tolentino, dove si svolgevano lavori di ricostruzione dal 1621 (Arch. di Stato di Roma, Agostiniani scalzi in Gesù e Maria al Corso, b. 273, f. 714: Fabbrica della chiesa e convento fatta dallireligiosi dall'anno 1649 al 1663, cc. 1-7, 13-15, 121-123). Nel luglio 1650 gli subentreranno in questo incarico G.M. Bolina e P. Ferriero. Il L. si occupò, stando ai documenti, delle strutture murarie del coro, della sagrestia e del giardino e dei lavori di ornamento realizzati da Jacopo Vaina Fontana, stuccatore.
Del 27 febbr. 1653 è un contratto per i lavori, secondo il progetto del L., nella chiesa di S. Adriano al Foro, distrutta nel 1933 per il ripristino della Curia romana (atto del 27 febbr. 1653 in Arch. di Stato di Roma, Trenta notai capitolini, Ufficio 12, vol. 119, cc. 145-146, 153-154). Si tratta dell'unico interno che si possa attribuire con certezza al L. e che permette di apprezzare i caratteri di originalità congiunti a una coerenza espressiva che denotano una indubbia raffinatezza. La navata era scandita da pilastri collegati da archi fino all'accentuazione dell'area presbiteriale, dove il L. optò per una cupola di forma ellittica. La ricostruzione dell'interno è stata possibile grazie alle foto conservate al Gabinetto fotografico nazionale.
L'ultima realizzazione di cui si hanno notizie certe risulta essere l'altare maggiore di S. Carlo ai Catinari. L'opera era stata precedentemente intrapresa da G. Rainaldi e F. Peparelli per il gran connestabile del Regno di Napoli Filippo Colonna principe di Paliano, che ne aveva imposto il completamento nel suo testamento del 26 marzo 1639.
Nel 1655, dopo la morte di Rainaldi, l'erede del Colonna, il principe Girolamo, allora cardinale, affidò l'impresa al Longhi. La fonte contemporanea più attendibile, Martinelli (p. 31), riporta che "l'altar maggiore è disegno di Martino Lungo giovine, fatto fare dai Signori Colonnesi: le statue che vi sono di marmo, e li modelli degli angeli gettati di metallo da P. Pasqualini […] sono del suddetto O. Boselli". L'elemento dominante e più vistoso è la targa con su scritto "Humilitas" in grandi caratteri posta al di sopra di un timpano ricurvo spezzato; la decorazione ospita, in armonia con la poetica barocca, figure allegoriche, angeli che sostengono drappi, teste di cherubini; il tutto fa da cornice alla grande pala di Pietro Berrettini da Cortona con S. Carlo tra gli appestati.
Il L. morì a Viggiù, presso Varese, il 15 dic. 1660, secondo i documenti del locale archivio parrocchiale, e non nel 1656 o nel 1657, date riportate rispettivamente da Passeri e da Pascoli.
Fonti e Bibl.: F. Martinelli, Roma ornata dall'architettura, pittura, scultura (1660-63), a cura di C. D'Onofrio, Firenze 1969, pp. 31, 96; L. Pascoli, Vite de' pittori, scultori ed architetti moderni, Roma 1730, pp. 459, 517 s.; G.B. Passeri, Vite de' pittori, scultori ed architetti moderni… (1772), a cura di J. Hess, Leipzig-Wien 1934, p. 279; A. Bertolotti, Artisti lombardi a Roma nei secoli XV, XVI e XVII, Milano 1881, II, pp. 21-27; L. Heutter - R. Montini, S. Giovanni Calibita, Roma 1956, pp. 16-21; J. Varriano, M. L. the Younger and the façade of S. Giovanni Calibita in Rome, in The Art Bulletin, LII (1970), pp. 71-74; Id., The architecture of M. L. the Younger, in Journal of the Society of architectural historians, XXX (1971), pp. 101-118; A. Pugliese - S. Rigano, M. Lunghi il Giovane architetto, in Architettura barocca a Roma, a cura di M. Fagiolo dell'Arco, Roma 1972, pp. 9-178; A. Bellini, Gli scritti dei Longhi, in I Longhi, una famiglia di architetti tra manierismo e barocco (catal., Viggiù), a cura di L. Patetta, Milano 1980, pp. 18-21; La Roma dei Longhi, papi e architetti tra manierismo e barocco (catal.), a cura di M. Fagiolo, Roma 1982, pp. 78-85; P. Portoghesi, Roma barocca, Roma 1988, pp. 295-298; S. Antonio dei Portoghesi, a cura di S. Vasco Rocca - G. Borghini, in Archivi del Catalogo, Roma 1992, pp. 39-51; N. Marconi, La costruzione della facciata della chiesa dei Ss. Vincenzo e Anastasio in piazza di Trevi, in Quaderni di Palazzo Te, 2000, n. 7, pp. 89-105; P. Chiavazzini, Palazzo Ginnetti a Velletri e le ambizioni del cardinale Marzio, in Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana, XXXIV (2001-02), pp. 255-290; G. Lerza, Velletri, in Atlante del Barocco in Italia. Lazio. Provincia di Roma, a cura di B. Azzaro et al., Roma 2002, pp. 244-247; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 355.