LONDRA
(XXI, p. 448; App. II, I, p. 230; IV, I, p. 358)
La capitale del Regno Unito, con gli attuali 6.775.000 ab., costituisce una delle prime città d'Europa e tra i dieci maggiori agglomerati del mondo. Dal punto di vista amministrativo si distingueva, fino a pochi anni fa, la ''contea'' e la ''Grande Londra''. La contea, creata nel 1888, si estendeva per 304 km2 ed era considerata come il centro vero e proprio della regione; la governava il London County Council. Tutto intorno si sviluppava la Grande L., dotata − a partire dal 1964 − di un Consiglio (Greater London Council), che ne gestiva l'amministrazione. La Grande L., divisa in 32 boroughs, copriva una superficie di 1600 km2 e comprendeva l'area delle due vecchie contee di L. e del Middlesex, e parti delle contee del Surrey, Kent ed Essex. Il 1° aprile 1986 questa istituzione politica e amministrativa ha cessato di esistere: in tale data, infatti, il governo di M. Thatcher ha abolito il Greater London Council e gli altri metropolitan county councils, e ripartito le loro competenze tra i boroughs e il potere centrale.
Come tutti i grandi agglomerati, L. offre un quadro urbano assai diversificato. Il cuore della città è la City, il cui aspetto, nel secondo dopoguerra e fino a tutti gli anni Ottanta, è molto mutato: moderni palazzi (talvolta grattacieli) di vetro e cemento armato sono sorti sul luogo degli edifici distrutti dai bombardamenti. Nella City è ospitato uno dei principali Central Business Districts (CBD) del mondo, nel quale lavorano quotidianamente 350.000 persone. Le attività del CBD ruotano attorno alle grandi funzioni finanziarie e quindi vi operano le principali banche, compagnie assicuratrici e commerciali, grandi società nazionali e internazionali, ecc.
Da tempo la City ha espulso le funzioni abitative, tanto che si calcola che la popolazione residente sia di appena 5100 abitanti. Attorno alla City si estendono quartieri ove le funzioni urbane (commercio, servizi, amministrazione) si mescolano a quelle abitative. Così il West End: vi si trovano numerosi edifici che ospitano le varie amministrazioni della capitale, il Parlamento, il palazzo reale, la celebre abbazia di Westminster, alcuni musei e l'università; c'è poi una vasta presenza di edifici residenziali (tipiche le sue case in mattoni rossi di stile vittoriano), destinate per lo più alle classi abbienti, ma notevole è anche la presenza del commercio: qui si trovano molti dei grandi stores e negozi eleganti di Londra. Come nella City, la popolazione lavoratrice, richiamata da altri quartieri, supera ampiamente la popolazione residente.
Attorno a questi due nuclei c'è un'area caratterizzata dalla presenza di mercati all'ingrosso, piccole industrie, fabbriche, magazzini, negozi e case d'abitazione destinate alle classi più modeste, tutto mescolato in un insieme disordinato e congestionato. Fa parte di questa fascia l'East End, quartiere che ha sofferto dei danni della guerra a causa della sua vicinanza alla City e al porto. La Outer London, sorta prevalentemente nel 20° secolo in concomitanza con lo sviluppo della rete ferroviaria, stradale e sotterranea, costituisce una cinta non così densamente popolata come la parte centrale; i quartieri hanno per lo più carattere residenziale, tranne che nel settore della valle del Lea, dove sorgono numerosi impianti industriali.
L'enorme accrescersi della città ha spinto il governo verso una politica di contenimento dell'area urbana, espressa soprattutto nella creazione − attorno all'area più fittamente edificata − di una fascia (ampia circa 8 km) in cui sono vietate ulteriori costruzioni, la cosiddetta Green Belt. Tuttavia la crescita delle componenti demografiche ha determinato la necessità di spostare la popolazione fuori dalla conurbazione. È stato così pianificato lo sviluppo di centri urbani secondari, ognuno con industrie e attività commerciali e amministrative proprie. Molti di questi centri superano i 100.000 ab., una ventina i 200.000, mentre il più popolato, Croydon, supera i 320.000 abitanti. Tuttavia, poiché queste nuove città sono state insufficienti ad accogliere l'espansione della popolazione londinese, negli ultimi decenni la pianificazione urbana ha interessato un'area ancora più vasta, conglobando abitati che distano oltre 100 km dal tradizionale centro della città.
Grande nodo stradale e ferroviario, L. fonda la propria importanza economica soprattutto sui trasporti marittimi: la sua funzione di porto internazionale, accresciutasi progressivamente, è quella cui la città dovette e deve tuttora la preminenza come mercato mondiale di capitali. Tuttavia, in epoca recente, altri porti europei e dello stesso Regno Unito sono entrati in concorrenza: l'incremento di L. come emporio marittimo non ha tenuto il passo di porti come Amsterdam, Anversa, Rotterdam, ecc. Questo spiega il ristagno del movimento merci, attestatosi negli ultimi anni attorno ai 50÷55 milioni di t annue. L'amministrazione del porto dal 1908 è in mano a un unico organismo, la Port of London Authority, che si sforza di mettere ordine in un'organizzazione complessa e conflittuale. Le importazioni riguardano petrolio grezzo, tabacco, prodotti tropicali come il tè, semi oleaginosi, materie prime e metalli rari. Le esportazioni comprendono soprattutto automobili e costruzioni meccaniche (più della metà del totale), zucchero raffinato, carta, prodotti chimici e tessili.
L. mantiene una grande importanza come polo industriale (nel settore secondario della città è occupato circa un quarto del totale nazionale): è il principale centro della confezione, dell'industria di mobili, dei prodotti alimentari, dell'editoria, della fabbricazione di strumenti di precisione; gioca, inoltre, un ruolo di prestigio per le costruzioni leggere e per alcuni rami della chimica.
La localizzazione delle industrie è stata determinata dalla loro natura, dalla loro dimensione e ancor più dal rischio d'inquinamento che esse presentano. Così industrie leggere, piccole fabbriche di beni di consumo sono penetrate nella città, soprattutto a nord e a est, o affiancano le principali vie di comunicazione stradali e ferroviarie a ovest e a nord-ovest. Al contrario le industrie pesanti e, in particolare, quelle che necessitano di grosse installazioni sono sorte presso il porto e le vie d'acqua: raffinerie di petrolio, centrali termiche, cementifici, fabbriche di automobili e di trattori. Infine, un altro tipo di industrie si è sviluppato, a partire dal 1920, nella periferia occidentale, a Wembley, Southall, Uxbridge, Slough, ecc.: industrie di beni di consumo prodotti in grande serie (automobili, macchine fotografiche, prodotti cosmetici, ecc.).
L. è, infine, il maggior centro finanziario e commerciale del paese, sede della Borsa (terza Borsa del mondo per importanza) e delle più accreditate banche nazionali, nonché di 300 banche straniere. È nota anche come piazza finanziaria e si distingue come capitale culturale grazie ai suoi teatri, musei, sale da concerto.
Bibl.: J. Beaujeu-Garnier, Les grands problèmes du développement de Londres, New York, Tokyo et Moscou, in Annales de géographie, 1973, pp. 454-82; C. Chaline, Les tendences du périurbain londonien, in Cahiers du CREPIF, 3 (1983); C. Hamnett, The changing socio-economic structure of London and the South East, 1961-1981, in Regional studies, 20, 5 (1986), pp. 391-406; M.J.H. Mogridge, The use of rail transport to improve accessibility in large conurbations, using London as an exemple, in Town planning revue, 2 (1987), pp. 165-82; J. Robert, L'évolution de Londres depuis l'arrivée au pouvoir de M.me Thatcher, in L'information géographique, 51, 2 (1987), pp. 52-59; H.V. Savitch, Post-industrial planning in New York, Paris and London, in Journal of the American planning association, 53, 1 (1987), pp. 80-91; W. Gaebe, Weltstadt London, in Mitteilungen der Österreichischen geographischen Gesellschaft, 131 (1989), pp. 93-108; M. Pryke, An international city going "global": spatial change in the City of London, in Society and space, 9, 2 (1991), pp. 197-222.
Architettura e urbanistica. - A partire dagli anni Settanta, con il Greater London Development Plan (1969) e in particolare con l'Inner Urban Areas Act (1978), la politica urbanistica del GLC (Greater London Council) abbandonava l'idea del decentramento di Londra. Diversamente dal periodo precedente, che aveva visto la nascita delle new towns, si poneva come principale obiettivo la promozione di una rigenerazione economica tentando d'invertire il processo di decentramento industriale in atto e di favorire processi di trasformazione e di rinnovamento delle aree più depresse (inner city areas). Il ''piano strategico'', redatto nel 1974-76 dal Docklands Joint Committee e dal GLC (che costituivano nel 1978 la cosiddetta partnership authority), si proponeva il miglioramento delle condizioni sociali e di vivibilità di cinque boroughs lungo il Tamigi dopo il declino delle attività portuali e industriali dell'area dei docks. La sua filosofia politica si basava sul contributo del finanziamento pubblico per affrontare le esigenze locali con politiche residenziali di trasporto e servizi.
Con la prevalenza, nel corso degli anni Ottanta, di impostazioni radicalmente diverse di politica economica e con i conseguenti tentativi di contenimento della spesa pubblica, il ruolo guida per la rigenerazione sociale ed economica delle inner city areas (e dei docklands in particolare) veniva affidato invece, in larga misura, all'investimento privato. La sfiducia nella pianificazione, già evidente dagli anni Settanta, e la ''teoria del massimo non-interventismo'' del governo conservatore si riflessero nella sostituzione nel 1981 della partnership authority con la LDDC (London Docklands Development Corporation, costituita dal segretario di stato per l'ambiente M. R. D. Heseltine). Ne seguì la progressiva emarginazione del GLC (che verrà abolito nel 1986) e con essa la fine di un'epoca per la storia dell'urbanistica, non solo inglese. Riconoscendo la gravità del problema dei Docklands e le potenzialità di quest'area alle porte della City (il quartiere finanziario di L.) il governo, nonostante l'opposizione dei consigli dei boroughs laburisti, attribuì pieni poteri in materia urbanistica alla LDDC, stanziando fondi per l'acquisizione di terreni e per la rapida bonifica dei 21 km2 del porto degradato.
Obiettivo della LDDC era attirare nuovo capitale privato da investire in attività industriali ad alta redditività, uffici, residenze e attività ricreative. Per incoraggiare simili investimenti si attivò una procedura urbanistica veloce e flessibile e si tracciò un piano generico assemblando i progetti dei diversi developers privati. "L'epoca del grande piano è finita... La LDDC intende ricavare il meglio da qualsivoglia possibile opportunità di sviluppo". In questo senso la LDDC attribuì priorità alla sistemazione infrastrutturale di lotti per nuove costruzioni e alla trasformazione della ''immagine'' dei Docklands con campagne pubblicitarie che ne esaltavano le caratteristiche: un'area situata nelle vicinanze della City, potenzialmente adatta per industrie ad alta tecnologia e per il terziario, e di grande valore ambientale, vista la prossimità del Tamigi. In pochi anni le 8 miglia quadrate dei Docklands, fino a qualche tempo prima un'area in declino priva di un qualunque mercato, incrementarono il loro valore fondiario fino a raggiungere (1987) 3,8 milioni di sterline per ha. Quattrocento società vi trasferirono le loro sedi, mentre vi si avviò il più grande programma di edilizia residenziale privata in Gran Bretagna. Tutto ciò in assenza di un piano o, più precisamente, a causa dell'assenza di un piano.
Lo sviluppo intrapreso nei Docklands di L. (che comprende le aree di Wapping, Surrey Docks, Isle of Dogs e Royal Docks) è rappresentato con particolare chiarezza dalla ristrutturazione di Canary Wharf nella Isle of Dogs: il più grande inner city development costruito in Europa a partire da un unico progetto. Iniziato nel 1985 da parte della società immobiliare allora leader mondiale nel settore (la canadese Olympia & York), e tuttora in corso di costruzione, comprende più di 1 milione di m2 di uffici e negozi su 28 ha, tre quarti dei quali godono, in quanto enterprise zone, di uno statuto particolare che ha reso l'area esente da controlli urbanistici, dall'imposta fondiaria e dalla tassa comunale fino al 1992. Il master plan di Canary Wharf, degli architetti statunitensi Skidmore, Owings & Merrill, si segnala per l'enorme scala urbana che rievoca il monumentalismo à la beaux-arts, così come fu trapiantato negli Stati Uniti alla fine del 19° secolo. Il progetto architettonico, fortemente attaccato dagli architetti e urbanisti britannici, ha il suo fulcro in un grattacielo di 50 piani (il più alto in Europa) a forma di obelisco, disegnato da C. Pelli e concluso nel 1991. Ci si aspetta che ben 40.000 persone lavorino in questo nuovo polo commerciale e direzionale costituito da 26 edifici adibiti a funzioni diverse, con oltre 10 ha di spazio pubblico prospicienti l'acqua, secondo un progetto dettagliato di arredo urbano.
La riuscita di un simile progetto di trasformazione dei Docklands non poteva non coincidere, evidentemente, con la nascita di un temibile rivale per la City. Da qui la reazione della City Corporation che, sovvertendo il proprio regolamento edilizio, dette il via alla demolizione di interi complessi di uffici con solo 20 o 30 anni di vita (come il Bracken House o l'area circostante Paternoster Square) in modo da poter rispondere alle nuove esigenze di spazio e di qualità urbana. A partire dal 1985, la City ha visto la costruzione di ben 400.000 m2 di nuovi spazi per uffici, provocando il fallimento dell'operazione Canary Wharf. Secondo le previsioni, entro il 1993, la metà di tutto il volume edilizio nella e attorno alla City sarà stato ricostruito.
Il grande boom edilizio di L. negli anni Ottanta (che ha conosciuto negli anni più recenti una fase di rallentamento) ha assunto, per scala e per velocità, dimensioni paragonabili alla ricostruzione post-bellica. Il processo di ristrutturazione ha investito grandi aree centrali come la City, complessi degradati come Charing Cross e King's Cross, e interi settori della città come i Docklands, ed è stato considerato come una seconda occasione per riscattare la qualità urbana della città. L. è stata animata da un dibattito che ha coinvolto operatori molteplici − ambienti professionali, comunità di cittadini, quotidiani, riviste di architettura, lo stesso Carlo principe di Galles −, relativo alla nuova immagine della città da sostituire a quella degradata e frammentata in zone. L'attenzione è stata rivolta al disegno urbano e alla forma architettonica dei grandi interventi di trasformazione, sia in termini di progettazione di spazi pubblici sia in termini di multifunzionalità. Spiccano i casi di Broadgate e di Paternoster Square, entrambi situati nella City.
Il complesso di Broadgate (1985-91) − la più grande ristrutturazione nella City dai tempi del grande incendio del 1666 −, situato nei pressi della stazione di Liverpool Street, è una città nella città, dove 25.000 persone si recano quotidianamente per lavorare, consumare e ricrearsi. Progettato da Arup Associates e da Skidmore, Owings & Merrill, Broadgate ha un carattere urbano − con i suoi 14 edifici, varietà di stili, usi e spazi pubblici − che manca ad altre recenti megastrutture per uffici di simile disegno modernista (come Bracken House, London Wall e Stag Place).
Il dibattito architettonico-urbanistico intorno a Paternoster Square è esemplare delle tendenze in conflitto e prende la forma di una contrapposizione fra architettura moderna e tradizionale. Il concorso per Paternoster Square − un grande complesso per uffici da ricostruire ex novo adiacente alla Cattedrale di St. Paul − bandito nel 1987 dai proprietari immobiliari dell'area, ha visto la partecipazione di architetti di fama internazionale come Stirling & Wilford, R. Rogers, Skidmore, Owings & Merrill, Foster Associates, Arup Associates e A. Isozaki. Ai progetti in concorso, e in particolare al progetto vincitore di Arup Associates, si è contrapposto il piano classicheggiante di J. Simpson, promosso dal principe di Galles, che è stato salutato dalla schiacciante approvazione del pubblico e dalle critiche feroci degli ambienti professionali come il Royal Institute of British Architects.
Il piano di Simpson poneva l'attenzione sul rapporto fra disegno urbano, qualità formali emergenti del sito (come la Cattedrale di Wren) e tessuto urbano preesistente ed era, invece, critico nei confronti della specializzazione funzionale della zona della City. Il suo approccio antimodernista si richiamava alla ''città tradizionale'', i cui valori erano stati riproposti dal principe di Galles nel suo A vision of Britain (1989). In precedenza, la ricerca di una continuità spaziale e storica aveva contraddistinto il piano di J. Q. Terry per Richmond Riverside (1984-88), un complesso per uffici, negozi, e poche abitazioni disegnati intorno a tre piazze con landscaping verso il Tamigi. Un tentativo di conciliare la visione di una città tradizionale con la richiesta della redditività commerciale dell'investimento è presente anche nel piano di L. Krier per Spitalfields (1982), al confine est della City, rimasto invece sulla carta.
"Il dominio pubblico deve essere finanziato o dallo Stato o dal cliente, e oggi sappiamo che spetta a noi questo compito", aveva detto S. Lipton, il più grande operatore immobiliare di L., promotore di molti progetti di ristrutturazione (fra cui Spitalfields, Broadgate, Paternoster Square, Charing Cross, Stockey Park) e del concorso per i 50 ha da riconvertire alle spalle delle due stazioni di King's Cross e St. Pancras. Ma le esigenze di rendimento degli investimenti privati, anche nel caso di developers illuminati come Lipton, pongono limiti spesso insuperabili al disegno urbano, in assenza dell'intervento pubblico. Dal dibattito architettonico-urbanistico e dall'esperienza londinese degli anni Ottanta emerge che una politica di piano non può essere sostituita da progetti architettonici per singole parti della città. Vedi tav. f.t.
Bibl.: Docklands Joint Committee, London Docklands-strategic plan, Londra 1976; M. Wilford, Off to the races, or going to the dogs?, in Architectural Design, 1, 2 (1984); Erith & Terry, Richmond Riverside development, ibid., 3, 3 (1984); H. Clout & P. Wood, London: problems of change, Essex 1986; C. Davies, Ad hoc in the docks, in Architectural Review, 1080 (1987), e Unbuilt London, ibid., 1091 (1988); Urban Development Corporations, Six years in London's Docklands, Londra 1988; M. Pawley, Dietro l'interscambio di King's Cross a Londra: 50 ettari da disegnare, in Casabella, 545 (1988); AA.VV., Prince Charles and the architectural debate, in Architectural Design, 5, 6 (1989); Charles Prince of Wales, A vision of Britain, Londra 1989; C. Jenks, Post-modern triumphs in London, in Architectural Design, 1991; AA.VV., Paternoster Square, ibid., 1992.