DELLA TORRE, Lombardo
Nacque presumibilmente nell'ultimo quarto del sec. XIII da Raimondo dei Torriani, signori di Milano fino al 1277.
Secondo l'Argelati (Bibl. script. Med., col. 1545) il D. sarebbe nato invece da Caterina Pirovano e da Lombardo Della Torre: ma quest'ultimo, che fu imprigionato dopo la battaglia di Desio e morì nel castello di Baradello nel 1280, va identificato col nonno e non col padre del Della Torre. Il padre Raimondo si rifugiò nel patriarcato di Aquileia, retto dal congiunto Raimondo Della Torre.
Avviato alla carriera ecclesiastica, quando i Torriani tornarono a Milano, il D. divenne canonico della metropolitana di Milano e, tra il 1309 e il 1311, fu arciprete della chiesa di Monza.
In alcune carte monzesi relative a investiture, concesse appunto dalla chiesa, viene più volte nominato come arciprete del capitolo; in tale veste ebbe in affitto dai canonici di Monza i beni spettanti alla chiesa (5 ag. 1309). Sempre in qualità di arciprete, affidò ai decumani il reggimento della chiesa di S. Eugenio a Concorezzo, seguendo un indirizzo ricorrente del capitolo monzese, che di preferenza conferiva le decumanie vacanti non ai custodi ma ai decumani. Tra il 5 e il 9 luglio 1311 prese parte al concilio provinciale indetto a Bergamo dall'arcivescovo di Milano Cassone Della Torre unitamente ad altri ecclesiastici, tra cui l'arciprete Roberto Visconti, il cimiliarca Matteo Visconti e i canonici Alberto da Besnate e Rinaldo Della Torre.
Venuto meno nel frattempo il potere dei Torriani a Milano, il D. si ritirò in Friuli, dove fu nominato canonico di Aquileia.
Tale trasferimento va inquadrato nel continuo invio in Friuli di lombardi fautori della parte guelfa, che precedette e seguì la nomina di Raimondo Della Torre a patriarca di Aquileia, avvenuta nel 1273. Nel 1327 il D. ottenne in commenda dal patriarca Pagano Della Torre il pievanato di Magispruch.Nominato cappellano pontificio da Giovanni XXII, il 16 febbr. 1328 il D. fu eletto dal capitolo vescovo di Vercelli succedendo al defunto vescovo Uberto Avogadro.
L'elezione non fu priva di precisi intenti: il suo significato va infatti ricercato nella complessa situazione politica esistente nell'Italia settentrionale di quegli anni e nei difficili e tesi rapporti che si andarono creando tra il vescovo, la Curia avignonese, i poteri locali e l'imperatore. L'ufficio di vicario imperiale per Milano, concesso a Matteo Visconti (1311), aveva costituito il punto di partenza per un riconsolidamento del potere visconteo. Nel conflitto esistente tra il pontefice e Matteo Visconti si erano naturalmente inseriti i fuorusciti guelfi e quindi, per Milano, i Torriani. L'assunzione della sede episcopale vercellese da parte del D., avvenuta nel marzo 1329, avrebbe dovuto segnare la ripresa della fazione guelfa in Piemonte intorno ad un uomo energico e provvisto di appoggi influenti; un primo passo in avanti si ebbe, in effetti, con il raggiungimento di un accordo tra il vescovo e il marchese di Monferrato per il rientro dei guelfi in città. Le trattative tra il D. e il marchese Teodoro di Monferrato, ritornato a Vercelli dall'Oriente quello stesso anno, erano state precedute da contatti epistolari tra il marchese e il pontefice, nel corso dei quali Teodoro si era dichiarato pronto a riportare all'obbedienza i nemici della Chiesa. Assunta la signoria della città per un triennio, le trattative col D. condussero ad un accordo che, seppure per un brevissimo periodo, conciliò i ghibellini, i fuorusciti guelfi e il vescovo.
L'acuirsi dei contrasti tra l'imperatore e la S. Sede, unitamente all'affermarsi del potere visconteo a Vercelli, costrinse però ben presto il D. ad abbandonare la propria sede e a stabilirsi nella vicina Biella.
Se infatti tale trasferimento fu inizialmente considerato un atteggiamento di protesta in seguito al diploma con cui Lodovico il Bavaro, imperatore scomunicato, aveva confermato al Comune di Vercelli tutti quei privilegi e diritti che non erano mai stati riconosciuti dalla S. Sede, quando Vercelli si consegnò ad Azzo Visconti, l'aperta rottura tra il D. e la città divenne ormai inevitabile. Organizzatosi militarmente a Biella, schierata al suo fianco, il D. combatté apertamente contro Luchino Visconti. Nel 1329 ricevette dal pontefice l'invito a ripubblicare le sentenze di condanna contro Giovanni e Luchino Visconti, considerati dal papa eretici e ribelli. Giovanni XXII, che aveva inviato identiche lettere anche al legato Bertrando del Poggetto e al vescovo profugo di Como Benedetto da Asnago, non poteva infatti approvare il ritorno dei Visconti, che si erano ristabiliti a Milano esibendo le investiture dell'imperatore scomunicato e la nomina a cardinale che Giovanni aveva ottenuto dallo scismatico Pietro da Corbara. Caduta Vercelli nelle mani dei Visconti, la guerra tra il Comune e il D. proseguì ancora per diversi anni. I Biellesi, suoi decisi sostenitori, impegnarono in quel periodo molto denaro per le fortificazioni delle mura della città.
Il contrasto si acuì quando insorsero contro il D. anche Pietro di Borgomasino e altri signori di Masino e di Maglione: si cercò allora di giungere ad un accordo tra le due parti affidando la contesa alle decisioni di due arbitri scelti nelle persone di Ottone d'Azeglio e di Giovanni Avogadro di Cerione. La tregua ebbe tuttavia un effetto brevissimo; le ostilità ripresero non appena i nemici del D., facendo leva su un diploma imperiale, spinsero Salussola, dominio vescovile, a ribellarsi ai Biellesi. Anche Giovanni Visconti, giunto da Asti nel gennaio del 1343, tentò di sanare le discordie esistenti. Decisivo fu infine l'intervento del legato pontificio in Lombardia, cardinale Guglielmo Curty, che il 1º genn. 1343 ordinò ai contendenti una tregua di cinque anni, sotto pena di 2.000 marche d'argento per chi vi contravvenisse. Ratificato l'accordo, il D. tolse l'interdetto che aveva in precedenza lanciato contro i cittadini di Vercelli.
Nel frattempo si era però aperta un'altra questione, che lo vide impegnato nei confronti dei suoi stessi sostenitori e che ebbe notevoli conseguenze anche dopo la sua morte. Egli pretendeva infatti il diritto di successione nelle eredità dei defunti ab intestato senza prole mascolina legittima. Vista tuttavia l'opposizione suscitata dalla sua richiesta, si accontentò di giungere ad una transazione; il 13 ag. 1339 si accordò con Filippo Codecapa rinunciando alle sue richieste in cambio di un compenso di 2.000 fiorini. In base all'accordo, ratificato il 19 maggio 1340 e successivamente approvato anche dal legato apostolico, se tale convenzione non fosse stata accettata dai suoi successori, costoro avrebbero dovuto restituire il denaro. Per tutto il quindicennio durante il quale occupò la sede episcopale di Vercelli il D. si impegnò a fondo nelle lotte politiche tra le fazioni piemontesi, cercando di conciliare gli interessi della Chiesa con quelli della propria famiglia e dei suoi aderenti. E fu probabilmente nel tentativo di crearsi una base territoriale solida in Piemonte in un momento in cui le forze dei Torriani erano in declino che, nel 1329, pochi mesi dopo aver assunto la carica vescovile, propose al pontefice la conquista armata di un fortilizio spettante all'arcivescovo di Milano; non si sa tuttavia di quale fortilizio si trattasse né a quali conclusioni giungessero le sue richieste al pontefice.
I pochi documenti relativi agli anni del suo vescovado in cui viene menzionato non sono particolarmente illuminanti circa la sua attività: si tratta, infatti, per lo più di investiture concesse dal D. a nobili del luogo. Si sa invece che, nel 1339, confermò i vecchi statuti del capitolo della cattedrale di Vercelli e ne aggiunse di nuovi e che, nello stesso anno, ottenne dal papa Benedetto XII la facoltà di testare.
Il D. morì a Biella il 9 apr. 1343, come risulta dalla lapide sepolcrale, e venne sepolto nella chiesa di S. Eusebio a Vercelli.
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