logos
Trascrizione del gr. λόγος «parola, discorso, ragione». Il più antico pensiero greco, incline a non distinguere l’aspetto verbale dall’aspetto razionale della verità, designa come l. la ragione determinante il mondo e la legge in cui essa si esprime (Eraclito). Nella sofistica prevale, nel l., l’elemento verbale, che assorbe in sé l’altro: il l. è il «discorso» come strumento di vittoria nella lotta oratoria e dialettica. La reazione al verbalismo sofistico (Socrate, Platone, Aristotele) rivendica il valore razionale del l.: di qui la grandiosa costruzione teorica delle sue leggi, la «logica», termine con cui si designò, in età un po’ più tarda, ciò che Platone chiamava «dialettica» e Aristotele «analitica». Nello stoicismo, che rinnova la concezione eraclitea, il l. torna a significare la divina ragione che, compenetrando di sé il mondo, lo anima e dirige secondo il suo perfetto destino. L’idea del l. come potenza mediatrice tra Dio e il mondo è presente nell’ambiente ebraico, soprattutto nell’ebraismo ellenistico a opera di Filone di Alessandria già prima dell’era cristiana. Nel Vecchio Testamento la «parola di Dio» è metafora frequente per esprimere l’efficacia immediata della volontà di Dio, ma non vi si trova una personificazione della «parola», che tende invece a chiarirsi nei libri sapienziali del periodo ellenistico, dove il concetto di l. si accosta a quello predominante della «Sapienza»: essa è «artefice di tutte le cose» (Sapienza 7, 21), «esalazione della divina virtù [...] specchio tersissimo dell’attività di Dio e immagine della sua bontà» (Sapienza 7, 25-26: e cfr. ivi 18, 14, dove incontriamo la più accentuata personificazione del l.). Ma una ipostatizzazione della «parola di Dio», intermediaria tra Dio e il mondo, la troviamo solo in Filone, che risente l’influsso della speculazione greca, platonica e stoica: in lui il l. è colui che colma l’abisso infinito che separa Dio e il mondo, è l’immagine di Dio, l’archetipo del mondo sensibile, la forza vitale che regge gli elementi, la via che permette all’uomo di elevarsi alla contemplazione di Dio. Né ἀγένητος come l’Altissimo, né γενητός come il mondo, ma medio tra essi, il l. è rappresentato ora come persona, ora come forza cosmica impersonale, sicché nella sua concezione confluiscono, senza fondersi, motivi platonico-stoici e motivi dei libri sapienziali giudaici. E certo soprattutto a questi ultimi si deve la permanenza nell’ambiente ebraico-ellenistico di una dottrina del l., come verità, luce e vita (nella dottrina talmudica invece il Memra «parola» di Yahweh è piuttosto una circonlocuzione per il nome stesso di Dio, senza essere mai concepita come ipostasi divina). Di origine piuttosto ellenistica, ma carica di elementi orientali, è invece la dottrina del l. quale si trova nelle religioni di mistero, dove il l. è identificato ora con Orfeo, ora con Ermete Trismegisto, o con altre divinità.
Nel cristianesimo, la dottrina del l. si afferma con il prologo del Vangelo di Giovanni: «Nel principio era il l., e il l. era presso Dio, e il l. era Dio. Egli era in principio presso Dio: mediante lui tutte le cose furono fatte» (Giovanni 1, 1-3); il l. è la vita e la luce degli uomini (Giovanni 1, 4; cfr. 11, 25; 14, 6), egli «si è fatto carne (σὰρξ ἐγένετο) e abitò fra noi» (ivi 1, 14): il l. si identifica così con Cristo (I Giovanni 1, 13). In tal modo il prologo giovanneo riassume la fede delle prime generazioni cristiane in Cristo, Dio-uomo. Molto si è discusso sui rapporti tra questo concetto del l. e quello dell’ambiente giudaico-ellenistico che certo già conosceva e usava lo stesso termine; ma il l. giovanneo ha caratteristiche che non sembra possibile ridurre né al l. di Filone né a quello dei libri sapienziali o della letteratura talmudica: in Filone il l., chiaramente distinto da Dio e detto a volte anche figlio di Dio, è tuttavia nettamente inferiore all’Altissimo cui serve come strumento nella creazione, sicché il l. viene ad avere una funzione cosmologica e niente affatto redentrice; è il primo di una serie di intermediari, non l’unigenito. Sicché mentre la concezione filoniana ha influito certo sulla speculazione del cristianesimo primitivo (sia sulle correnti gnostiche, sia su quelle ortodosse, fino alla scuola di Alessandria), non ha tuttavia influito da un punto di vista dottrinale sul prologo giovanneo, che piuttosto per certa terminologia sembra avvicinarsi alla letteratura sapienziale (cui attinge anche Paolo), la quale però, come s’è detto, non è giunta a una personificazione del λόγος-Dio. Nel cristianesimo primitivo la dottrina del l. si sviluppò parallelamente alle polemiche trinitarie e cristologiche con la progressiva assimilazione di elementi del pensiero greco, sicché la storia della dottrina del l. si risolve nella storia dei dogmi nei primi secoli. Ricorderemo qui l’originale sviluppo della teoria del l. in Giustino: sotto l’evidente influsso delle idee platonico-stoiche, egli lo concepisce come il principio razionale che dirige il corso della storia e, rivelandosi per bocca di coloro che vissero secondo ragione (κατὰ τὸν λόγον: onde i singoli λόγοι sono scintille del λόγος divino) come i profeti e i filosofi greci (Eraclito e Socrate), si è poi manifestato agli uomini nell’incarnazione. Questa concezione del l., che dava un particolare significato a tutta la concezione cristiana della storia, si sviluppò soprattutto tra i padri greci (e particolarmente in Clemente Alessandrino), i quali poi, parallelamente allo sviluppo del neoplatonismo, accentueranno sempre più il concetto del l. come principio razionale che racchiude in sé gli archetipi eterni secondo cui il mondo è stato creato (si ricordi, a questo proposito, il l. plotiniano). Alla dottrina neoplatonica del l. ricorrerà spesso Agostino per mostrare la profonda affinità fra la tradizione filosofica greca e la rivelazione cristiana, e per approfondire il suo stesso concetto del Verbum. Nell’età moderna, il concetto acquista un significato importante nella filosofia di Hegel, per il quale il l., sistema di pure categorie logiche, è il primo momento, o idea «in sé» (tesi), del divenire dell’«idea», la quale dalla pura idealità di esso si aliena nella natura, mondo dell’esistenza inconsapevole, o idea «per sé» (antitesi), per ritornare a sé, come autocoscienza, nello spirito, o idea «in sé e per sé» (sintesi). Importante, anche il concetto di l. nella filosofia di Gentile, il cui Sistema di logica (1917-22) s’impernia sulla distinzione di l. «astratto» e l. «concreto».