VISCONTI, Lodrisio (Loderisio, Oderisio, Ludovico). – Figlio di Pietro e di Antiochia Crivelli, nacque probabilmente nell’ultimo quarto del XIII secolo (Litta, 1823-1828, tav. X; Del Tredici, 2017, pp. 142 s.)
Appartenne a un ramo visconteo strettamente legato a quello dei signori di Milano (Pietro, il padre, fu zio del dominus Matteo Visconti, v. la voce in questo Dizionario); a lui spettarono numerosi castelli tra Milano e il lago Maggiore. Lodrisio e i suoi discendenti furono in frequente conflitto con altri esponenti della famiglia, e già il padre era stato catturato a inizio Trecento da Matteo Visconti in seguito a un tentativo di congiura (Galvanei de Fiamma Manipulus florum, 1727, col. 717). Ebbe due fratelli: Gaspare – cui, in seguito a una spartizione del patrimonio familiare, spettarono i castelli di Jerago, Orago, Cassano Magnago, Albizzate, Fagnano e Caidate – e Giovanni.
Lodrisio presenziò alla pace con i Torriani nel 1310 (Grillo, 2013, p. 215); il 12 febbraio 1311 fu al fianco di Matteo Visconti durante il tumulto che portò alla cacciata dei Della Torre. Nello stesso anno venne nominato da Enrico VII tra i cavalieri destinati ad accompagnarlo a Roma (Giulini, 1855, pp. 875-877); fu forse investito dal sovrano del contado del Seprio, e fu vicario imperiale a Bergamo. L’anno seguente ricoprì lo stesso incarico a Piacenza (Corio, 1978, pp. 617 s.).
Nel 1314 occupò la cassina di San Donato e le torri e i beni di Abbiategrasso, appartenenti all’arcivescovo di Milano Cassone Della Torre. Nel 1315 (secondo Bonincontro Morigia e Bernardino Corio, che evidentemente confondono con il vicariato imperiale, nel 1312), mentre era podestà di Bergamo, rimase ferito combattendo contro i guelfi e Ponzino Ponzoni (Giulini, 1856, pp. 50, 55). Negli anni seguenti verosimilmente si allontanò dalle posizioni dei suoi agnati, al punto che l’8 novembre 1322 (anno in cui il lignaggio fu colpito dalle censure ecclesiastiche) cacciò da Milano, in seguito a una congiura, il cugino Galeazzo (v. la voce in questo Dizionario), al fianco di Francesco da Garbagnate e dei Dodici. Galeazzo tuttavia rientrò già il mese successivo (11 dicembre) e dopo un primo momento di ulteriore contrasto (tanto che gli uomini di Lodrisio saccheggiarono Monza, ove egli era podestà) i due si riconciliarono, anche per il timore di una ricomparsa dei Torriani sulla scena politica milanese (Cognasso, 1955, pp. 166-169). Come ricompensa, alla fine del conflitto contro Giovanni XXII, Lodrisio poté rafforzare la sua autorità nel Seprio, che da alcuni decenni i Visconti controllavano e dove egli possedeva diversi castelli (Gamberini, 2005, p. 173; Del Tredici, 2017, pp. 122-131).
Il dissidio con Galeazzo, che proibì al comune di Monza di pagare lo stipendio dovuto a Lodrisio per la sua attività di podestà, restò latente, ma nell’immediato non si manifestò. Al momento della spedizione in Italia di Ludovico il Bavaro (1327), Lodrisio assieme al cugino Marco accolse a Como il re di Germania, e successivamente – dopo la concessione a Galeazzo del vicariato e l’uccisione di Stefano Visconti (che aveva servito come coppiere del re) – i due furono i soli esponenti della famiglia a non essere incarcerati a Monza (Corio, 1978, pp. 703 s., 707-709). Lodrisio, peraltro, non ottenne dalla vicenda vantaggi appariscenti. Anche negli anni immediatamente seguenti egli non ebbe probabilmente cattivi rapporti con i parenti: il 15 settembre 1329 i procuratori di Azzone (v. la voce in questo Dizionario) si recarono ad Avignone per riconciliarsi con il papa, e giurarono anche a suo nome (Cognasso, 1955, p. 217); nel 1332 assediò Pavia, schierata con Giovanni di Boemia, riuscendo a prendere la città ma non il castello (Litta, 1823-1828, tav. X).
La rottura con l’agnazione si consumò definitivamente nel maggio del 1336. Lodrisio assoldò duecentocinquanta uomini, già reclutati da Azzone, «e con quegli fugendo cominciò a cerchare novi consilii per li quali potesse Azo privare de tanto imperio» (Corio, 1978, p. 737). Si recò in un primo momento presso Franchino Rusca a Como, da dove tuttavia buona parte dei mercenari ingaggiati disertarono, e uno dei suoi castelli più importanti, da lui eretto nella località di Crenna, presso Gallarate (nel Seprio), venne preso d’assalto e distrutto (Petri Azarii Liber gestorum..., a cura di F. Cognasso, 1926-1939, p. 33).
Lodrisio si rifugiò allora a Verona, rendendosi probabilmente conto dell’impossibilità del suo rientro a Milano; ottenne grazie a Mastino II beni e decime nel Vicentino.
L’occasione per tornare a Milano e ottenere il potere si presentò nel 1339, alla fine della guerra che Venezia, Firenze e Milano avevano vinto contro Mastino II: nel 1337 Azzone Visconti aveva occupato Brescia, e in Veneto si aggiravano molte bande di mercenari in cerca di nuovi ingaggi (Varanini, 1988, p. 171); Mastino puntava al recupero di quanto aveva perduto a seguito dell’avanzata viscontea. Lodrisio, grazie al denaro fornito dal signore di Verona, ingaggiò i circa tremila cavalieri della compagnia di San Giorgio, comandata dal tedesco Reynald von Giver, detto Malerba, e si mise in marcia verso ovest.
L’avanzata non conobbe particolari difficoltà: l’Adda venne superato il 9 febbraio 1339 all’altezza di Rivolta nonostante la presenza della guarnigione comandata da Pinalla Aliprandi (Grillo, 2017, p. 244). Milano venne aggirata da nord e Lodrisio raggiunse il Seprio, dove poteva contare su castelli, beni e clientele; si spostò poi a Legnano, dove rimase accampato a lungo mentre il territorio veniva saccheggiato dai suoi uomini. Sperò forse di prendere Milano per fame, o fu rallentato dalle condizioni climatiche avverse. Azzone poté così raccogliere le truppe inviate tanto dalle città del dominio quanto dagli alleati e affidò l’esercito a Luchino (v. la voce in questo Dizionario), che pose il campo a Nerviano, a pochi chilometri da Legnano, distribuendo probabilmente altri contingenti nelle località circostanti: a Parabiago, tra i due accampamenti, vennero schierati ottocento cavalieri e duemila fanti (Gualvanei de la Flamma Opusculum de rebus..., a cura di C. Castiglioni, 1938, p. 29).
La notte del 21 febbraio 1339, prima dell’alba, Lodrisio diede via alla battaglia, forse spinto dalla difficoltà di approvvigionamento e dalle condizioni climatiche avverse; i due schieramenti poterono riorganizzarsi dopo il sorgere del sole e proseguirono lo scontro nelle campagne tra Gallarate e Parabiago. In questa fase le truppe milanesi ebbero la peggio, e lo stesso Luchino venne addirittura preso prigioniero; ma grazie alla schiacciante superiorità numerica delle forze mobilitate da Azzone, alla fine Lodrisio venne sconfitto: un nuovo distaccamento di rinforzi mandò infatti in rotta il suo esercito, ed egli venne infine catturato e rinchiuso nel castello di San Colombano al Lambro (Grillo, 2018, pp. 128-130).
La battaglia di Parabiago ebbe notevole risonanza nella cronachistica dell’epoca, e le informazioni fornite dalle cronache non collimano perfettamente né quanto ai nomi né quanto allo svolgimento (anche in merito alla data non vi è unanimità). Pure i numeri delle forze in campo, dei caduti e dei prigionieri oscillano significativamente. È certo comunque che un ruolo importante lo ebbero le truppe di Popolo, e a questo è legato anche il mito dell’intervento di s. Ambrogio, che secondo Galvano Fiamma (nell’Opusculum, cit.) e Morigia sarebbe apparso nel cielo sopra il campo di battaglia e, armato di flagello, avrebbe colpito i cavalieri tedeschi mandandoli in rotta. In seguito alla vittoria venne celebrata una processione a Milano, e a Parabiago venne costruita una chiesa in onore del medesimo santo, la cui prima pietra fu posta da Giovanni Visconti (Cariboni, 2000, pp. 595-613).
La prigionia in San Colombano durò fino al 1351, quando Lodrisio venne rimesso in libertà da Giovanni Visconti (Guillelmi de Cortusiis Chronica de novitatibus..., a cura di B. Pagnin, 1941, p. 123). Come ultima impresa nota, il 12 novembre 1356 comandò l’esercito che sconfisse il vicario imperiale Markward von Randeck a Casorate.
Morì a Milano il 5 aprile 1364 e fu sepolto con tutti gli onori: per poter officiare il funerale venne addirittura sospeso un torneo indetto da Bernabò (Giulini, 1856, p. 488).
Da Vincenza di Bertone Cavalcabò (secondo Azario ebbe come moglie una Malaspina; Petri Azarii Liber gestorum..., cit., p. 33), ebbe tre figli, che si divisero la sua eredità: Ambrogio, che era stato catturato a Parabiago, ottenne Besnate, Zanotto diede via alla linea di Cedrate, ed Estorolo ereditò Crenna (Litta, 1823-1828, tav. X; Del Tredici, 2017, p. 142).
Nelle scelte politiche di Lodrisio non bisogna vedere esclusivamente cieca vendetta nei confronti dei parenti; piuttosto, la sua vicenda mostra alcuni interessanti aspetti degli esponenti delle linee ‘minori’ dei Visconti, che verosimilmente non si sentivano affatto tali, che potevano fare affidamento su estese amicizie nel contado e in città (che forse Lodrisio non fu in grado di mobilitare pienamente) e che, infine, dovevano percepire come tirannica l’impostazione in termini dinastici data dai parenti ‘maggiori’ alla signoria su Milano. I suoi conflitti con gli agnati non vanno tuttavia interpretati ‘monoliticamente’: se senza dubbio non vi furono margini di collaborazione con Azzone e Luchino, dopo la morte di quest’ultimo Lodrisio ritrovò la libertà e, addirittura, sotto Bernabò colse il suo ultimo successo militare.
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