DELLA TORRE, Lodovico
Figlio di Raimondo e di Anfonisia di Villalta, appartenente all'aristocrazia friulana, nacque in Friuli fra il penultimo e l'ultimo decennio del XIII secolo.
Il padre del D., Raimondo, era figlio di Lombardo di Ermanno e di Caterina Pirovano. Rifugiatosi nel patriarcato di Aquileia dopo la sconfitta torriana di Desio (21 genn. 1277) era stato qui accolto dal congiunto Raimondo Della Torre che rivestiva la dignità patriarcale e aveva ricoperto la carica di podestà di Marano. Rientrato a Milano con i Torriani nel 1302,fu podestà di Piacenza nel 1305.Lasciò di nuovo la città natale nel 1311 in seguito alla vittoria dei Visconti e si rifugiò ancora nel Friuli dove fu podestà di Trieste nel 1319 e capitano di Tolmino nel 1320. Partecipò nel 1323 allo scontro definitivo con i Visconti e morì poco tempo dopo.La prima notizia sul D. risale al 1315, quand'egli era già canonico della basilica di Aquileia. Nel 1332 fu incaricato dal patriarca Pagano Della Torre, suo congiunto, di recarsi ad Avignone presso Giovanni XXII per supplicarlo di assolvere il presule dalla scomunica che lo aveva colpito a causa dei debiti insoluti con la Curia pontificia. L'accoglimento della richiesta costituì per il D. un notevole successo diplomatico. Mancano altre notizie fino al 1342, quando lo troviamo ancora ad Avignone. Successivamente, fra il 1346 ed il 1349, egli resse la diocesi di Trieste e negli anni successivi quelle di Oleno e di Corone, in Grecia.
Il D. era ad Avignone nel 1358, quando si rese vacante il patriarcato d'Aquileia, il più ricco beneficio d'Italia. Aspirando alla nomina, egli sollecitò tramite lettere gli Udinesi ed i Cividalesi ad appoggiare la sua elezione, poiché nel frattempo dal Friuli era giunta al papa Innocenzo VI la supplica a nominare un presule francese, in grazia dell'ottimo ricordo lasciato da Bertrando de Saint-Genès, morto nove anni prima. Il pontefice, seguendo l'esempio dei suoi predecessori che avevano visto nei patriarchi torriani un solido sostegno politico, e tuttavia non prima di accurate indagini sulla sua idoneità, nominò il D. (1359), che per gli appoggi familiari, l'esperienza e l'età sembrava la persona più adatta al governo del patriarcato ed al conseguimento di quella pacificazione dell'Italia centrosettentrionale, che avrebbe dovuto preparare il ritorno a Roma dei pontefici.
Quindi, dietro richiesta del nuovo patriarca, Innocenzo VI scrisse all'imperatore, al re d'Ungheria e a Mainardo conte di Gorizia di tutelare gli interessi della Chiesa d'Aquileia nel rispetto della pace. Gli anni del governo del D. (1359-65) dovevano, però, essere particolarmente tormentosi per il tentativo del duca Rodolfo IV d'Asburgo d'impradonirsi del patriarcato.
La posizione del D. era precaria sia per la lontananza dalla S. Sede, sia per l'opposizione che i Torriani trovavano all'interno dell'aristocrazia friulana.
Alle difficoltà del D. si aggiungevano quelle strutturali del patriarcato, Stato feudale travagliato dalla turbolenza dell'aristocrazia e dalle difficoltà finanziarie, causate dall'indebitamento con la Curia (che doveva essere pagata dopo ogni conferimento del beneficio patriarcale), e dall'assoldamento delle milizie. Il maggiore sostegno al patriarca era fornito dai Comuni, economicamente prosperi, in particolare da quello di Udine, che con i nobili Savorgnan garantì al nuovo principe ecclesiastico tutto il suo appoggio.
Entrato in Friuli nel settembre del 1359, il D. favorì il partito popolare a Cividale ed accrebbe l'autonomia di Udine, in cui rafforzò il potere dei Savorgnan, tradizionalmente legati ai patriarchi. Ma contemporaneamente in Carinzia Rodolfo IV estendeva i propri domini a scapito dei vescovi di Bamberga e della Chiesa d'Aquileia, preparandosi ad invadere il Friuli come già aveva fatto suo padre Alberto nel 1350. Acquistatosi il favore del papa, la neufralità di Venezia e l'alleanza dell'imperatore, del re d'Ungheria e del conte di Gorizia, il duca d'Austria, con il pretesto di rendere più sicura per i mercanti transalpini la strada pontebbana che collegava la Carinzia a Venezia, scese in Friuli alla testa di un esercito numeroso, a cui si unirono alcuni feudatari patriarchini ribelli, come i signori di Spilimbergo, di Prata e di Strassoldo e l'abate di Rosazzo (agosto 1361).
Rodolfo ed i suoi alleati assediarono inutilmente Udine, ma il D., consapevole della propria debolezza di fronte a tanti avversari, forse spinto dal Parlamento, scese a patti ed accettò di precedere il duca a Vienna insieme con un gruppo di ostaggi, per giungere quindi ad una pacificazione, mentre il suo Stato restava occupato dalle truppe austriache ed alcuni suoi feudatari giuravano fedeltà a Rodolfo. Tuttavia già durante il viaggio il D. fu trattato come un prigioniero e, nonostante le sue proteste e le richieste di aiuto rivolte al papa e all'imperatore, a Vienna gli furono imposti patti durissimi, che sancivano la dominazione asburgica sullo Stato patriarchino, dando nelle mani di Rodolfo tutti i feudi di Stiria, Carinzia, Carniola, Marca Schiavonia e del Carso ed un certo controllo politico-militare del Friuli (1362). Ma Federico Savorgnan e Simone Valvason, che avevano seguito il D. a Vienna, fuggirono e tornarono nel patriarcato per organizzarvi la resistenza delle Comunità. Tornato poi anche il presule, questi non riconobbe i patti di pace in quanto gli erano stati estorti con la violenza: per lo stesso motivo - nel 1363 essi furono annullati da Carlo IV, che impose una tregua.
Nonostante quest'intervento dell'imperatore, lo stesso anno la guerra riprese, tra gli Austriaci e la fazione loro amica (capeggiata dagli Spilimbergo) da una parte, e quella patriarchina, costituita dalle Comunità, i Savorgnan e la restante nobiltà fedele dall'altra, fino a quando la seconda, con l'appoggio militare dei Carraresi, che Rodolfo aveva privato del Cadore, e quello politico del re d'Ungheria e dell'imperatore, preoccupati dal bellicoso espansionismo del duca d'Austria, riportò la vittoria (1365); questa era stata favorita anche dal trattato di pace che il patriarca era riuscito a stipulare, grazie alla propria abilità diplomatica, con il conte di Gorizia.
Sempre nel 1365, il 27 luglio, Rodolfo moriva a Milano; tre giorni dopo in Friuli si spegneva anche il suo tenace avversario, l'"energico e avveduto" (Leicht) Della Torre.
L'impegno di lotta contro il duca d'Austria dovette costringere il D. a trascurare l'attività religiosa, di cui quasi niente sappiamo. Egli, comunque, indisse un'indulgenza al fine di raccogliere fondi per il ripristino della basilica d'Aquileia, gravemente danneggiata da un terremoto ancora nel 1348. Anch'egli, come i suoi predecessori torriani, favorì i parenti e gli immigrati di origine lombarda, conferendo loro molte delle maggiori cariche ecclesiastiche e civili. Fu, inoltre, suo cancelliere quell'Odorico Susanna che successivamente, per ordine di Marquardo di Randeck, avrebbe scritto il Thesaurus Ecclesiae Aquileiensis, un elenco dei feudi e delle giurisdizioni del patriarcato.
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