COLTELLINI, Lodovico
Nacque a Livorno il 20 ott. 1720 da Antonio e da Elisabetta Antonia Cornacchini. Il padre, ufficiale di polizia, promosso alla carica di bargello, trasferì la famiglia a Prato, dove il figlio compì i primi studi, e infine la stabilì definitivamente a Cortona. Particolarmente importante per la formazione culturale del C. fu il soggiorno presso Giuseppe Valeri, preposto della Chiesa bolsenese e suo parente, che gli trasmise la propria passione per gli studi etruscologici. Ma in un primo momento il C. non poté seguire questa inclinazione, in quanto fu indirizzato dalla famiglia verso gli studi giuridici, fino alla laurea in utroque iure.
Nel 1742 si mise in contatto epistolare con il Muratori, indirizzandogli tre lettere (attualmente conservate alla Biblioteca Estense di Modena). Nei primi mesi del 1744 cominciò a esercitare l'avvocatura e tentò di inserirsi nell'ambiente colto cortonese, ma non tardarono a sorgere i primi attriti. Il suo carattere anticonformista, incline all'ironia e alle polemiche, condotte spesso con scarso senso della misura, finì per alienargli le simpatie di M. Venuti e degli altri eruditi che presiedevano alle più importanti istituzioni culturali del luogo. Inoltre la sua origine contribuiva a rendergli difficile l'ingresso in una cerchia caratterizzata da una forte impronta aristocratica. Il C. appare dunque come un isolato nella cultura cortonese, e tale resterà, sia pure in minor misura, per tutta la vita. A questo periodo risale la prima affermazione nel campo dell'etruscologia con i Due ragionamenti sopra quattro superbi bronzi antichi. Si tratta di una dissertazione, pronunciata in una pubblica adunanza dell'Accademia Etrusca di Cortona, su reperti archeologici trovati nel 1746 nella località di Montecchio, a pochi chilometri dalla città (sui quali cfr. Corpus Inscriptionum Etruscarum, I, Lipsiae 1893-1902, p. 71, nn. 445-446).
Il C. si muove sulla scia degli eruditi fiorentini, applicando in particolare i criteri interpretativi desunti dalle Lettere gualfondiane del 1744. I Ragionamenti ebbero grande successo: nel 1747 furono pubblicati nelle Novelle letterarie di Firenze, nel 1748 negli Opuscoli di A. Calogerà e infine furono ristampati a parte in Venezia nel 1750.
Ma nonostante questa e altre dissertazioni lette o inviate all'Accademia Etrusca o alle "notti coritane", le dotte riunioni che si tenevano dal 1744, l'ostilità nei confronti del C. non venne meno e ripetute sue istanze per essere ammesso nell'Accademia furono respinte. Il C. conobbe un momento di sconforto e meditò di abbandonare gli studi antiquari. Invece, sul finire del 1748, partì da Cortona per stabilirsi a Firenze, dove entrò sotto la protezione di Giovanni Lami, che dirigeva le Novelle letterarie. Ebbe così agio di dedicarsi maggiormente agli studi, applicandosi anche a nuovi campi, come l'epigrafia latina, la storia medievale, la letteratura italiana e francese, la fisica e la botanica. I riconoscimenti non mancarono: già nel 1751 fu cooptato fra gli Intronati di Siena.
Né per questo desistette dalle polemiche, che furono anzi rinfocolate da un articolo apparso nel 1749 nelle Novelle letterarie sopra una raccolta di antichità che si stava facendo a Cortona. L'articolo, scritto o almeno dettato dal C., contiene pesanti critiche ai criteri adottati e insinua il dubbio che, nelle eventuali riproduzioni, qualche iscrizione venga alterata "a capriccio" per scarsa competenza. Nonostante questo, quando nel luglio 1757 il C. tornò a Cortona, trovò un clima assai mutato nei propri confronti.
La notorietà acquisita grazie alla collaborazione con il Lami gli procurò immediatamente la cooptazione e l'elezione a segretario della locale Accademia botanica; la morte di Marcello Venuti, avvenuta due anni prima, gli spianò la strada per la sospirata ammissione all'Accademia Etrusca, nonostante la fiera opposizione del segretario Reginaldo Sellari, contro il quale le polemiche del C. non tacquero più, giungendo perfino a livelli di estrema volgarità. I decenni successivi videro esplicarsi appieno l'attività del C. nell'epigrafia etrusca e latina. Nel 1774 pubblicò a Firenze una Lettera sopra un'antica statuetta inedita con iscrizioni etrusche. Il reperto proveniva dalla raccolta di A. F. Gori e il C. l'aveva acquistato dopo la sua morte. Nella Lettera l'autore si sforza di dimostrare come essa rappresenti Apollo, divinità che veniva adorata anche dagli Etruschi. Al 1776, anche se furono pubblicate solo nel 1781 ad Assisi, risalgono invece le Ricerche sopra una iscrizione antica, la quale si conserva nella Città di Fuligno, in cui il C. si sforza di aggiungere qualcosa circa un'iscrizione latina scoperta nel 1671 e già illustrata dal Pagliarini e dal Muratori. Del 1787 edita a Cortona è la Lettera al sig. ab. Domenico Sestini, in cui il C., commentando un bassorilievo etrusco in avorio trovato nel contado cortonese, cerca di dimostrare, sulla base di un'interpretazione alquanto forzata dell'iscrizione che circondava la testa virile con elmo in essa rappresentata, trattarsi dell'effige del re Porsenna. Da notare invece che reperti del genere furono in seguito ritenuti contraffazioni di età posteriore (cfr. A. Fabretti, Corpus Inscriptionum Italicarum antiquioris aevi, Augustae Taurinorum 1867, p. CXI, n. 1035). Nell'Altra lettera al sig. ab. Domenico Sestini, pubblicata a Cortona l'anno successivo, si polemizza con l'autore di un trattato uscito a Roma nel 1772 secondo il quale gli Etruschi non avrebbero coniato monete d'argento, contrapponendovi il parere dell'Amaduzzi. La stessa tesi viene ribadita nel Pro-memoria ossia congetture sopra una medaglia etrusca d'argento trovata nel Paese de' Grigioni (Cortona 1790).
La moneta portava su un lato un mostruoso quadrupede rampante sormontato da una epigrafe. Credendo di notare in questa una mescolanza di caratteri etruschi e greci (in particolare l'omicron) il C. attribuisce il reperto alla città di Pirgi in cui i due elementi etnici sarebbero entrambi presenti. In sostanza, colpisce nel C. un'eccessiva disinvoltura nel trarre deduzioni dai reperti, come anche nella Dissertazione... sopra un'ara etrusca con inscrizione finora inedita, letta all'Accademia Etrusca di Cortona nel 1791, che più tardi sarà demolita dalla critica del Lanzi.
A livello decisamente superiore si colloca la Congettura sopra l'inscrizione etrusca scolpita a gran carattere nell'edifizio detto la Torre di S. Manno nel contado di Perugia, tanto che G. B. Vermiglioli spinse il C. a pubblicarla a parte a Perugia nel 1796, a quasi mezzo secolo di distanza dalla prima edizione nelle Novelle letterarie del 1748. Ma il C. non si occupò solo di epigrafia. Pubblicò infatti vari componimenti poetici e d'occasione, tra cui un'Imitazione libera di un'ode di Orazio in versi toscani, Lucca 1763, e un panegirico latino in morte di Filippo Venuti (1768). Si occupò di storia medievale, pubblicando nel 1763, sempre a Lucca, la dissertazione epistolare Sopra un istrumento antico di dote appartenente a Firenze, su, una carta del 1288 conservata all'epoca nel monastero di S. Michele in Borgo a Pisa; di storia nobiliare, stampando nel 1772 a Firenze una Memoria informativa per i marchesi di Colle, Petriolo e Petrella; di agiografia, raccogliendo memorie e documenti concernenti s. Margherita da Cortona; di toponomastica, svolgendo un'ampia ricerca sui toponimi del Cortonese.
Nonostante la dimensione provinciale della sua vita e, spesso, della sua attività, il C. appare a una più attenta ricerca come pienamente inserito nel circuito della grande erudizione nazionale. Il tono del necrologio di Scipione Maffei, da lui composto nel 1755 e rimasto inedito, dimostra che vi furono legami di amicizia e di collaborazione anche con l'erudito veronese. Ancor più stretto il rapporto con Giovanni Cristoforo Amaduzzi, testimoniato dall'ampio carteggio che si protrasse fino alla morte di quest'ultimo.
È impossibile accennare al contenuto di questa corrispondenza, senza esaminare il pensiero politico del Coltellini. Egli lo elaborò a partire da un tentativo di sintesi tra razionalismo francese e tradizione cattolico-agostiniana, come può riscontrarsi nella prefazione a due traduzioni di Racine il Giovane pubblicate rispettivamente ad Arezzo e a Livorno nel 1752 e, ancor più chiaramente, nella lettera dedicatoria premessa alla traduzione delle Maximes di La Rochefoucauld, pubblicata nel 1763. Sarà infine la lettura di Montesquieu a consentirgli di trasporre su un piano più propriamente politico le proprie idee. Ma c'è un altro elemento, che non è disgiunto dalla sua attività di etruscologo, anzi può esserne una motivazione, come egli stesso ammette nella Congettura del 1796, vale a dire la reazione a Roma come centro religioso, e culturale dominante; per cui la rivendicazione della civiltà etrusca come "straniera" rispetto a quella romana diventa il fondamento per una larvata richiesta di autonomia religiosa e intellettuale. Non a caso quindi il carteggio con l'Amaduzzi ci presenta una stretta compenetrazione fra ricerca erudita e rivendicazioni politiche, che ne fa una delle più eloquenti testimonianze del cosiddetto "illuminismo cattolico", per il quale una scelta del genere era in parte dettata da reminiscenze culturali, in parte imposta da considerazioni di opportunità. Ma l'importanza storiografica del carteggio sta anche e soprattutto nella funzione di minuzioso commento dei fatti che si succedono per quasi un trentennio, commento avvalorato dalla profonda conoscenza, da parte dell'Amaduzzi, degli ambienti vaticani.
Da notare che in così lungo periodo non si verificarono fra i due corrispondenti gravi divergenze, tranne che verso la fine, quando il giudizio sugli esordi della Rivoluzione francese li trovò schierati quasi agli antipodi. Ma ormai il C. attraversava una fase di ripiegamento e ripensamento; e quando nel 1792 plaudì con insolito vigore alle leggi annonarie promulgate da Ferdinando III, non è escluso che vedesse in provvedimenti del genere un mezzo per allontanare un eventuale pericolo rivoluzionario. Negli ultimi anni di vita pubblicò soltanto due Lettere sopra l'apparato per le esequie di Sua Maestà Lodovico I re di Etruria, s. d. [ma 1804], sotto lo pseudonimo di Liberio Tedaldi. Ma le sue carte dimostrano che continuò a lavorare con notevole lucidità fino a poco prima della morte, avvenuta a Cortona il 30 giugno 1810.
La parte più cospicua delle carte del C. (inediti, lettere, appunti ecc.) è a Cortona, nella Biblioteca comunale e nella Bibl. dell'Accademia Etrusca. I due fondi principali di lettere autografe sono tuttavia a Savignano sul Rubicone, Biblioteca comunale, Carte Amaduzzi, cod. n. 8, I e II (quattrocentodieci lettere indirizzate all'Amaduzzi tra il 1765 e il 1792) e a Rimini, Biblioteca comunale, Fondo Gambetti, lettere autografe a Jano Planco (centocinquantaquattro lettere scritte al medico ed erudito Giovanni Bianchi tra il 1748 e il 1757). Le lettere al Lami sono in gran parte pubblicate: alcune inedite si trovano in un gruppo di diciassette lettere del C. conservate nella Marucelliana di Firenze. Nella Bibl. Apost. Vaticana, Ferraioli, ms. 311, è conservato gran parte del materiale usato o parzialmente elaborato per la progettata vita di S. Margherita da Cortona; nella Nazionale di Firenze (Magl., cl. XXVIII, n. 59) una dissertazione inedita del 1777 su alcune iscrizioni antiche trovate sulla costa siriana. Una lettera inedita a G. B. Vermiglioli è a Perugia, Bibl. Augusta, ms. 1510.
Fonti e Bibl.: Fra i mss. di Cortona, Biblioteca comunale e dell'Accademia Etrusca, particolarmente ricchi di notizie sulla vita e l'opera del C. i codici nn. 404, 424, 482, 545, 592, 593, 594, 602. Altre notizie in Notti coritane, II, pp. 196 ss.; VI, pp. 43 s.; IX, pp. 46 ss. Lettere e scritti di vario genere del C. insieme a recensioni di sue opere e notizie sulla sua attività, in Raccolta di opuscoli scientifici e filologici, a cura di A. Calogerà, XXXIX, Venezia 1748, pp. 207-285; Novelle letterarie di Firenze, VI (1745), coll. 326 ss.; VII (1746), coll. 116, 707, 723 s., 759, 772; VIII (1747), coll. 85-91, 101-107, 120 s., 135-138, 164-169, 650; IX (1748), coll. 385, 515-520, 550-554; X (1749), coll. 277, 321-326; XXIII (1762), coll. 116; XXIV (1763), col. 424; n. s., II (1771), coll. 675 ss.; V (1774), coll. 610 ss., 785 s.; XIII (1782), coll. 121 ss.; XIX (1788), coll. 322 s.; XXI (1790), coll. 257 s., 759; XXII (1791), col. 723. Si veda inoltre su di lui: G. B. Vermiglioli, Bibliografia storico-perugina, Perugia 1823, pp. 57 s.; G. Muzi, Memorie civili di Città di Castello, Città di Castello 1844, I, p. 4; G. Mancini, I manoscritti della Libreria del Comune e dell'Accademia Etrusca di Cortona, Cortona 1884, pp. 154, 172, 181, 183, 191; A. Della Cella, Cortona antica..., Cortona 1900, pp. 45, 60; G. Mancini, Contr. dei Cortonesi alla coltura italiana, Firenze 1922, pp. 151 s., 182; Accademia etrusca di Cortona, Secondo annuario, Roma 1936, p. 119; G. Gasperoni, Settecento italiano (contr. alla storia della cultura), I, L'ab. G. C. Amaduzzi, Padova 1941, ad Indicem; M. Parenti, Diz. di luoghi di stampa falsi, inventati e supposti, Firenze 1951, p. 29; P. Berselli Ambri, L'opera di Montesquieu nel Settecento italiano, Firenze 1960, pp. 11, 57 s., 63. G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, I, pp. 104, 106; II, p. 162; V, p. 293; X, p. 118; XX, pp. 20, 40, 45 s., 48, 0 ss., 63, 79, 88.