CISOTTI, Lodovico
Nato a Vicenza il 27 ag. 1839 in una famiglia della nobiltà, da Francesco e da Maddalena Cerato, fu volontario nella seconda guerra d'indipendenza. Alla fine delle ostilità, passato, nell'agosto del '59, il suo reggimento - il 21º - con la brigata Bologna al servizio del governo delle Romagne, il C. intraprese la carriera militare; alla fine del mese era caporale effettivo, sergente il mese successivo, e nel dicembre entrava come allievo nel primo corso "italiano" della allora riformata Scuola militare di Modena, uscendone l'aprile '60 sottotenente del 38º reggimento. Comandato nell'ottobre 1862 alla Scuola militare di Modena, e confermato l'anno dopo professore aggiunto per l'arte militare, vi rimase fino al settembre '65, quando raggiunse col grado di luogotenente il 70ºreggimento fanteria. Prese poi parte alla guerra del 1866.
Dimessosi nel novembre 1870, nel maggio del '72 riprese servizio come luogotenente della milizia provinciale nel 38º distretto militare (Potenza) rimanendovi (eccetto il periodo aprile-giugno '73 presso il distretto di Roma) fino al dicembre del '74, quando, promosso capitano, passò nelle compagnie alpine di milizia mobile del distretto militare di Treviso. Continuò la carriera nella milizia mobile, presso il distretto di Perugia e dal '78 di Roma. Alla fine del '94 passava nella riserva. Tenente colonnello nella milizia territoriale (nel 5º reggimento alpini) nel '95, colonnello nel 1900, cessò dal servizio nel 1907.
Morì a Roma il 27 febbr. 1912.
Il C. ha avuto un posto importante nel giornalismo e nella pubblicistica militare dei primi decenni del Regno. E. De Amicis, C. Corsi, L. Chiala, N. Marselli e altri, sotto gli auspici del ministro della Guerra, fondavano L'Italia militare - Giornale delle armi di terra e di mare, ilcui primo numero uscì il 2 ag. 1862 a Torino, per trasferirsi a Firenze dal n. 471 del 22 ag. 1865 al n. 1386 del 29 giugno 1871, e poi a Roma. Trisettimanale, diretto da L. Chiala, poi dal 1866 dal De Amicis ed infine, dal 1871 alla cessazione nel 1886, dallo stesso C., il periodico ebbe particolare importanza, come diffusore di una più aperta e moderna cultura militare e di uno spirito unitario e nazionale nel nuovo esercito, corne informatore delle decisioni governative e ministeriali, specialmente offrendo un mezzo di espressione diretta e d. libero dibattito all'ambiente militare, affiancandosi come organo ufficioso alla ufficiale Rivista militare che Carlo e Luigi Mezzacapo avevano fondato a Torino nel 1856 modellandola sulla Antologia militare napoletana. Nel periodico furono trattati non solo temi attinenti alle forze armate nazionali, come questioni del regolamento, dell'organizzazione dell'esercito, di legislazione militare, notizie statistiche e sulla dislocazione dei vari corpi, l'esposizione del bilancio del ministero della Guerra, problemi tattici e di difesa, e quelli relativi alla produzione di materiale bellico con riferimenti alla industria nazionale; ma vi trovarono attenzione anche le notizie riguardanti la vita interna di paesi stranieri, il quadro delle azioni belliche contemporanee, e in particolare la organizzazione e formazione degli eserciti esteri comprese grandi manovre e armamenti. La decisione di sospendere il periodico fu presa dal ministro della Guerra: non si rteneva più necessaria l'esistenza di un organo ufficioso, potendo i problemi militari essere discussi ormai direttamente dalla stampa politica.
Dal 1º genn. 1889 il C. fu incaricato dal ministero di "reggere l'ufficio di direzione e redazione" della Rivista militare italiana, che, dopo essere stata trasferita a Firenze dal 1868 al 1871, era passata a Roma. Rimase alla sua guida fino al 1904, senza portare modifiche sostanziali alla struttura, eccetto un tentativo di passare dalla periodicità mensile a quella quindicinale, proponendo un arnpliamento rientrato tuttavia in seguito per l'eccessiva suddivisione degli argomenti. Questi risultarono comunque molto vari ed ampi, sempre riguardando la organizzazione e legislazione militare e le relative riforme, il reclutamento e i nuovi armamenti, le azioni belliche e, tra queste, le imprese coloniali.
Con articoli su l'Italia militare, la Rivista militare italiana e la Nuova Antologia, il C. partecipò ai dibattiti sulle questioni militari più accese dei tre ultimi decenni del secolo XIX, quando le forze armate italiane maturavano una loro fisionomia unitaria, studiavano un aggiornamento nelle moderne scienze di guerra, recupeiavano una loro connotazione in ambito europeo. Affrontò in particolare i dibattiti sul reclutamento e la mobilitazione, la formazione degli ufficiali, la guardia nazionale, la situazione europea e il ruolo dell'Italia, i rapporti tra esercito e marina, le Società del tiro a segno, il collegamente tra istituzioni militari ed industria privata - la cui collaborazione era considerata dal C. altamente positiva: cfr. ad esempio Una società per imprese e costruzioni pubbliche, in L'Italia militare, XXI (1882), nn. 25, 27, 3538, 40, 41, 45 -, o argomenti di politica estera come il caso Francia-Marocco, ecc. Sul problema della guardia nazionale (La guardia nazionale, in Riv. mil. ital., XIII [1868], 3, pp. 173-200, 249-285) - molto dibattuto dopo l'Unità e soprattutto dopo le prove negative durante la guerra del 1866 -, partendo da una analisi storica e politica della formazione di quel corpo al tempo della Rivoluzione francese e del suo impiego in Francia, il C. ne esaminava l'inserimento nell'ordinamento dello Stato piemontese, e concludeva che questo fece propria una istituzione nata da circostanze storiche particolari e irripetibili, perciò non necessaria al Piemonte, dal quale era confluita poi nello Stato italiano. Contro chi auspicava una riforma che conservasse tuttavia alla guardia nazionale il suo carattere di milizia comunale indipendente dall'organizzazione militare, il C. ne affermava l'inutilità, ovvero - esistendo troppe opposizioni al suo scioglimento - che essa "non [era] necessaria ma [poteva] tuttavia essere utile se bene organizzata", p. 273), con ciò intendendo che doveva essere posta alle dipendenze del ministero della Guerra, essere o mobile" e formare l'ultima riserva dell'esercito nazionale in tempo di guerra, mentre il suo impiego risultava pericolose in momenti di agitazioni politiche interne.
Costante attenzione il C. ebbe per la posizione militare dell'Italia nel quadro internazionale, ed europeo in particolare, in relazione al clima di tensione esistente in Europa dopo la guerra del 1866, cui si aggiunsero il sentimento di rivalsa della Francia nei confronti della Germania, e il nascente imperialismo, Nel 1871 sulla Nuova Antologia (La pace armata e l'esercito italiano, agosto 1875, pp. 911-925) conduceva una dettagliata analisi della forza militare delle potenze europee e dei relativi bilanci di guerra, e definiva la o pace armata" come una "grave causa di malessere per tutti", sia per le potenze maggiori sia per quelle minori come l'Italia, accintasi solo dopo il 1870 ad organizzare un esercito a scopo puramente difensivo e secondo le sue possibilità economiche. Il C. comunque considerava le spese militari come un "obbligo" irrecusabile per l'Italia, pur pienamente consapevole dei rischi e delle conseguenze soprattutto economiche causate dal clima di tensione: "la pace armata si impone come una necessità, sebbene abbia come conseguenza uno sperpero di ricchezze, uno sviamento di capitali da un loro impiego più proficuo, un pregiudizio continuo alla produzione", e porterà "o all'aggravarsi della questione economica fino al punto da trasformarsi in una grande questione sociale, o, inevitabilmente, alla guerra" (p. 295). Ancora alla fine degli anni '80 (L'Europa militare durante l'anno 1888, in Riv. mil. ital., XXXIV [1889], 1, pp. 5-33; Le armi in Europa, in Nuova Antologia, 16 marzo 1889, pp. 278-287), e di fronte. al nuovo complesso dibattito se mantenere l'esercito organizzato in dodici corpi d'armata o giungere ad una riduzione per far fronte alle difficoltà economiche, il C. si schierava tra gli strenui difensori del prestigio dell'esercito e dell'esercito-numero contro coloro che vedevano possibile una diminuzione delle forze, ritenendo la conservazione di quell'assetto indispensabile alla difesa della nazione. Motivava la sua posizione col pericolo per l'Italia di essere trascinata in un grave conflitto europeo, anche dichiarandosi essa neutrale, a causa della sua ubicazione in Europa, da ciò derivando la necessità di conservare il posto raggiunto tra Ie potenze europee. La soluzione prospettata alle obiezioni di natura economica rivela nel C. un atteggiamento totalmente negativo nei confronti delle imprese coloniali: nel clima di economie necessarie, potevano trarsi vantaggi "non già toccando la parte vitale dell'esercito, bensì risecando da quel mostro divoratore di uomini e di denaro che è l'Africa" (Learmi in Europa, p. 286).
Con una ampia esposizione della situazione dell'esercito italiano dopo l'entrata in vigore dell'ordinamento Ricotti, che tra l'altro modificava la legge del 1854 sul reclutamento, rendendo realmente obbligatorio per tutti il servizio militare e riducendo la ferma da cinque a tre anni (Statomilitare dell'Italia nell'anno 1875, in Nuova Antologia, nov. 1875, pp. 538-564; dic. 1875, pp. 745-768), il C. esaminava tutti gli aspetti e le innovazioni apportate, difendendo il principio del reclutamento nazionale a quadri misti, per la particolare situazione dell'Italia. Compiva in quest'occasione, in parallelo col concetto di "pace armata", il recupero del concetto di "nazione armata", ostico alla istituzione militare. Il concetto era interpretato dal C. quale preparazione in tempo di pace di tutta la nazione ad una eventuale guerra per la difesa della patria, essendo ormai le guerre - come scriverà anche in altri articoli - lotte di popoli armati contro altri popoli armati. Nell'ambito di questa concezione rientrava il vivo interesse del C. Per l'istituto del Tiro a segno nazionale - del quale fu fervido propugnatore e diffusore -, considerato essenziale per mantenere in esercizio i militari in congedo, preparare alla vita militare, creare il sentimento patriottico nei giovani. I centri di tiro, insieme alle scuole di ginnastica - riguardo alle quali il C. fece parte nel 1880 di una commissione presieduta dal Pelloux che ne doveva stabilire i nuovi programmi -, avrebbero dovuto essere posti, come di fatto avvenne, direttamente alle dipendenze del ministero della Guerra ed incrementati per dare vita ad una diffusa preparazione militare (La ginnastica e il Tiro a segno nazionale rispetto alla educazione fisica degli Italiani, in Nuova Antologia, 16 marzo 1890, pp. 265-284; L'educazione fisica nazionale e la preparazione alla guerra,ibid., 1º dic. 1892, pp. 518-535; La legge sul Tiro a segno nazionale - La tassa militare, in Riv. mil. ital., XLVIII [1903], pp. 1069-1102). Nel 1869 il C. era stato nominato ispettore del Tiro a segno nazionale per la provincia di Roma, e fu confermato nel 1899 e nel 1901.
Vanno infine ricordate la direzione, insieme a F. Salvati, M. Bassi, G. Santanera e C. Lessona, della "Biblioteca minima militare popolare" edita a Roma, e alcune biografie, tra cui quella del colonnello C. Fabris (in Riv. mil. ital., XLVII [1902], 4, pp. 2093-2130) e di Sua Altezza Reale Amedeo Ferdinando Maria duca d'Aosta (ibid., XXXV [1890], 1, pp. 165-251) in collab. con C. Manfredi.
Si ricordano due articoli del C.: Cinquantesimo anniversario della Riv. mil. ital. Sguardo storico retrospettivo e ricordi, in Riv. mil. ital., LI (1906), numero unico; Giornalismo militare,ibid., LIII (1908), pp. 2099-2103.
Fonti e Bibl.: Pochi, né esatti, i cenni biogr. sul C., per i quali v. Almanacco ital., Firenze 1913, p. 655; Enc. milit., III, Milano 1929, p. 66; Diz. del Risorg. naz., II, ibid. 1930, p. 703. Fondamentale lo Stato di servizio, presso il ministero della Difesa, Ufficio stor. dello Stato Maggiore d. Esercito, e, fondamentali per le vicende del C. e dei giornali da lui diretti, gli articoli del C. stesso sopra cit. (Cinquantesimo anniversario... e Giornalismo militare...). Di scarsa utilità la citazione del C., spesso sporadica, in lavori di storia militare. Mancano buoni studi recenti sul giornalismo e la pubblicistica militare nel primo trentennio di costruzione dell'esercito, specie relativi alla sua formazione culturale non tanto tecnica quanto unitaria e nazionale. Si veda anche P. G. Franzoni, Icento anni della Riv. milit., in Riv. milit. ital., XCIX (1976), pp. 43, 49 s.