Andalò, Loderingo degli
, Nato da nobile famiglia bolognese di parte ghibellina circa il 1210, nel 1239 era tra i prigionieri bolognesi caduti nelle mani di Federico II. Ricoprì la carica di podestà in varie città dell'Emilia e della Toscana: nel 1251 a Modena; nel 1252 a Siena, e, caduto prigioniero in uno scontro fra Senesi e Fiorentini a Montalcino, rimase per due anni nelle mani di questi ultimi, i quali poi lo liberarono in seguito al trattato commerciale stretto con Bologna il 27 aprile 1254; nello stesso anno era a Faenza; nel 1258 a Reggio; nel 1262 di nuovo a Faenza. Nel 1263 a Bologna fu associato al podestà Iacopo Tavernieri e due anni dopo, insieme con Catalano di Guido d'Ostia, ebbe a sostituire il podestà Guglielmo da Sesso, che era stato costretto ad abbandonare la carica e la città di Bologna. In quell'ufficio L. e Catalano diedero buona prova col temperare eccessi delle opposte fazioni, col comporre la pace tra Asinelli e Baciocomari e con l'impedire che Bologna venisse attirata nelle lotte dei guelfi toscani. L. e Catalano ressero di nuovo insieme il comune di Bologna nel 1267, ma già l'anno prima, per volontà di Clemente IV, erano stati mandati a Firenze, nel periodo drammatico successivo alla battaglia di Benevento, con il mandato di sostituire al governo del popolo grasso il potere dei guelfi. Il 12 maggio il papa diede ai due l'ordine di recarsi a Firenze, dove essi furono strumenti della politica pontificia: il 27 luglio infatti Clemente IV impose il ritorno degli sbandati guelfi; l'11 novembre scoppiò un tumulto dei ghibellini contro la magistratura dei Trentasei buoni uomini, da poco istituita per riformare il governo della città, e la conseguenza fu la cacciata di Guido Novello, capo dei ghibellini, e dei 500 tedeschi che formavano la sua guardia. I beni dei ghibellini vennero confiscati e venduti, le loro case distrutte e le rovine rimasero ben visibili per molti anni: ch'ancor si pare intorno dal Gardingo (If XXIII 108). La costituzione del governo di parte guelfa, infine, oltre la presenza in Firenze del cappellano del papa Elia Peleti, portò a esautorare i due rettori, i quali erano ancora in città alla fine del 1266, ma poco dopo ne furono allontanati.
L., che era stato in Bologna tra i promotori della confraternita dei Cavalieri della Beata e Gloriosa Vergine Maria, detta dei frati gaudenti, la cui regola venne riconosciuta da Urbano IV nel 1261, nel 1267 si ritirò nel convento di Ronzano, sui contrafforti dell'Appennino prospiciente 'Bologna, dove morì nel 1293. Lì ebbe per compagno anche Guittone d'Arezzo, che a lui indirizzò la canzone Padre de' padri miei e mio messere, nella quale lo elogia di saper sopportare con animo sereno i mali che non ha meritati e gli si raccomanda, inchinandosi a lui come a padre spirituale.
D. accomuna L. alla sorte del suo collega Catalano de' Malavolti (v.), condannandolo fra gl'ipocriti nella sesta bolgia dell'ottavo cerchio (If XXIII 103-108). La colpa attribuita ai due rettori è quella di aver governato in modo subdolo la città durante il loro mandato, e di essere venuti meno al compito di pacificare le opposte fazioni di Firenze. Questa accusa mossa anche da G. Villani (VIII 13) e ripetuta dai commentatori, è confutata dal Salvemini, il quale vede nei due frati gaudenti solo degli strumenti della politica pontificia portati dalla situazione vigente a scontentare tutti, primo il papa.
Bibl. - G. Gozzadini, Cronaca di Ronzano e memorie di L. degli A. frate gaudente, Bologna 1851; id., Delle torri gentilizie di Bologna, ibid. 1857, 77-81; R. Davidsohn, Storia, Il, 81 ss.; G. Salvemini, Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295, Firenze 1960, 205-220; A. Hessel, Geschichte der Stadt Bologna von 1116 bis 1280, Berlino 1910 (cfr. indice dei nomi); F. Torraca, Catalano e L., in Studi danteschi, Napoli 1912; L. Gatto, A. L., in Dizion. biogr. degli Ital. III (1961) 50-52.