ANDALÒ, Loderengo
Bolognese, figlio di Andalò e fratello di Castellano, di Diana e Brancaleone. Nel 1239 l'A. si trovò tra i prigionieri bolognesi caduti nelle mani di Federico II. Nel 1251, a nome dei modenesi che rappresentava con la carica di podestà, si fece incontro a Innocenzo IV arrivato a Genova di ritomo da Lione, richiedendo che agli abitanti di Frignano il papa ingiungesse di obbedire a Modena e non a Bologna. Nel 1252, podestà di Siena, nel corso di un conflitto tra la Repubblica senese e Firenze fu catturato a Montalcino dai fiorentini dei quali rimase prigioniero per due anni.
Profittando di questa situazione, il governo fiorentino, nel 1254, incitò Bologna contro Siena perché Loderengo era ancora prigioniero di guerra senza che i senesi avessero tentato nulla per liberare il loro ex podestà. Per questa ragione Bologna si dichiarò disposta a cacciare da suoi territori tutti i senesi, eccetto gli studenti e alcuni protetti del papa, e il 27 apr. 1254 concluse un trattato commerciale con la Repubblica fiorentina in cambio del quale quest'ultima permise a Loderengo di ritornare in patria. In quello stesso anno egli divenne podestà di Faenza a nome della fazione accarisia, insieme con il conte Prendiparte, podestà per la parte guelfa manfredea. Nel 1258 Loderengo fu eletto podestà di Reggio. Nell'estate di quell'anno partecipò, insieme con il fratello Castellano, al tentativo di Manfredi di portare la guerra contro Firenze. Loderengo raccolse un esercito, ma il tentativo fallì, perché, giunti ai confini dei distretto fiorentino e venuti a conoscenza della vera ragione per cui erano stati reclutati, i soldati si rifiutarono di proseguire. Nel 1261 era stata concessa da Urbano IV la regola ai Cavalieri della Beata e Gloriosa Vergine Maria, sorta di confraternita che aveva avuto tra i suoi promotori, nella città di Bologna, l'Andalò.
Per quanto nelle intenzioni i "cavalieri" avrebbero dovuto condurre vita esemplare e difendere umili e bisognosi, essi divennero, nei piani di Urbano IV, uno strumento politico, prima ancora di scadere dal piano morale cui ambivano per meritare il nome di "rati gaudenti".
Nel 1262 Loderengo fu nuovamente podestà a Faenza. Nel 1265, in seguito ai torbidi scoppiati in Bologna, gli furono affidati i pieni poteri della città. Egli, con l'aiuto del collega Catalano di Guido d'Ostia, fece buona prova nel gravoso incarico di mantenere l'equilibrio tra i partiti dei Geremei e, dei Lambertazzi e di conservare la pace nella città, impedendo che Bologna, per opera dei guelfi fiorentini, fosse trascinata nelle lotte interne di Firenze, Pistoia, Prato. Fu merito suo e di Catalano di Guido di Ostia (non Malavolti, cfr. Davidsohn p. 819, n. 3) il componimento della pace tra Asinelli e Baciacomari. Nel 1266 l'A. era a Firenze. La sua presenza in questa città, insieme con quella dell'altro "frate gaudente" Catalano, non fu, come sulla scorta del Villani han ripetuto numerosi storici, il risultato di un invito da parte dei Fiorentini e ciò ha ampiamente e acutamente dimostrato il Salvemini (pp. 282 ss.). Essa fu imposta da Clemente IV, che nel collasso generale del ghibellinismo italiano succeduto alla battaglia di Benevento vide la possibilità - che era conditio sine qua non per la sicurezza dello stato pontificio e per l'Angiò - di eliminare ogni influenza ostile in Firenze, senza peraltro avere la parvenza di farlo ed insospettire, con l'aperta e immediata imposizione di elementi guelfi, quel Popolo grasso che, al di fuori del gioco dei partiti, ambiva a dominare la situazione politica. All'uopo vennero scelti l'A., ghibellino, e Catalano, guelfo, ai quali Clemente IV il 12 maggio 1266 scriveva che per obbedienza si recassero a Firenze come rettori (per il titolo cfr. Salvemini, p. 283). Dalle successive e insistenti richieste dei due di andarsene e dal diniego di Clemente IV di acconsentire, il Salvemini ha giustamente tratto la conferma della loro strumentalità nel quadro della politica pontificia. Ma proprio perché strumenti i due non potevano impedire che le cose a Firenze si mettesseto, sulle prime, in modo non rispondente ai disegni del papa. Così non impedirono l'accostamento tra Guido Novello e le Arti Maggiori, alle quali furono concessi i diritti perduti a Monteaperti; né poterono, per la tregua formale intervenuta tra i due partiti, appoggiare di fronte alla manovra dei ghibellini, i guelfi, come voleva il papa; il quale in una lettera del 27 luglio aveva imposto il reingresso a Firenze degli sbanditi guelfi, "cum ipsi nullum offenderint..." (Salvemini, p. 286). Ma quando a Firenze ci si rifiutò di far congedare da Guido Novello i cavalieri tedeschi, che erano al suo soldo e di riammettere i guelfi sbanditi, Clemente IV il 18-19 ott. 1266 minacciò la scomunica che indusse il Popolo a cedere alle richieste papali. Cacciati - sempre dal Popolo - Guido Novello e i tedeschi ribellatisi (11 novembre), la funzione dei due rettori fu pressoché esautorata dagli uffici del Capitano del popolo, dei Priori e del Consiglio dei trentasei, nonché dalla presenza dei cappellano del papa Elia Peleti. Ed infatti l'A. e Catalano, pur ancora a Firenze alla fine del dicembre 1266, ne furono allontanati proprio dal Popolo "commosso a voler fare i lor fatti senza signore" (Stefani, p. 52). Dante ricordò l'A. nel XXIII canto dell'Inferno tragli ipocriti, insieme con il suo collega Catalano.
Fonti e Bibl.: G. Villani, Cronica, I, VII, c. 13; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca Fiorentina, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., XXX, I, a cura di N. Rodolico, Introduzione, p. LXXIII e rinvio al testo; Corpus Chronicorum Bononiesium, ibid., XVIII, 2, a cura di A. Sorbelli, pp. 163-164, 167 (specie Cronaca dei Villola); Martène-Durand, Thesaurus Novus Anecdotorum, II, Lutetiae Paris, 1717, coll. 321-22; R. Davidsohn, Storia di Firenze, II, 1, Firenze 1956, pp. 817 ss.; G. Salvemini, Magnati e Popolani in Firenze dal 1280 al 1295, Firenze 1960, cfr. Indice dei nomi; A. Hessel, Geschichte der Stadt Bologna von 1116 bis 1280, Berlin 1910, cfr. Indice dei nomi.