lodare (laudare)
Relativamente poche le forme che figurano nell'opera di D.; la forma latineggiante laud- compare nell'indicativo presente (laudamo) e futuro (lauderà, solo in Rime LVI 10), nell'infinito, nel gerundio (solo nel Fiore) e nel participio passato, che ricorre con valore piuttosto di aggettivo in Cv III X 9 e XI 1, e decisamente in Rime dubbie XVIII 6; in Rime CVI 20 sarebbe aggettivo denotante possibilità (" lodevole ", Contini).
Fondamentalmente " dar lode ", col possibile senso subordinato di " approvare ", " esprimere un apprezzamento positivo ", opposto a ‛ biasimare ', ‛ vituperare ', ai quali termini è spesso collegato per ossimoro: parlare d'alcuno non si può che il parladore non lodi o biasimi quelli di cui elli parla (Cv I II 3); dico che peggio sta biasimare che lodare, avvegna che l'uno e l'altro non sia da fare (II 4); villania fa chi loda o chi biasima dinanzi al viso alcuno (Il 11); in uso anche riflessivo: colpa di lodarsi o di biasimare (§ 11); v. gli esempi affini di Rime XLII 4, XLIV 7, Cv I II 7 (quattro volte), III IV 5 e 7 (due volte), X 9 (due volte: una è participio passato con valore attributivo, la persona laudata, come in XI 1), Fiore CXCVII 14, Detto 442.
In altri luoghi manifesta un rapporto più sensibile con valori morali, come in Rime LXXXIII 83 s'ell'è in cavalier lodata, / sarà mischiata, / causata di più cose, dove si discute sul carattere misto della leggiadria, che non è virtù ma contiene sempre una parte di virtù, naturale oggetto di lode (cfr. i vv. 72-73); o nel medesimo componimento, al v. 132, ma quando gl'incontra / che sua franchezza li conven mostrare, / quivi si fa laudare, dove all'uomo leggiadro si concede di accettare le lodi quando è necessario che egli dimostri la sua franchezza, che è qualità virtuosa; o, ancora, con un'intensità accentuata dalla duplicazione, nell'elogio a Romeo di Villanova, esule immerito: e se 'l mondo sapesse il cor ch'elli ebbe / mendicando sua vita a frusto a frusto, / assai lo loda, e più lo loderebbe (Pd VI 142). Questa connotazione si coglie anche in Rime CVI 20 Dico che bel disdegno / sarebbe in donna, di ragion laudato, / partir beltà da sé per suo commiato (" ragionevolmente lodevole " per il Contini); Rime dubbie XVIII 6, Vn VIII 5 7 ciò che al mondo è da laudare / in gentil donna sovra de l'onore (la bellezza, ma come espressione di virtù interiore), XXI 3 11, Cv III I 12, XII 10, IV VI 10, XVIII 3; Fiore XC 1 È sì vanno lodando la poverta (con tono ironico); Per Tu si va' predicando povertate / e lodila (CVI 2), il Petronio propone " la consigli ". Una particolare attenzione meritano le parole di Beatrice a Virgilio, in If II 74 Quando sarò dinanzi al segnor mio, / di te mi loderò sovente a lui: " lodarsi d'uno ad un altro è, Acquistar grazia ad uno da un altro, contandogli i meriti di colui colla persona che parla "; così il Cesari, sulla cui scia probabilmente il Barbi: " ti acquisterò grazia presso il Signore, ricordandogli i tuoi meriti " e, più decisamente, il Torraca: " premio inestimabile per Virgilio, e forse, contenente un'arcana promessa ". Ma se non come un semplice atto di cortesia (Rossi), l'espressione andrà intesa in un senso meno impegnativo: " dirò le tue lodi " (Scartazzini, e, prima, Tommaseo), con riferimento al valore allegorico dei due personaggi: " Hoc autem significat quod theologia saepe utitur servicio rationis naturalis " (Benvenuto).
Tipicamente dantesca, e indicativa di una fase centrale nello sviluppo della poetica che presiede alle rime, è la correlazione del verbo col sorgere dello ‛ stilo della loda ' (v. LODE; Stil Nuovo; Vita Nuova): quelle parole che lodano la donna mia (Vn XVIII 6); è tanta beatitudine in quelle parole che lodano la mia donna (XVIII 8).
Restiamo invece in un campo di generico omaggio cortese e cavalleresco (nobilitato dalla spiritualità stilnovistica) con le occorrenze di Vn XXVI 6 5 Ella si va, sentendosi laudare (probabile il riferimento alle espressioni Questa non è femmina, anzi è uno de li bellissimi angeli del cielo; Questa è una maraviglia; che benedetto sia lo Segnore, che sì mirabilemente sae adoperare!, citate nella parte prosastica del capitolo); XXVI 8 dico che questa mia donna venne in tanta grazia, che non solamente ella era onorata e laudata, ma per lei erano onorate e laudate molte (significativa la ripresa della coppia sinonimica); Rime LVI 10 Chi mi vedrà / lauderà 'l mio Signore (con sfumatura quasi adorante: " un altro esempio di trasferimento nel tema dell'amore di formule proprie del linguaggio religioso cristiano " [K. Foster-P. Boyde, Dante's Lyric Poetry, Oxford 1967, II 63] ma in direzione aggraziata e leggera). Modi comuni del linguaggio cortese, scopertamente volti a scopi d'immediata soddisfazione, sono quelli di Fiore LVII 5 sì convien che la lingua tua sia presta / a le' lodar suo' occhi e bocca e testa; LVII 9 Così le' dei del tutto andar lodando, e 14, LXV 2.
Normale il passaggio da " dar lode " a " esaltare con lodi, canti e preghiere ", avallato in contesti di carattere religioso da precedenti biblici così numerosi e noti da non richiedere esemplificazioni e del resto quasi sempre richiamati dai moduli danteschi: Lo rege si letificherà in Dio, e saranno lodati tutti quelli che giurano in lui (Cv IV XVI 1: qui è obbligatorio il rimando a Ps. 62, 11, letteralmente tradotto); laudato sia 'l tuo nome e 'l tuo valore (Pg XI 4, corrispondente al " Sanctificetur nomen tuum " del Pater); Finito questo, l'alta corte santa / risonò per le spere un ‛ Dio laudamo ' / ne la melode che là sù si canta (Pd XXIV 113, parallelo al ‛ Te Deum laudamus ' mi parea / udire, di Pg IX 140, l'uno e l'altro passo riecheggianti le parole iniziali del cosiddetto inno ambrosiano); e quindi If VIII 60 Dio ancor ne lodo e ne ringrazio (ma l'intera espressione sconfina qui forse in un modo idiomatico di livello popolare); Pg XX 113, Pd XXV 24.
Vale " compiacersi ", " dichiararsi soddisfatto " di qualcosa, in Rime dubbie XIX 3 e If XXII 84 fe' si lor, che ciascun se ne loda; " approvare ", in Fiore CLVIII 1 I' lodo ben... / che 'l bel valletto... tu sì l'ami.