Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La “rivoluzione commerciale” crea, tra l’Oriente e l’Occidente, un unico vasto mercato, legato per lo più al mare, il cui centro e tramite naturale è la penisola italiana. L’incremento dei traffici del commercio interregionale, l’aumento esponenziale di mercati e la differenziata domanda di merci favorisce la nascita di numerose categorie di produttori che non pensano più al consumo locale ma allo smercio dei loro manufatti verso località anche molto lontane. Rischio e profitto entrano a far parte della mentalità e del sistema economico che si viene affermando.
A seguito dell’espansione dei traffici commerciali aumentano il numero di operatori e la concorrenza. Tale processo favorisce l’affermarsi di una nuova mentalità alla ricerca di soluzioni migliori per effettuare scambi più celeri e ottenere condizioni particolarmente vantaggiose, usufruendo, là dove possibile, di esenzioni fiscali e di privilegi economici e giuridici di vario tipo.
Sul versante delle tecniche commerciali, una serie di invenzioni – la partita doppia, la lettera di cambio e le prime forme di assicurazione marittima –, permette una migliore organizzazione societaria rispondente alle esigenze del commercio marittimo, in primo luogo a quella, assolutamente prioritaria, del frazionamento dei rischi. Tra le forme contrattuali predomina, per tutto il Duecento e nei primi anni del Trecento, la commenda o, come era chiamata a Venezia, colleganza.
Altri importanti progressi vengono fatti nel settore della navigazione, specie quella oceanica. I miglioramenti nautici sono determinati dai perfezionamenti delle tecniche di navigazione: iniziano a essere usate nuove attrezzature, come la bussola, i portolani, il timone assiale fissato al dritto di poppa.
L’ago calamitato, già noto alla fine dell’XI secolo, si trasforma in una vera e propria bussola solo verso la fine del XIII secolo: una scatola fissa nella quale l’ago è associato a una rosa dei venti, a sua volta divisa in riquadri.
Con l’invenzione della bussola si ha come conseguenza immediata e pratica l’incremento della navigazione mediterranea anche nei mesi invernali e una maggiore sicurezza dei viaggi per l’Inghilterra e i Paesi Bassi. In questo senso i navigatori vengono aiutati dall’uso dei portolani, che contengono l’accurata descrizione delle coste, dei porti e dei ripari utili, e delle tavole di martelogio, grazie alle quali si può calcolare la risultante rettilinea di una serie di percorsi a zig zag. Il calcolo delle distanze e delle direzioni è la maggiore preoccupazione; la prima carta, detta pisana, è elaborata nel 1275 con l’intento di fornire i dati indispensabili per la nuova tecnica di navigazione.
Il timone posizionato sulla linea centrale della nave si diffonde dapprima nel Mare del Nord ed è poi perfezionato nel Baltico; negli ultimi decenni del XIII secolo si trova utilizzato nella Spagna Cantabrica mentre sulle navi che solcano il Mediterraneo viene introdotto solo nel XIV secolo. Discorde sull’importanza di questa ideazione è lo storico Frederic Lane che mette in discussione l’effettiva superiorità del nuovo tipo di timone, sostitutivo delle due grandi pale adoperate in precedenza attraverso un sistema molto perfezionato di pilotaggio (Frederic Lane, Storia di Venezia, 1978).
L’adozione della vela quadra, tipica delle imbarcazioni nordiche, nel Mediterraneo permette un notevole risparmio di lavoro. La vela quadra, infatti, può essere volta al vento con estrema facilità, al contrario della vela latina, di forma triangolare, che richiede operazioni faticose e pericolose.
Comunque all’insieme di novità, introdotte nella navigazione, e, indubbiamente facilitato dalla diffusione di strumentazioni più funzionali, si aggiunge l’impiego di nuovi tipi di vascelli, quali la cocca, la galera, il galeone.
Le imbarcazioni in uso nel Mediterraneo sono fondamentalmente di due tipi: la galera e il veliero.
La galera, o galea, nave lunga, sottile e bassa, procede a propulsione prevalentemente umana, ma possiede anche le vele. La forma permette di guadagnare velocità ma, restringendo la stazza, la nave viene a possedere una ridotta capacità di carico. Nondimeno viene utilizzata nei viaggi commerciali in quanto facilmente difendibile. Nelle galere i banchi sono disposti su di un unico ordine, a file di banco per ogni lato, al centro uno stretto corridoio. Nel corso del XIII secolo sono due i rematori per ogni banco ma alla fine dello stesso secolo, con l’avvento di galere di dimensioni maggiori, vengono sistemati tre rematori per ogni banco.
Diversamente i velieri, caravelle e galeoni, navi tondeggianti, panciute e alte sul mare, sono a sola propulsione eolica. Compaiono all’inizio del XIII secolo, hanno dimensioni maggiori con due o tre ponti, dotati di un castello di poppa e uno di prua e una coffa da combattimento. I galeoni, simili alla naus portoghese, più largo di baglio, hanno una maggiore capacità di carico a fronte di una minore velocità (Carlo M. Cipolla, Guns, Sails and Empires, 1966).
Anche la cocca, d’origine nordica, apparsa nel Mediterraneo nella prima metà del XIV secolo, è un’imbarcazione di grandi dimensioni, tondeggiante e alta, con velatura quadra.
In questo periodo viene organizzato in maniera sistematica il sistema delle mude sia veneziane sia genovesi. Si tratta della navigazione effettuata in convogli di galere adibite al trasporto delle merci che per motivi di sicurezza viaggiano armate o perlomeno scortate da navi armate. La partenza periodica ha date fisse e scali prestabiliti; mete principali sono Costantinopoli, Cipro, la Siria, l’Egitto, l’Inghilterra e le Fiandre. Salvo congiunture eccezionali, le mude partono due volte l’anno: a Venezia nel mese di febbraio per tornare all’inizio dell’estate; la seconda muda tra luglio e agosto con rientro per le festività natalizie. Naturalmente le date variano da regione a regione e secondo il tipo di imbarcazione. Da calcoli effettuati da Gino Luzzatto, questi servizi di linea nel Duecento trasportano complessivamente dalle 3000 alle 5000 tonnellate di merci e, nel Trecento, con l’aumento della portata delle navi, da più di 7000 alle 10 mila tonnellate. Tali cifre possono aumentare considerevolmente se, accanto alle mude regolari, si considera “tutto un complesso di attività marinare, che non rientravano in alcun modo nel quadro di una navigazione di linea organizzata e disciplinata dallo Stato” (Gino Luzzato, Storia economica di Venezia dall’XI al XVI secolo, 1961).
Alle galee a remi, dunque, a propulsione prevalentemente umana, più adatte per la navigazione mediterranea e costiera, si sostituiscono i galeoni, dotati di numerosi alberi e attrezzati con vele quadrate e triangolari, con timoni posteriori centrali in grado di risalire la direzione stessa del vento navigando di bolina. Le navi diventano più grandi e robuste, in grado di trasportare una quantità maggiore di merci oltre che di uomini. Sono le navi che ben presto si trasformano nel principale strumento di guerra per le conquiste coloniali.
Nella storia della colonizzazione i primi momenti sono i meno conosciuti. Le Canarie, le Isole Fortunate di Tolomeo, figurano sulle carte e i portolani, almeno dal Portolano mediceo del 1351.
Sembra che dal 1380, ossia da quando il re dimora a Siviglia, si sia avviata l’esplorazione o la conquista di una parte dell’arcipelago delle Isole Fortunate, presto chiamate Canarie “e i baschi e gli andalusi armano delle navi per conquistarle o commerciarvi in vista di buoni profitti”, secondo le parole di Diego Ortiz de Zuniga (citato da Enrique Otte, Los Sopranis y los Lugo, in “II Coloquio de Historia Canario-Americana - 1977”). Queste prime scoperte o “riscoperte”, sono attribuite da Jacques Heers al considerevole aumento della domanda di prodotti tintori, soprattutto nel corso del XIII secolo, per soddisfare la domanda di tessuti di lusso, di alta qualità, che, fra l’altro, alimenta le grandi correnti di esportazione anche verso l’Oriente e l’Africa del Nord; dunque per il bisogno di materie coloranti provenienti dalle lontane Indie (Jacques Heers, Les produits tinctoriaux et l’exploitation des îles atlantiques au Xve siècle, in “Oriente e Occidente tra Medioevo ed Età Moderna”, 1997).
L’esplorazione e la conquista di nuove terre avviene per tappe e modalità ancora poco indagate per il periodo più antico. Spinti dal desiderio di gloria, dalla sete di avventura o, con più probabilità, dalla volontà di trovare nuove rotte commerciali, i navigatori affrontano l’Atlantico ancora sconosciuto e temuto. È nel maggio del 1291 che Ugolino e Guido Vivaldi partono con due galee intenzionati a superare le Colonne d’Ercole per giungere fino alle Regioni d’India attraverso l’Oceano (ad partes Indiae per mare Oceanum). Nel momento in cui Venezia incrementa il commercio delle spezie attraverso il Mar Rosso, i due fratelli genovesi cercano una via alternativa per l’India passando da Gibilterra. La spedizione ha chiari intenti commerciali sia che intendesse arrivare in India oppure nelle regioni meridionali dell’Africa dalle quali proveniva l’oro. Nulla si sa di quella spedizione diretta a navigare lungo il tratto costiero che fronteggia l’arcipelago delle Canarie, allora sconosciuto. Qualche anno dopo, nel 1312, un altro genovese, Lanzerotto Malocello, scopre una delle isole Canarie, che porta il suo nome. Anonimi rimangono invece gli esploratori ai quali si deve la scoperta delle isole di Madera (1330) e delle Azzorre (1351).
Sono la punta di iceberg come attestano le notizie sulla presenza di galee genovesi, già anni prima, oltre lo stretto di Gibilterra dirette verso la rotta settentrionale delle Fiandre e dell’Inghilterra, o per brevi discese lungo le coste del Marocco. Queste conquiste, infatti, sono favorite dall’intraprendenza e dalla capacità dei mercanti italiani in cerca di nuovi strumenti e nuove vie per facilitare gli scambi e accrescere i profitti.