Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Con l’espressione sperimentalismo si indica la forte tensione verso la ricerca stilistica che ha attraversato tutto il Novecento. Comunemente associato con la rivoluzione delle avanguardie, a partire dagli anni Cinquanta il termine è stato utilizzato dalla critica per riferirsi anche a quegli scrittori e poeti che hanno sperimentato con le forme e il linguaggio della tradizione: dall’iniziale rinnovamento del genere romanzo operato da Proust e da Joyce, alle innovazioni stilistiche in campo poetico di Pound e Apollinaire, fino alla messa in discussione del linguaggio al centro dell’opera di autori come Celan e Zanzotto.
La poesia: Pound ed Eliot
Thomas Eliot
La terra desolata
Aprile è il più crudele dei mesi. Genera
Lillà dalla terra morta, mescola
Memoria e desiderio, desta
Radici sopite con pioggia della primavera.
L’inverno ci tenne al caldo, coprendo
La terra di neve immemore, nutrendo
Una piccola vita con tuberi secchi.
L’estate ci ha sorpreso sullo Starnbergersee
Con uno scroscio di pioggia;
Noi ci fermammo sotto il colonnato,
E procedemmo in pieno sole, nell’Hofgarten,
E bevemmo caffè, e parlammo per un’ora.
Bin gar keine Russin, stamm’ aus Litauen,
echt deutsch. E quando eravamo bambini
E stavamo dall’arciduca, mio cugino,
Lui mi condusse in slitta,
E presi uno spavento, Maria,
Mi diceva, tieniti forte, Maria.
E ci lanciammo giù. Sulle montagne,
Là ci si sente liberi.
Leggo quasi tutta la notte,
E d’inverno me ne vado nel sud.
[...]
Città irreale,
Sotto la nebbia scura di un’alba d’inverno,
Una folla fluiva su London Bridge, tanta,
Che io non avrei mai creduto che morte
tanta n’avesse disfatta. Sospiri
Corti e rari, ne esalavano,
E ognuno andava con gli occhi fissi davanti ai piedi. Fluivano
Su per il colle e giù per King William Street, fino a dove
Saint Mary Woolnoth segnava le ore
Con suono morto sull’ultimo tocco delle nove.
Là vidi uno che conoscevo e lo fermai gridando: "Stetson!"
Tu che eri a Mylae con me sulle navi!
Quel cadavere che l’anno scorso hai piantato in giardino,
Ha cominciato a germogliare? Fiorirà
Quest’anno? Oppure il gelo improvviso
Ne ha danneggiato l’aiuola? Oh, tieni il Cane lontano,
Che è amico dell’uomo, se no con le unghie
Lo metterà allo scoperto! Tu,
Hypocrite lecteur! - mon semblable, - mon frère!
P. Gelli (a cura di), Poesia europea del Novecento, Milano, Skira , 1996
Con il termine sperimentalismo si è soliti indicare la ricerca, da parte di scrittori e artisti, di soluzioni stilistiche capaci di apportare sul piano della scrittura le innovazioni poetiche e concettuali che caratterizzano la propria produzione rispetto ai modi della tradizione. Il termine viene utilizzato per la prima volta in Europa negli anni Cinquanta, quando lo sperimentalismo appare come una condizione necessaria della scrittura. Negli stessi anni il concetto viene fatto proprio dalla critica letteraria ed esteso, nella sua applicazione a ritroso, a tutta la produzione letteraria precedente, diventando così una vera e propria categoria interpretativa del fare letterario. La storia dello sperimentalismo resta comunque saldamente legata alla letteratura del Novecento, in quanto è solo con le cosiddette avanguardie storiche che avviene la rottura definitiva con i modi e le forme della tradizione letteraria.
Influenzato dall’imagismo e dal futurismo Ezra Pound, resta forse la figura più importante per la poesia di ricerca europea e per l’avanguardia anglo-americana. I suoi Cantos, scritti a partire dal 1917 fino alla morte dell’autore, comprendono 109 componimenti divisi in otto sezioni che intendono rappresentare una ideale sintesi della storia dell’umanità, sulla base dell’idea che l’usura sia la radice della decadenza e della corruzione. Lo stile dei Cantos è particolarmente complesso: concepito come un “poema ideografico”, è composto principalmente da citazioni a cui si aggiungono numerosi ideogrammi cinesi. Alla forte componente plurilinguistica si aggiunge una complessa mescolanza di registri che spaziano da quello saggistico a quello lirico, attraverso un continuo accumulo di materiali eterogenei. La sezione più famosa, I Canti pisani, sono uno straordinario esempio della forza torrenziale della poesia poundiana che, attraverso un inventario di materiali tra i più disparati, provoca una vera e propria esplosione dell’io del poeta, che si fonde come metallo all’interno di un crogiolo alchemico. Appare dunque suggestivo che riferendosi a lui con l’espressione dantesca “il miglior fabbro”, l’altro grande maestro della sperimentazione novecentesca, Thomas Stearns Eliot, dedichi proprio a Pound il suo complesso poemetto del 1922, La terra desolata (The Waste Land). La modernità di questa opera, strutturata come una partitura a più voci, risiede nella eterogeneità delle lingue e degli stili impiegati e nell’uso di frammenti accostati secondo un “metodo mitico” – il continuo parallelo tra i temi della storia passata e quelli del presente – in un’abile combinazione polifonica di citazioni che spaziano dalla Bibbia a Dante, i Veda, testi sacri indiani, a Shakespeare. La poesia di Eliot nasce dalla percezione della crisi della civiltà moderna, sentita come irrimediabile: ai suoi occhi il mondo si presenta come un deserto, in cui un’umanità boccheggiante ed esausta ha come unica possibilità di ritrovare un’identità spirituale, la violenza o il sacrificio. Nel capolavoro del 1944, Quattro quartetti (Four Quartets), Eliot sperimenta un tipo di poesia più oggettiva, ricca di immagini dalla forte consistenza visiva e allegorica, con la convinzione che il testo debba costituire il correlativo oggettivo dell’emozione individuale. Quest’idea, insieme al taglio ironico e speculativo dei Quartetti, influenzerà sensibilmente la poetica di Eugenio Montale, tra i grandi innovatori della lirica italiana del Novecento. Se l’ultimo Eliot sembra riuscire nell’approdo a una catarsi collettiva e a una nuova spiritualità, il gallese Dylan Thomas pare invece aver reso abitabile anche l’inospitale deserto della Terra desolata. Convinto che ogni immagine contenga in sé il germe della sua distruzione, Thomas è autore di una poesia di straordinaria forza visionaria costruita attraverso un lessico estremamente ricco che si combina eludendo ogni principio logico per seguire inattese associazioni di immagini e di suoni. Considerato da alcuni “il più grande paradosso del nostro tempo”, la sua fama è legata a un maledettismo intriso di purezza: al centro delle sue numerose raccolte c’è una continua metamorfosi fra morte e nascita, resa attraverso il susseguirsi di immagini allucinate che hanno autorizzato il paragone con la tecnica cinematografica e con l’irrazionalità e la dissociazione del surrealismo. Per il suo radicale sperimentalismo compositivo Thomas è stato considerato da molti un caposcuola, come nel caso dei poeti appartenenti alla neoavanguardia italiana.
Materia del romanzo
Nel campo della narrativa anglosassone gli esponenti più rappresentativi dello sperimentalismo novecentesco sono gli irlandesi James Joyce e Samuel Beckett. A partire dal romanzo che segna una radicale rottura dalla tradizione, Ulisse (Ulysses, 1922), seguito da La veglia di Finnegan (Finnegan’s Wake, 1939), attraverso i suoi personaggi Joyce analizza il disfacimento della coscienza contemporanea: il passato viene ripercorso a ritroso grazie a un processo di automatismo psicologico che annulla i confini spazio-temporali; oggetti e ricordi emergono sfilacciati davanti agli occhi dei personaggi che non tentano nemmeno più di estrapolarne un significato, e dunque una salvezza. Questa scomposizione dell’io è resa grazie alla rivoluzionaria tecnica narrativa del flusso di coscienza e a uno straordinario virtuosismo verbale e stilistico che rende le sue opere di difficile comprensione immediata, simili a un rebus psicologico da risolvere. Spesso considerato solo come drammaturgo, il genio di Samuel Beckett si è mostrato anche nella forma dello sperimentalismo narrativo a partire dal romanzo Murphy (1938), in cui si compie definitivamente la parabola antropologica joyciana e si approda a un completo annullamento dell’io individuale in una visione della condizione umana coincidente con la dispersione e l’insignificanza. A differenza dei personaggi di Joyce, quelli di Beckett hanno abbandonato ogni tipo di ricerca, sono ex uomini che si muovono in un nulla assoluto. Nei romanzi successivi, in particolare Molloy (1951) e Watt (1958), lo scrittore irlandese si rivela un “manierista del nulla”: la scrittura si affanna in descrizioni dettagliate di particolari inutili, in digressioni assurde, combattendo spesso con l’intelligibilità stessa del linguaggio. A continuare la tradizione del romanzo sperimentale anglosassone è stato anche Malcolm Lowry con Sotto il vulcano (Under the Volcano,1947), in cui all’apparente insignificanza della trama fa riscontro un complesso viaggio, che ricomincia continuamente da capo, nel labirinto interiore della memoria. Al tema della memoria è consacrato anche uno dei più grandi capolavori letterari del Novecento, Alla ricerca del tempo perduto (À la recherche du temps perdu) di Marcel Proust, che non solo stravolge il genere tradizionale dell’autobiografia ma la struttura classica del romanzo. Nei sette volumi che compongono l’opera non esiste infatti un vero e proprio intreccio, sostituito da un insieme di temi narrativi che, come i luoghi e i personaggi, emergono sulla pagina per improvvise associazioni memoriali, abbandonati e in seguito approfonditi in un groviglio narrativo che mira a una lenta composizione sinfonica della realtà. Se l’opera di Proust si sviluppa attraverso un complesso gioco di censure e travestimenti, la produzione narrativa di Louis-Ferdinand Céline è caratterizzata da un linguaggio esplicito e spesso violento che nasconde un amaro nichilismo e una continua invettiva contro la realtà. Nei romanzi Viaggio al termine della notte (Voyage au bout de la nuit, 1932) e Morte a credito (Mort à crédit, 1936), Céline presenta l’umanità attraverso personaggi travolti da un destino ostile che sfogano la propria impotenza attraverso una inusitata violenza verbale che arriva, con Bagatelle per un massacro (Bagatelles pour un massacre, 1938) alla rappresentazione cruenta del corpo e della sessualità in un’ottica profondamente antisemita. Lo sperimentalismo di Céline è soprattutto legato alla straordinaria capacità di creare un ritmo e una musicalità difficilmente traducibili in altre lingue, alternando al lessico tipico del parlato espressioni particolarmente raffinate.
Autore controverso, per qualche tempo vicino al movimento surrealista, fu anche George Bataille, autore di saggi filosofici, poesie e romanzi sperimentalisti dalla forte componente pornografica e caratterizzati da una peculiare trasgressione delle norme della scrittura. Tra i più significativi La storia dell’occhio (Histoire de l’oeil, 1928), romanzo breve sulle avventure erotiche di una giovane coppia, che dopo esperienze tragiche, violente e grottesche arriva all’omicidio. La novità narrativa di Bataille è però costituita dal raffinatissimo gioco retorico che allinea e confonde continuamente due serie di metafore, una riferita all’occhio e l’altra agli organi sessuali, fino al loro disvelamento finale.
Scrittore rivalutato solo nella seconda parte del secolo, soprattutto grazie alla mediazione di Michel Foucault, ma sconcertante anticipatore del surrealismo è Raymond Roussel: il suo capolavoro del 1919, Impressioni d’Africa (Impressions d’Afrique), accusato di mettere in scena un linguaggio patologico, costituisce in realtà la messa in scena del labirinto della scrittura, in cui il senso si duplica e moltiplica lasciando il lettore nell’ambiguità, la stessa che pervade – per via del procedere lacunoso delle trame e per il taglio cinematografico delle descrizioni – le opere di un’altra grande sperimentatrice narrativa come Marguerite Duras, mai completamente identificatasi con l’esperienza del nouveau roman ma assai importante per i suoi sviluppi a partire da Moderato cantabile (1958). Altri due scrittori particolarmente interessati allo sperimentalismo narrativo sono Raymond Queneau e Georges Perec: il primo impegnato in prove di meta-letteratura, come in Esercizi di stile (Exercises de style, 1947), in cui racconta il medesimo inconsistente avvenimento in 99 modi diversi, il secondo, più addentro alle problematiche del postmoderno prova a costruire con La vita: istruzioni per l’uso (La vie: mode d’emploi, 1978) un’opera “universale”, il cui atlante e centro è la scacchiera di 99 finestre di un condominio parigino.
Ad aprire verso uno sperimentalismo poetico che liberi dallo spettro del simbolismo il panorama poetico francese è invece lo svizzero Blaise Cendrars che con la pubblicazione di La Pasqua a New York (Pâques à New-York, 1912), considerato “l’incunabolo della poesia moderna”, anticipa la rivoluzione di Guillaume Apollinaire, che, nel 1913, dà alle stampe Alcools. In questa raccolta convivono testi di matrice postsimbolista e poesie costruite sull’accumulazione di materiali letterari eterocliti, prive di punteggiatura ma dalla diffusa musicalità, unita a un uso funambolico delle rime e degli aggettivi. Con i Calligrammi (Calligrammes, 1918), invece, il poeta giunge a un più deciso sperimentalismo, agendo tipograficamente sulla pagina per creare veri e propri ideogrammi lirici: in altri testi Apollinaire mette insieme in maniera casuale segmenti di conversazioni al fine di rendere conto della frammentazione del reale, giungendo a fondere l’ordine prosastico con quello poetico a favore dell’idea di una percezione simultanea, vicina al cubismo. Attraversa quasi tutte le mode e le correnti dello sperimentalismo del secolo anche Jean Cocteau, cineasta, artista, romanziere e poeta di straordinario talento. Il suo stile funambolico e la tendenza a scambiare la realtà con ciò che è più illusorio, rendono conto del suo credersi “una menzogna che dice sempre la verità”, convinto che la parola riveli il proprio senso più vero solo se ci si avventura oltre la sua superficie di specchio che ne nasconde il vero volto. Anche Henri Michaux si farà portavoce degli abissi della coscienza, attraverso una poesia allucinata, scritta spesso sotto l’effetto di stupefacenti: in raccolte come Chi fui (Qui je fus, 1927), Lontano interiore (Lointain intérieur, 1937) e Apparizioni (Apparitions, 1946), Michaux continua la forma del poema in prosa in prima persona sviluppata da Baudelaire, Rimbaud e Lautréamont, lasciando però decifrare al lettore il suo mondo di creature irreali e crudeli. Esclude invece la soggettività Francis Ponge, che, a partire dalla raccolta Il partito preso delle cose (Le Parti pris des choses, 1942) si propone di rifondare un linguaggio aderente alla realtà oggettuale. Compito del poeta è dunque quello di descrivere fenomenologicamente le cose in sé, partendo dalle più insignificanti, senza nessuna componente lirica, per restituire piena realtà al linguaggio.
Sperimentalismo in Italia, Germania e Spagna
In Italia, dopo gli esiti letterari del dopoguerra, dominati dalla poetica del neorealismo, si avverte una profonda esigenza di rinnovamento della forma del testo poetico. Se la rottura definitiva con la tradizione della lirica italiana e con la centralità dell’io è fondamentale nella costituzione della neoavanguardia, ben altre strade percorre il gruppo di intellettuali raccolti intorno alla rivista “Officina”. Franco Fortini, Roberto Roversi e – soprattutto – Pier Paolo Pasolini, figura di intellettuale tra le maggiori del Novecento europeo, teorizzano un necessario neosperimentalismo che denunci l’avvenuto distacco dal reale della poesia ermetica e il suo culto della parola pura. Alla purezza Pasolini contrappone l’impurità, la libertà stilistica, ossia l’abbassamento della poesia a livello della prosa, il recupero del dialetto e delle esperienze prenovecentesche legate a una ricostruita linea realista della poesia italiana, una contaminazione di generi e stili che permetta di adattarsi alle istanze dell’impegno politico e sociale. Conformi a questi nuovi dettami risultano il romanzo Ragazzi di vita (1955), sorta di epica popolare incentrata sul mondo prelogico e premorale delle borgate romane, dove il linguaggio letterario viene completamente contaminato dal gergo dialettale dei personaggi, e la raccolta di poesie Le ceneri di Gramsci (1957), in cui Pasolini cerca di rappresentare la realtà nelle sue contraddizioni attraverso l’attrito tra le forme adottate, il poemetto civile e ragionativo tipicamente ottocentesco unito a misure metriche tradizionali, e l’instabilità del soggetto lirico che si muove incerto tra i resti e i “rifiuti del mondo” che compongono il paesaggio dei quartieri romani.
Critico nei confronti della neoavanguardia ma dedito a un inesausto e coltissimo sperimentalismo è stato anche Andrea Zanzotto, soprattutto a partire dalla raccolta del 1968 La Beltà, nella quale alla frantumazione dell’io, espulso definitivamente dal paesaggio protettivo degli esordi (Dietro il paesaggio, 1951; Vocativo, 1957) corrisponde la deflagrazione del codice linguistico, ridotto a balbettio sillabico, allitterazione ostentata, afasia, in una denuncia della falsità della parola e della storia. A differenza dei novissimi, che assumono la lingua come risultato storicamente sedimentato di una data cultura e ideologia, Zanzotto ricerca un’origine della parola che renda conto del legame perduto tra io e natura: ne sono esempi l’uso del pétel, il linguaggio non intelleggibile utilizzato dai bambini, o del dialetto. Il problema del linguaggio è centrale anche per lo sperimentalismo poetico di Amelia Rosselli ed Emilio Villa, quest’ultimo, tra i poeti più compiutamente sperimentali del secolo, è capace di praticare, in innumerevoli edizioni poetiche pubblicate in edizioni limitate, una eversione linguistica e una contaminazione di toni e di registri di straordinaria originalità. Raffinato cultore di lingue morte, Villa si dedica per tutta la vita al progetto di traduzione della Bibbia e dell’Odissea, trasferendo anche nella sua ricerca poetica, a partire dalla raccolta Oramai (1947), un’inedita commistione di lingue antiche e moderne. Anche la Rosselli, partendo dal suo naturale trilinguismo (italiano, inglese e francese) è autrice di una poesia complessa ed evocativa, giocata su lapsus, paronomasie, allitterazioni e giochi di parole ma anche sul frequente montaggio di citazioni letterarie da autori come Montale e Campana. A partire dalla raccolta del suo esordio, Variazioni belliche (1964), che le vale l’interessamento della neoavanguardia a cui però non si sente mai completamente vicina, si fa evidente il complesso intreccio tra il suo sperimentalismo metrico e gli studi di teoria musicale e di composizione seriale. A differenza di molti poeti della sua generazione, però, lo sperimentalismo della Rosselli non riguarda solo la scrittura ma coinvolge l’intera esistenza (“io sono una che sperimenta con la vita”), tormentata da disturbi che la condurranno al suicidio. In campo narrativo, il narratore italiano più influente sul piano della sperimentazione è Carlo Emilio Gadda, autore di romanzi come La cognizione del dolore (1938-1941) e Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1946-1947), entrambi opere aperte, prive di una conclusione definitiva o comunque partecipi di una incompiutezza programmatica. Gadda si propone di rappresentare e analizzare il disordine del mondo, cercando di individuare una spiegazione razionale alla sua disarmonia, nella consapevolezza che il conoscere comporta sempre il deformare la realtà. Per ovviare alla parzialità di ogni punto di vista, Gadda si propone di ritrarre la molteplicità infinita delle relazioni: ciò lo porta ad assumere la parola come relativa e parziale e ad adottare il pastiche linguistico come cifra privilegiata del suo stile. La crisi dell’identità al centro della sua produzione narrativa si rispecchia allora nel caleidoscopico sfoggio di diversi registri linguistici, che spaziano dal gergo regionale, agli ispanismi, dal lessico desueto ai neologismi, con effetti spesso comici, grotteschi o parodici. Allo sperimentalismo linguistico di Gadda faranno riferimento nel corso del Novecento autori come Pier Paolo Pasolini, Lucio Mastronardi o Luigi Meneghello, ma è forse Stefano D’Arrigo, con il suo poderoso romanzo Horcynus Horca (1975), maniacalmente riscritto per oltre vent’anni, ad aver sviluppato nella maniera più originale il magistero di Gadda. Alla brevità della trama che ruota attorno alla cattura e all’uccisione dell’orca del titolo, D’Arrigo oppone l’invenzione di una nuova lingua, dove convivono discorso diretto e indiretto libero, dialetto siciliano, italiano colto e numerosi neologismi; il tutto contribuisce a creare un grande poema epico sulla metamorfosi tra la vita e la morte.
La narrativa tedesca del Novecento dominata da nomi imponenti come quelli di Thomas Mann, Robert Musil, Franz Kafka, importanti innovatori del genere romanzesco, conosce anche narratori più apertamente sperimentali. È il caso di Alfred Döblin e del suo Berlin Alexanderplatz (1929), un’opera assai influenzata dall’avanguardia espressionista e dalle tecniche di montaggio cinematografico teorizzate da Ejzenstejn. In questo romanzo Döblin fonde insieme brani provenienti da altri testi – in particolare dalla Bibbia – con frammenti di articoli di giornale, testi di canzoni in voga, previsioni del tempo e persino riproduzioni di immagini pubblicitarie al fine di rendere sulla pagina l’ambiente caotico e straniante, a tratti allucinato e violento, della città moderna. Allo shock linguistico provocato da questi accostamenti fa da controcanto la monotonia della vita del protagonista, un ex detenuto che cerca di vivere onestamente ma si ritrova, al pari degli oggetti stipati nella scrittura, ridotto a pura merce. La condizione dell’artista all’interno della crisi storica di inizio secolo fa da sfondo anche al capolavoro di Hermann Broch, La morte di Virgilio (Der Tod des Vergil, 1945), che racconta le ultime ore di vita del poeta latino attraverso un lunghissimo monologo interiore che si snoda nelle quattro parti del libro, dominate dagli elementi acqua, fuoco, terra e aria. La prosa sperimentale di Broch si fonda su un linguaggio profondamente espressivo, sull’alternanza di brani quasi naturalistici o altamente lirici, che provocano la dissoluzione del tessuto narrativo tradizionale. L’effetto è quello di una scrittura musicale che condensa significati e riferimenti culturali attraverso complesse simmetrie interne, amplificazioni e reminiscenze.
Nel secondo dopoguerra si impone anche l’opera narrativa di Günter Grass, autore del romanzo scandalo Il tamburo di latta (Die Blechtrommel, 1959), una rappresentazione al contempo realistica e grottesca della Germania fra le due guerre, condotta attraverso una scrittura dissacrante caratterizzata da una forte invenzione linguistica. Anche i romanzi successivi, come Il rombo (Der Butt, 1979) e La ratta (Die Rattin, 1986), confermano la vena dissacrante e ironica dell’autore, premio Nobel nel 1999. Una critica feroce della società contemporanea condotta attraverso un linguaggio informale che rifiuta la sintassi tradizionale, appartiene anche all’opera di Martin Walser, la cui fama è legata a romanzi come Mezzo tempo (Halbzeit, 1960) e L’unicorno (Das Einhorn, 1966). Uno sperimentalismo più radicale è ravvisabile nei romanzi di Arno Schmidt, basati su un tecnicismo esasperato e bizzarre invenzioni strutturali e verbali, come nel romanzo del 1964, Mucche in mezzo lutto (Kühe in Halbtrauer).
Tra le voci letterarie più rilevanti del Novecento si segnala anche Ingeborg Bachmann, narratrice e poetessa austriaca, impostasi sulla scena internazionale soprattutto per le raccolte di racconti Il trentesimo anno (Das dreissigste Jahr, 1961) e Tre sentieri per il lago (Simultan, 1972). La prosa della Bachmann è caratterizzata da un’inedita ricerca linguistica evidente, ad esempio, nel racconto Simultaneo, in cui la protagonista, un’interprete, tenta di relazionarsi al mondo attraverso un continuo gioco di traduzione e rimandi a lingue differenti non riuscendo mai a sentirsi “a casa” in nessuna di esse. Al problema della lingua come soglia da attraversare è legata anche la produzione poetica del maggior poeta tedesco del Novecento, Paul Celan. La sua opera, che conta più di 600 liriche, si basa sulla consapevolezza che la propria lingua madre – il tedesco – sia stata anche la lingua dell’assassinio di milioni di uomini e che per questo essa sia costretta a nutrirsi di parole come latte nero, cenere, cianuro. Il vocabolario della lingua tedesca, resosi inservibile a esprimere l’angoscia dello sterminio, per le sue implicazioni con l’Olocausto, deve essere trasformato in poesia attraverso la condensazione e lo smembramento delle parole, la creazione di arrischiati neologismi, la sovversione della sintassi e un radicale minimalismo, nella consapevolezza di portarsi al limite della mutezza.
A partire dagli anni Sessanta anche la Spagna, dopo un periodo legato soprattutto al realismo sociale, vede l’emergere di autori più vicini all’ondata sperimentale europea. È il caso di Juan Benet, che rifiutando ogni tipo di imitazione realistica si dedica a un incessante rinnovamento formale, abbandonando gli elementi tradizionali del racconto e creando un vasto ciclo narrativo ambientato in una regione mitica, al centro della sua opera a partire da Volverás a Regíon (1968) fino a Herrumbrosas lanzas (1983). È però con Juan Goytisolo che si assiste a una vera svolta nella narrativa spagnola contemporanea; nel romanzo Segni di identità (Señas de identidad, 1966), la struttura estremamente complessa in cui si presentano tutte le innovazioni possibili (cambi di punto di vista, dissertazioni, monologhi interiori, parodie di depliant turistici e verbali di polizia, inserti in francese, tedesco o inglese, assenza di punteggiatura…) serve a chiarire il vero tema del libro: la ricerca della propria identità del personaggio-autore e insieme la difficile analisi del passato nazionale. Nel 1975 esordisce anche un altro autore destinato a dominare la scena narrativa, Eduardo Mendoza, che, con La verità sul caso Savolta (La verdad sobre el caso Savolta), coniuga magistralmente un intreccio tradizionale con tecniche narrative sperimentali. Il romanzo passa da un inizio in cui i fatti si susseguono in un ordine apparentemente casuale, a un finale lineare proprio del romanzo poliziesco, che vede una ricostruzione quasi scientifica di eventi che prima sembravano inspiegabili. Al genere investigativo appartiene anche il fortunato ciclo di romanzi di Manuel Vázquez Montalbán, incentrati sulla figura dell’investigatore Pepe Carvalho, esempio di come la sperimentazione formale possa raggiungere anche il grande pubblico.