Lo spazio sacro dell'ebraismo
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Analogamente a quanto avviene per gli edifici di culto cristiano delle origini, lo spazio sacro dell’ebraismo fino al V secolo è spesso costituito da un riadattamento di semplici vani di abitazioni private. Solo in Galilea già nel III secolo è possibile documentare sinagoghe con uno specifico impianto basilicale, che si diffonderà più tardi palesando assonanze con la tipologia delle coeve chiese cristiane. Diventa usuale una pianta longitudinale a tre navate con l’arca-armadio contenente la Torah posta a est, spesso in un’abside, in modo che la preghiera dei fedeli sia rivolta a Gerusalemme, mentre di fronte è il pulpito rialzato del lettore. A una sostanziale sobrietà architettonica fa spesso da contrappunto una sontuosa decorazione pittorica o musiva.
Il termine sinagoga è una parola greca che traduce l’ebraico Beit Kenneset e ne conserva il significato di “luogo di assemblea”. Per la storia dello spazio sacro dell’ebraismo nel corso del Medioevo occorre guardare soprattutto all’area siro-palestinese. Prima del V secolo l’ambiente adibito alle celebrazioni religiose, analogamente al luogo di culto cristiano di età precostantiniana, non era contraddistinto da una correlazione precisa tra forme e funzioni, trattandosi di semplici vani compresi in abitazioni private. Un caso particolarmente significativo, in quanto documentato in stretta connessione spaziale con la prima domus ecclesiae a noi nota, è quello di Doura Europos (oggi in Siria), ove il luogo di culto è ricavato in un complesso di modesti locali che circondano una piccola corte. Attorno al 245 la sinagoga è ingrandita, introdotta da un vero atrio, e soprattutto impreziosita dal più antico ciclo pittorico veterotestamentario oggi noto. Alla luce delle prescrizioni rabbiniche è essenziale (specie dopo il 70, anno della distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme) che le sinagoghe siano orientate verso Gerusalemme, che l’ingresso si trovi sul lato opposto e che in corrispondenza dell’ingresso sia collocata la mezuzah, un piccolo contenitore ligneo o metallico in cui è custodita una pergamena su cui sono vergati versi dalla Torah.
La sinagoga riveste anche la funzione di sede per le assemblee, per l’esercizio del potere e per l’istruzione. Tra V ed VIII secolo soprattutto in Palestina e in Galilea, la sinagoga conosce una caratterizzazione tipologica connotata da forti assonanze con l’articolazione delle basiliche paleocristiane. Per la verità sono documentate sinagoghe della Galilea (ad esempio Cafarnao) che già nel II secolo avevano adottato un impianto basilicale tale da far ipotizzare ad alcuni studiosi una diretta influenza sui modi costruttivi delle prime chiese cristiane della regione. La sinagoga è dunque il più delle volte un’aula longitudinale, terminata sul lato orientale da un’ampia abside, in cui trova posto l’arca-armadio (Aron ha Kodesh) che contiene i rotoli della Legge. I testi sono recitati dal lettore su un’apposita piattaforma o su un pulpito (bimah o tevah), ubicato al centro dell’aula o di fronte all’arca. Quest’ultima è illuminata ininterrottamente da una lampada (ner tamid), che si richiama alla Menorah, il candelabro a sette bracci del Tempio di Gerusalemme. Se l’area disponibile lo consente, lo spazio sacro è suddiviso dal tessuto urbano per mezzo di un atrio in forma di vestibolo.
Rigorosa, soprattutto nel pieno Medioevo, è la suddivisione degli spazi degli uomini da quelli destinati alle donne, le quali assistono alle celebrazioni da un matroneo o da un vano sussidiario. La sinagoga – prescrive ancora il Talmud – dev’essere l’edificio più slanciato della città. Grazie alle indagini archeologiche sono note numerose attestazioni di sinagoghe databili tra il III e l’VIII secolo. La datazione più alta va attribuita a un gruppo individuato in Galilea e pare che la più antica in assoluto sia quella di Gerico. Spesso alla sobrietà architettonica fa da contrappunto una sontuosa decorazione musiva, come nel caso della sinagoga di Beit Alfa (517-528).
In Occidente, in area mitteleuropea lo spazio sacro degli ebrei si articola in una o in due navate, con tipologie differenziate di copertura. Le sopravvivenze posteriori al 1000 consentono di verificare l’adeguamento alle forme dell’architettura e alle tecniche costruttive locali. Un caso significativo è la sinagoga di Worms: costruita nel 1034, è originariamente a navata unica; rivitalizzata nel 1175 con un lessico caratteristico dello scadere dell’età romanica, comparabile a quello della locale cattedrale, vede nel 1213 l’annessione di una seconda navata, di tracciato perpendicolare all’aula più antica, riservata alle donne.
Altri esempi significativi a navata gemina si rintracciano a Praga (1280), a Ratisbona (ante 1227) e, allo scadere del Medioevo, a Cracovia (XV sec.). Trova applicazione, comunque, anche l’articolazione ad aula unica (Spira, 1096; Bamberga; Leipnick; Miltenberg). Interessanti le testimonianze spagnole, contraddistinte da un suggestivo connubio tra esigenze liturgiche peculiari e influssi moreschi. Siviglia, nella quale si trovano ben 23 sinagoghe, è uno dei casi di studio più significativi, ma sono caratterizzate da una magniloquente monumentalità anche le sinagoghe di Toledo: la prima (fine XII sec.) ha impianto a cinque navate, suddivise da colonne di sezione ottagonale che sorreggono archi a ferro di cavallo, ed è impreziosita da stucchi e capitelli decorati a intreccio; un apparato decorativo di alta qualità contraddistingue anche la seconda sinagoga di Toledo (El Trànsito): edificata nel 1357, è coperta da un tetto ligneo e dotata di una ricca decorazione musiva e, alle finestre, di transenne in alabastro.