Lo scisma della Chiesa d'Oriente
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le due sedi eminenti della cristianità occidentale e orientale, Roma e Bisanzio, a fronte di un diverso travaglio storico-politico e di trasformazioni istituzionali cogenti, giungono, nell’XI secolo, a un’irreversibile divaricazione cultuale, dottrinale e politica.
La progressiva divaricazione, resa artatamente insanabile, tra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente, è in corrispondenza biunivoca con le rispettive aspirazioni all’instaurazione di una teocrazia che, ovviamente, non poteva non assumere i connotati dell’universalità, e quindi dell’unicità e univocità cultuale. Le circostanze che conducono, nel 1054, alla definitiva rottura tra le due Chiese, e le più o meno pretestuose divergenze dottrinali che ne costituiscono la motivazione ufficiale, trovano una loro genesi nel contrasto già profilatosi due secoli prima tra le due sedi, quando il patriarca Fozio, non riconosciuto dall’energico papa Niccolò I, che rivendicava l’anteriorità e primazia del potere spirituale su quello temporale a fronte della subordinazione pretesa dai discendenti di Carlo Magno (nell’824 era stata emessa la Constitutio Romana, che obbligava il papa a giurare fedeltà all’imperatore prima di essere consacrato), commina una scomunica al papa a motivo della formula del Credo adottata da Roma, che faceva discendere lo Spirito non solo dal Padre, secondo il dettato conciliare niceno (emerso dal concilio del 325), ma dal Padre e dal Figlio (di qui il riferimento al motivo del contendere come alla “disputa del Filioque”). Fozio era intenzionato a rovesciare i rapporti di forza tra l’impero cesaropapista e il patriarcato. Per questo viene deposto, nell’870.
In gioco, però, c’era anche l’estensione dell’influenza orientale sui popoli slavi, allora oggetto di conquista e conversione forzosa sia da parte dei Franchi, che agivano in nome della Chiesa di Roma, sia da parte dell’impero di Bisanzio. Il re bulgaro Boris, infatti, aveva stretto rapporti diplomatici con Roma per evitare di soggiacere al patriarcato costantinopolitano, cui la Chiesa bulgara resta però sottomessa anche dopo l’allontanamento di Fozio, voluto da Basilio I per ricucire i rapporti col papato.
Oltre che sulla questione dogmatica del Filioque, Oriente e Occidente sono divisi anche riguardo all’adozione di pratiche cultuali, modelli liturgici e statuti disciplinari. In particolare, l’Occidente non consente il matrimonio ai clerici, mentre l’Oriente non ammette se non l’uso di azimi, cioè di pani non lievitati, nella celebrazione eucaristica. Lo scisma del 1054 vede protagonista Michele Cerulario, posto sul seggio patriarcale di Bisanzio dal debole Costantino IX Monomaco, nel marzo del 1043. L’imperatore non sa frenare né guidare le forze disgregatrici del regno; pur essendo poco incline alla riflessione speculativa e privo di talento oratorio, si atteggia a mecenate e si circonda di numerosi intellettuali “laicisti”, tra cui spicca Michele Psello, appellato “console dei filosofi”, cronista di questo tormentato periodo e spregiudicato funzionario imperiale, nonché avversario “naturale” e personale del Cerulario. La vittoria sostanziale di quest’ultimo avrebbe provocato un rovesciamento dei rapporti tra impero e patriarcato, scuotendo dal collo della Chiesa il pesante giogo della tutela imperiale e determinando tuttavia il rafforzarsi delle forze centrifughe agenti nelle varie regioni dell’impero.
Il dominio bizantino sull’Italia meridionale, per forza di cose fedele al Papa, infatti, tramonta definitivamente a partire dallo scisma. Significativamente, Psello scrive che il Cerulario aveva dimostrato che “la dignità vescovile prevaleva sulla porpora imperiale; che anzi di essa propria fosse la prerogativa della porpora” (Michele Psello, Epistola a M. Cerulario, a cura di Ugo Criscuolo, Napoli 1973). La responsabilità della rottura, ovviamente, non va ascritta esclusivamente a questo ingombrante personaggio; sono piuttosto i Latini ad amplificare ed enfatizzare i portati politici della frattura, pur riconoscendo quasi ufficialmente, anche decenni dopo lo scisma, l’inesistenza di concrete e insanabili divergenze teologiche e liturgiche.
Sul soglio pontificio siede, all’epoca, Leone IX, che caldeggia, per il tramite del “diplomatico” Argiro, inviso al Cerulario e gradito al Monomaco, un accordo tra il papato e Bisanzio in funzione antinormanna (era stato fatto prigioniero dai Normanni nel 1053) e antigermanica – doveva la sua elezione a Enrico III, ma desiderava emanciparsene, anticipando lo spirito che avrebbe permeato il Dictatus Papae, emesso da Gregorio VII, sul soglio pontificio dal 1073 al 1085).
Cerulario invia una lettera dogmatica assai provocatoria al vescovo di Trani, affinché la trasmetta al papa e a quelli che sdegnosamente egli definisce “i sacerdoti dei Franchi”, chiamati a emendarsi e ad abbracciare l’ortodossia. Nell’intestazione, Cerulario si proclama “patriarca ecumenico”, epiteto inaccettabile da parte del papa, che, nella sua risposta, ribadisce le posizioni già difese nel 1049 al concilio di Reims – nel quale aveva postulato l’esigenza che l’attributo dell’universalità fosse applicato esclusivamente alla Chiesa di Roma – e dichiara illegittima e proterva la pretesa di una perequazione tra Bisanzio e sede romana, vera caput et mater ecclesiarum.
Un’altra lettera viene indirizzata a Costantino IX, blando mediatore tra i due, probabilmente poco conscio della gravità della rottura in atto. Umberto di Moyenmoutier, conte di Silva Candida, intransigente e irruente legato papale, che aveva già tradotto in latino l’epistola del Cerulario per Leone IX, verosimilmente non senza accentuarne i toni polemici e provocatori, è incaricato di recare le missive ai destinatari.
Sarebbe stato saggio tenere un atteggiamento cauto, specie dopo l’improvvisa morte di Leone IX, ma forse proprio perché non più tenuto a render conto al papa, Umberto, sua auctoritate, penetra a Santa Sofia il 16 luglio e depone sull’altare, durante un rito solenne, una bolla di condanna e scomunica per il Cerulario, il quale arguisce che l’anatema non procede dal papa e preferisce evitare atti ritorsivi, interessato piuttosto a trarre profitto dall’indignazione del suo popolo e a rivalersi sui “filosofi” di corte, che vengono costretti alla tonsura e alla conversione forzata.
L’episodio ha invece gravi ripercussioni sul mondo latino. Il nuovo papa Niccolò II, infatti, nel 1059, riconosce al normanno Roberto il Guiscardo la sovranità sulle terre italiche controllate fino a poco tempo prima da Bisanzio (Puglia, Calabria, Sicilia – da strappare ai musulmani – e Capua).
Come al tempo di Teodorico, la Chiesa di Roma preferisce accordarsi con “barbari” di rito latino piuttosto che cedere ai ricatti degli “eretici” di Bisanzio. Nei secoli successivi gli imperatori bizantini cercheranno di comporre la contesa, ma l’orientamento spiccatamente monarchico della Chiesa romana a partire dall’XI secolo avrebbe vanificato ogni tentativo di riavvicinamento, dando modo ai teologi bizantini di formulare accuse di eterodossia a carico dei papi, i quali, con l’accrescimento dei poteri temporali e del patrimonio ecclesiastico, defezionavano patentemente dalle statuizioni conciliari dell’età antica, che avevano previsto una policentrica e collegiale amministrazione della fede cristiana, promanante dalle sedi di Antiochia, Alessandria, Roma, Gerusalemme e Costantinopoli.
Michele Cerulario resta protagonista degli anni successivi allo scisma, che aveva accresciuto in modo inusitato la sua influenza. Dopo aver fomentato un’insurrezione popolare contro Michele VI con il palese scopo di instaurare una sorta di ierocrazia, l’ambizioso patriarca viene indotto a legittimare l’ascesa di Isacco I, che ne comprende la pericolosità e lo fa arrestare (1058), con l’intento di accusarlo formalmente in un sinodo che si sarebbe tenuto in Tracia, lontano da Bisanzio. Cerulario, però, muore improvvisamente. Dalle opere di Psello si evince che Isacco non aveva fatto altro che portare a compimento un piano che da anni la corte andava tramando contro il potente prelato.
Lo scisma, dunque, è da considerarsi come la proiezione, sul piano religioso, del profondo solco storico e ideologico che si era venuto a creare tra le due sedi. Le speranze di sanare la ferita verranno meno del tutto nel 1204, durante la quarta crociata, quando i Veneziani di Enrico Dandolo sottopongono Bisanzio a un traumatico saccheggio e instaurano il cosiddetto “impero latino”.