VALBONA, Lizio
di. – Figlio di un certo Nicola da Valbona e di madre sconosciuta, apparteneva a una cospicua famiglia signorile dell’alta valle del Bidente attestata nel castello di Valbona, non lontano da Bagno di Romagna, nella fascia appenninica dell’attuale provincia di Forlì-Cesena.
I Valbona si erano da tempo affermati alle dipendenze delle vicine abbazie di S. Ellero di Galeata e di S. Maria dell’Isola e detennero lungo la valle del fiume Bidente molti altri castelli e località fino agli inizi del XV secolo, allorché i loro beni passarono ai conti di Battifolle e da questi, in seguito, al Comune di Firenze.
La data di nascita di Lizio è ignota; gli scarsi dati disponibili sono contraddittori. La documentazione faentina lo menziona infatti nel 1242, nel 1248 e nel 1251 (quando si presume dovesse essere, specie nel 1248 e 1251, ormai non più in età infantile o adolescenziale). Nel 1260 figura come domicellus, termine allusivo a rapporti feudo-vassallatici, di Guido Novello dei conti Guidi quando costui ricoprì la carica di podestà di Firenze.
Per tradizioni avite, Valbona appartenne costantemente allo schieramento filopapale o guelfo particolarmente rafforzatosi a partire da metà secolo quando, in coincidenza del tramonto del potere svevo, la legazione di Ottaviano degli Ubaldini affermò le ragioni della Chiesa in Romagna poi ufficializzate dalla conquista della piena sovranità nel 1278.
Come altri signori dell’Appennino romagnolo fra cui si distinse soprattutto il dantesco Ranieri da Calboli, fu, in collegamento anche con i Geremei di Bologna, impegnato a più riprese in funzione antighibellina e la sua azione politica ebbe come acerrimo avversario Guido di Montefeltro, padrone, fra la metà degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, di gran parte della Romagna meridionale. Il nome di Lizio è infatti legato soprattutto al tentativo esperito nel 1277 dalle forze congiunte di guelfi romagnoli, bolognesi e fiorentini di conquistare, con manovra avvolgente dalla pianura e dalla montagna, Forlì, il principale centro di potere di Guido di Montefeltro. L’operazione però non andò a buon fine per i guelfi che, anzi, dovettero fronteggiare un’efficace e dura reazione di Guido, il quale con una serie di azioni a sorpresa riuscì a capovolgere la situazione e a fiaccare i suoi avversari mettendoli addirittura in fuga.
Il momento più drammatico per le forze guelfe fu rappresentato dall’assalto e dalla conquista di Civitella, nell’alta valle del Bidente, difesa da Valbona e dal suo alleato Ranieri da Calboli, da parte di Guido di Montefeltro nel pieno del suo vittorioso contrattacco. Ciò segnò l’inizio del declino della casata.
Secondo il cronista Pietro Cantinelli in quell’infausta occasione Valbona, perdendo un figlio caduto in combattimento ma da lui ritenuto indegno per motivi a noi sconosciuti, commentò la notizia della sua morte senza mostrare alcuna emozione e pregò il messaggero di comunicargli qualcosa di veramente nuovo perché sapere della scomparsa del figlio, al suo cuore già morto da tempo, non era certo una novità. Un atteggiamento che noi potremmo avvertire come di gelido cinismo ma che, contestualizzato secondo i parametri di quella società, potrebbe anche essere fatto risalire soltanto a un duro senso dell’onore familiare.
L’ultima notizia che lo riguardi risale al 9 gennaio 1279, quando fu testimone a Imola alla stipula di una pace tra gli intrinseci e gli extrinseci di Faenza e Imola alla presenza del legato papale Bertoldo Orsini. Non si conosce dunque la data di morte.
Alla scarna biografia di Valbona fa da contraltare una ‘cifra’ letteraria significativa, che presuppone un prestigio e una fama che i pochi dati a disposizione non consentono di spiegare adeguatamente. Con ogni probabilità la sua piccola e appartata corte di Romagna doveva essere considerata un luogo eletto di lepidezza e cortesia cavalleresca.
Dante, per motivi a noi non del tutto chiari, lo colloca nel canto XIV del Purgatorio nella schiera dei romagnoli del «buon tempo antico» assieme ad Arrigo Mainardi, a Pietro Traversari e a Guido di Carpegna. Come fu giustamente notato in passato, Mainardi e Traversari appartenevano a una generazione più lontana nel tempo mentre Valbona visse nell’età immediatamente precedente a Dante, quando ormai, ad avviso del poeta, la splendida età cavalleresca e cortese stava rapidamente declinando.
All’alta stima di Dante per questo protagonista, vissuto al tramonto dei valori cavallereschi, corrisponde una memoria positiva di Valbona anche presso altri autori, che lo presentano come modello di cortesia e di bei costumi. Il Novellino, per esempio, in un brevissimo racconto (novella XLVII, a cura di A. Conte, Roma 2001, pp. 79 s.) ci mostra un Valbona che, all’udire casualmente le parole d’amore profferte da Ranieri da Calboli a sua moglie spregiando il di lei marito, cioè Lizio stesso, con l’appellativo di laido, risponde all’amico-rivale, con inattesa calma e urbanità, che egli faccia pure i fatti suoi, vale a dire la corte a sua moglie, se ciò gli aggrada, ma non guasti i fatti degli altri (cioè i suoi stessi). L’autore del Novellino segnala dunque l’eleganza e la misura di Valbona in una situazione in cui ci si poteva attendere ben altra reazione.
Anche Giovanni Boccaccio evidenzia la sua larghezza d’animo, tessendone le lodi nella novella quarta della quinta giornata del Decameron narrata da Filostrato. Nel racconto, sorprendendo la giovane figlia Caterina in un disinibito colloquio d’amore con un avvenente coetaneo, Valbona non reagisce adirato o punendo la fanciulla ma benedicendo, con rara liberalità e magnanimità, quell’unione rimasta fino ad allora clandestina.
Fonti e Bibl.: Faenza, Biblioteca comunale Manfrediana, Schedario Rossini, Soggetti, Vac-Ves, nn. 042, 044, 045; P. Cantinelli, Chronicon, a cura di F. Torraca, in RIS, XXVIII, 2, Città di Castello 1902, pp. 25, 30; La «Descriptio Romandiole» del card. Anglic. Introduzione e testo, a cura di L Mascanzoni, Bologna s.d. [1985], pp. 220, 303; V. Carrari, Istoria di Romagna, a cura di U. Zaccarini, I, Dall’età preromana all’età di Dante, Ravenna 2007, pp. 360 s.; Patricii Ravennatis Cronica, a cura di L. Mascanzoni, Roma 2015, p. 37.
T. Casini, Dante e la Romagna, in Giornale dantesco, I (1894), pp. 304 s.; F. Torraca, Studi danteschi, Napoli 1912, pp. 90, 149 s.; G. Zaccagnini, Personaggi danteschi, in Giornale dantesco, XXVI (1923), pp. 11-14; F.L. Ravaglia, I signori di Valbona, Forlì 1952; A. Vasina, I Romagnoli fra autonomie cittadine e accentramento papale nell’età di Dante, Firenze 1965, p. 57; J. Larner, The lords of Romagna. Romagnol society and the origins of the signorie, London 1965 (trad. it. Bologna 1972, pp. 90 s.); A. Vasina, V., L. da, in Enciclopedia dantesca, V, Roma 1976, p. 860; Id., I signori di Valbona, in Romagna toscana. Storia e civiltà di una terra di confine, II, a cura di N. Graziani, Firenze 2001, pp. 821 s.; L. Mascanzoni, Bologna e la Romagna nel Novellino, in Studi medievali, s. 3, LII (2011), 1, pp. 176 s., 179, 195-198.