MINGUZZI, Livio
– Di famiglia forlivese, nacque ad Albano Laziale il 9 nov. 1858 da Quinto e da Luigia Colombani. Dopo gli studi liceali a Cesena si iscrisse all’Università di Roma, dove il 9 luglio 1881 si laureò in giurisprudenza, discutendo una tesi «Su l’oppignoramento delle servitù in diritto romano». In seguito si trasferì a Bologna per specializzarsi nel diritto pubblico sotto la guida di Cesare Albicini.
Vinto il concorso a cattedra di diritto costituzionale, il 1° dic. 1887 prese servizio nell’Università di Pavia come professore straordinario della materia. Nel 1891 fu promosso ordinario e chiese, senza successo, il trasferimento alla facoltà giuridica di Bologna, la quale gli preferì Luigi Rossi. Da quello stesso anno fu anche incaricato dell’insegnamento di filosofia del diritto e tenne un corso libero di storia delle costituzioni, sporadicamente denominato storia costituzionale, storia delle costituzioni politiche e diritto pubblico comparato, sociologia e storia delle costituzioni politiche.
Lo svolgimento di questo corso libero e la sua mutevole denominazione offrono elementi utili per cogliere l’impostazione metodologica del Minguzzi. Per un verso, egli mostra una spiccata attenzione alla genesi dell’ordinamento costituzionale dei principali Stati europei e alla loro comparazione attraverso la pratica di una disciplina, quella del diritto pubblico comparato, che solo in seguito avrebbe trovato autonomo riconoscimento accademico. Per altro verso, emerge la lontananza epistemologica del M. dal formalismo giuridico e, di contro, la sua volontà di procedere a un esame diretto delle istituzioni, che affianchi elementi giuridici a erudite ricostruzioni storiche, riflessioni politologiche a speculazioni filosofiche, spunti sociologici a suggestioni riprese dalla psicologia sperimentale. In effetti, il M. non manca di partecipare al dibattito su metodo e obiettivi di ricerca, che animò tra Otto e Novecento la scienza costituzionalistica. Dopo aver postulato la necessaria imperfezione delle istituzioni politiche, egli esorta in particolare ad abbandonare la ricerca della forma perfetta di costituzione e l’astrazione propria del dottrinarismo, auspicando nello studio della politica l’utilizzo del metodo positivo, che riconduce all’analisi delle effettive forme e istituzioni in cui si manifestano e traducono le idee e i concetti politici (Del metodo negli studj politici, in Archivio giuridico, XXXIX [1887], pp. 188-210).
Preside della facoltà di giurisprudenza dal 1899 al 1903, in quest’anno interruppe la quasi trentennale attività didattica all’ateneo pavese perché nominato per un triennio, dietro designazione del ministro della Pubblica Istruzione Nunzio Nasi, direttore della Scuola diplomatico-coloniale annessa alla facoltà giuridica di Roma, dove ricevette anche l’incarico di diritto pubblico comparato e di storia delle costituzioni. La sostituzione al vertice del dicastero di Nasi con V.E. Orlando fu preludio alla fine dell’esperienza romana del M. e alla chiusura della Scuola stessa.
Episodico fu l’impegno politico del Minguzzi. Una testimonianza è offerta dal discorso Agli elettori politici del collegio di Santarcangelo di Romagna (Forlì 1892), che il M. pronunciò il 1° nov. 1892, alla vigilia dello scontro elettorale che lo oppose al deputato uscente Gino Vendemini, avvocato repubblicano, risultato poi vincitore.
Nella sua attività scientifica il M. affronta le principali teoriche del diritto costituzionale, il cui oggetto identifica, sulla scia di L. Casanova e di L. Palma, nello studio della costituzione dei paesi liberi. Eloquente al riguardo è l’individuazione della «nozione scientifica del governo costituzionale» (p. 79) operata nella prolusione letta per l’inaugurazione dell’a.a. 1902-03 (Il contenuto filosofico del regime costituzionale, in Annuario della R. Università di Pavia, 1903, pp. 43-97). Riallacciandosi a G.W. Leibniz e alla scuola del determinismo idealistico, il M. riconduce l’obiettivo del regime costituzionale al «dirigere la volontà collettiva verso gli ideali etici dello Stato «ad optimum recta ratione cogi»». Ciò che lo porta a concludere che «il contenuto del regime costituzionale è il concetto filosofico della libertà» (p. 97). Proprio la riflessione sulla libertà e l’ammirazione per la costituzione inglese, che ne è – secondo il M. – riuscita esplicazione, lambiscono gran parte della sua produzione. Così, la giovanile comparazione tra il governo di gabinetto della monarchia britannica e il governo presidenziale della Repubblica statunitense si risolve nell’argomentazione della superiorità del primo di cui, tra l’altro, il M. confuta una pretesa incompatibilità con la forma repubblicana (Governo di gabinetto e governo presidenziale, Forlì 1885). Alcuni anni più tardi, rielaborando un titolo presentato per la conferma a ordinario, il M. fece uscire La teoria della opinione pubblica nello Stato costituzionale (Torino-Roma 1893), dove l’opinione pubblica è considerata un vero e proprio elemento costitutivo del governo rappresentativo, sebbene essa non possa assumere espressione giuridica.
La stampa a cavaliere della proclamazione dello stato d’assedio a Milano di Il limite delle attività avverse alla costituzione (Milano 1899) conferma l’orizzonte ideale già delineato. Richiamandosi alla coeva riflessione giuspubblicistica tedesca e, in particolare, ai lavori di R. von Mohl e L. von Stein, il M. si cimenta nel difficile tentativo di conciliare la libertà dei cittadini con il diritto dello Stato alla propria conservazione. In particolare, il terzo capitolo ripropone un corposo saggio, ospitato alcuni anni prima nella rivista fondata da Orlando: Alcune osservazioni sul concetto di sovranità, in Archivio di diritto pubblico, II (1892), 1, pp. 5-47. Una chiara avversione al principio di sovranità popolare porta il M. ad attribuire a tutto l’organismo statale la sovranità e ad accoglierne la personificazione fissata da Orlando con la teorizzazione dello Stato-persona. Egli, però, arriva a sostenere l’inutilità del concetto stesso di sovranità, che relega al solo diritto internazionale, ritenendo la definizione di tale concetto una tautologia rispetto a quella di Stato: «Essere Stato ed affermarsi come persona giuridica sono una cosa sola; quindi la sovranità non è distinta, ma incarnata nell’idea dello Stato» (p. 42).
Attribuendo la scarsità di studi di diritto pubblico comparato alla difficoltà di reperire le costituzioni di altri paesi, il M. curò una raccolta di testi costituzionali (Principali costituzioni straniere, raccolte, tradotte ed illustrate storicamente, I, Testo delle costituzioni, Firenze 1899) «ad uso dei cultori del diritto pubblico e degli studenti di giurisprudenza» (così nella Premessa, p. V). Vi sono riunite «le costituzioni dei principali Stati, lasciando in disparte quelle dei paesi che poca o nessuna autorità hanno nella storia e nella vita dei governi liberi», cioè «Stati minori, come Bulgaria, Romania e Serbia» (p. VI), mentre un rilievo speciale nella selezione (che riporta le sole costituzioni federali) è dato alla Prussia, «attesa la grande importanza di tale Stato» (ibid.). Il secondo volume, che avrebbe dovuto illustrare la genesi storica dei singoli testi, non fu pubblicato. Resta l’importanza divulgativa di un manuale agile, se non originale. Da qualche anno, infatti, è in corso di stampa sotto la direzione di Attilio Brunialti la monumentale Biblioteca di scienze politiche e amministrative, che include la traduzione di numerose costituzioni.
Sulle pagine dei Rendiconti dell’Istituto lombardo, di cui il M. fu socio corrispondente dal 1899 e membro effettivo della sezione delle scienze politiche e giuridiche dal 1903, trovano spazio i lavori della maturità, legati all’interpretazione del diritto vigente: dal voto obbligatorio alla eleggibilità femminile, dalla dichiarazione obbligatoria delle candidature alla chiusura della sessione parlamentare, dal limite nel numero dei senatori alla giurisdizione sui ministri secondo lo Statuto.
Il M. morì a Rapallo il 26 ag. 1917.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Roma, Università di Roma, b. 638, ad nomen; Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale istruzione superiore, Div. I, Fascicoli personale dei professori ordinari, II versamento, Prima serie, b. 99, ad nomen; Concorsi a cattedra nelle università, b. 31 (anni 1860-96); Ibid., Università degli studi «La Sapienza», Archivio generale studenti, Registri di carriera scolastica della Facoltà di giurisprudenza, ad nomen; Pavia, Archivio storico dell’Università, Archivio di deposito, Fascicoli personali dei docenti, ad nomen; Corsi di studio, fondazioni, fondi, lasciti, legati, premi, b. 1011, f. 3; Giurisprudenza, Verbali consiglio, ad annum; Facoltà di giurisprudenza, Registri delle lezioni, b. 2367, ff. 3, 6; Milano, Istituto lombardo - Accademia di scienze e lettere, Archivio membri e soci, f. Livio Minguzzi; Necr. in Annuario della R. Università di Pavia, 1922, pp. 375 s. e in P. Del Giudice in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, L (1917), pp. 699 s. Inoltre: G. Cianferotti, Il pensiero di V.E. Orlando e la giuspubblicistica italiana tra Ottocento e Novecento, Milano 1980, ad ind.; P. Costa, Lo Stato immaginario, Milano 1986, ad ind.; G. Cianferotti, Storia della letteratura amministrativistica italiana, I, Milano 1998, ad ind.; L. Borsi, Classe politica e costituzionalismo, Milano 2000, ad ind.; M. Fioravanti, La scienza del diritto pubblico, I, Milano 2001, ad ind.; L. Lacché, Per una teoria costituzionale dell’opinione pubblica. Il dibattito italiano (XIX secolo), in Giornale di storia costituzionale, VI (2003), 2, pp. 277, 279, 282-285, 289; L. Musselli, La facoltà di giurisprudenza di Pavia nel primo secolo dell’Italia unita (1860-1960), in Annali di storia delle Università italiane, VII (2003), pp. 202, 205 s.; F. Lanchester, Pensare lo Stato, Roma-Bari 2004, ad ind.; C. Semino, Modello inglese e modello americano in Luigi Palma, in Culture costituzionali a confronto, a cura di F. Mazzanti Pepe, Genova 2005, pp. 404 s.; E. Rotelli, Le costituzioni di democrazia. Testi 1689-1850, Bologna 2008, pp. 145, 153.
E. Colombo