VIPERESCHI, Livia
– Nacque a Roma il 14 dicembre 1606 nella casa di famiglia in contrada Cesarini da Muzio e da Clarice Aragonia, i quali si sposarono l’11 maggio 1604 nella chiesa di S. Biagio alla Scala d’Aracoeli detta anche de Mercatello ed ebbero tre figli: il primogenito Francesco Maria, che nacque il 31 maggio 1605, Livia, battezzata il 21 dicembre 1606 nella basilica di S. Marco con i nomi Maria Caterina Livia, e Francesca, nata il 26 maggio 1608. Come padrino e madrina al battesimo, Livia ebbe i familiari di casa Antonio Mezzanotte e Giulia Graziosa. Quest’ultima fu la sua aia e quando morì il 14 giugno 1650 venne seppellita nella cappella della SS. Annunziata dei nobili Vipereschi in S. Agostino.
Livia ricevette i primi insegnamenti dai genitori, dalle zie paterne e materne e soprattutto dallo zio monsignore Marcantonio Vipereschi, prelato di corte, abbreviatore di parco maggiore, benefattore del convento dell’Aracoeli, canonico lateranense e capo di casa per volontà di Viperesco Vipereschi (nonno di Livia). Ebbe come guida spirituale il gesuita Virgilio Cepari. Suo padre morì il 12 giugno 1612. Cresimata nella basilica di S. Giovanni in Laterano il 23 giugno 1613 alla presenza della madrina Ortensia Borghese, il 30 agosto 1619 perse anche sua madre.
All’età di tredici anni si ammalò gravemente e durante la convalescenza sentì crescere interiormente il desiderio di rinunciare ai beni terreni: un pensiero confuso, che si rafforzò quando la sorella Francesca, il 4 ottobre 1621, entrò come professa nel monastero benedettino di S. Maria in Campo Marzio con il nome Maria Clarice (vi sarebbe morta il 5 settembre 1683). Il fratello partì per curare gli affari di famiglia e rimasta sola nella casa dei genitori Livia decise di trasferirsi al palazzo delle zie materne Olimpia e Cilla: «una casa assai commoda presso la basilica di Santa Maria Maggiore dirimpetto alla cappella della gran Madre di Dio poco prima eretta da papa Paolo Quinto» (Orsolini, 1717, p. 20).
Avrebbe dovuto sposare il cugino Valerio, figlio di Scipione Vipereschi e di Agnese Massimo, ma il progetto di matrimonio, che era stato preparato in ambito familiare diversi anni prima, tramontò quando il giovane scelto come suo sposo morì inaspettatamente. Padre Cepari la convinse a non entrare in monastero e le suggerì di esercitarsi nelle pratiche di devozione e di dedicarsi alle opere di carità. L’11 giugno 1632 venne a sapere che suo fratello era morto a Corneto. Presa da un profondo turbamento, decise di ritirarsi dal mondo: si tagliò i capelli, depose gli ornamenti e indossò abiti umili. Qualche anno dopo le vennero a mancare anche le zie: Olimpia morì il 3 giugno 1637 a Bracciano, dopo che si era recata ai Bagni di Vicarello per ragioni di salute, e Cilla si spense l’11 luglio 1640.
Quest’ultima frequentò gli ambienti spirituali dell’epoca, come dimostra una lettera di Bartolomeo Tavani, povero dell’ospedale di S. Sisto, mistico e morto con fama di santità il 25 settembre 1637. Livia la fece seppellire nella chiesa del Gesù dove già aveva fatto trasferire i resti della nonna materna Giulia degli Astalli.
Con la scomparsa delle zie restò di nuovo sola. Alla sorella manifestò l’intenzione di voler vivere nell’umiltà, nella purezza e nel disprezzo del mondo. Cominciò a ospitare donne indigenti e cadute nella prostituzione. Durante la peste del 1656-57 si occupò dei malati. Spesso si recò negli ospizi e nelle case di ricovero delle ragazze povere per portare doni e gesti di solidarietà. A S. Maria Maggiore, dove ebbe per confessori i domenicani Vincenzo Candido e Angelo Nuzza, svolse il ruolo di priora della dottrina cristiana nella cappella Cesi dedicata a s. Caterina di Alessandria.
Nel 1659 conobbe il gesuita mantovano Ferdinando Zappaglia, successore di Pietro Gravita nel governo dell’Oratorio della comunione generale, che divenne il suo direttore spirituale e la invitò a partecipare agli esercizi spirituali e a scrivere i diari della sua «illuminazione spirituale»: richiesta che accettò con esitazione. Scrisse il suo primo diario nel 1659-60. Redasse i successivi legandoli a riflessioni sull’amore divino, sull’immortalità dell’anima, sulla ripugnanza per il peccato e sulla venerazione per la Madre di Dio.
Pur immersa nella vita contemplativa non si astenne dal compiere le opere di carità. Capì che per proteggere le ragazze povere ed esposte alla caduta morale sarebbero state indispensabili l’accoglienza, la formazione umana e la dottrina cristiana. Con il proposito di rendersi utile e in un modo simile a quello che negli stessi anni adottò Anna Moroni, fondatrice delle oblate del SS. Bambino Gesù, si mise in contatto con il monastero delle convertite al Corso e il tribunale del cardinale vicario, che si interessarono ai suoi progetti. Acquistò alcune abitazioni all’Arco di S. Vito per fondarvi una casa di accoglienza per donne disagiate e penitenti. Per realizzare la sua impresa ricevette l’aiuto di Lucrezia Rospigliosi e Camilla Orsini Borghese. Fece edificare all’interno del conservatorio una chiesa dedicata all’Immacolata Concezione. I lavori si protrassero a lungo per il rifacimento e l’ampliamento dei locali. Il 29 agosto 1668 uscirono le costituzioni del conservatorio della SS. Concezione all’Arco di S. Vito imbastite dal vicegerente di Roma monsignor Giacomo De Angelis e approvate da Clemente IX. Nel frattempo, aprì i battenti un altro conservatorio da lei fondato, denominato S. Maria della Clemenza detto del Rifugio, sito in una casa a piazza S. Egidio ereditata in usufrutto dal cugino Adriano Velli. Il 14 luglio 1699 lo donò al Collegio dei parroci di Roma.
Finalmente, nel 1670 poté ritirarsi in una cella del suo istituto all’Arco di S. Vito. Il 4 dicembre 1675, costretta a letto e cieca, espresse le sue ultime volontà al notaio capitolino Ilario De Bernardini. Lasciò beni e rendite al conservatorio e dispose che il suo corpo fosse seppellito nella sepoltura comune nella chiesa dell’Immacolata Concezione.
Il 6 dicembre 1675 morì munita dei conforti religiosi.
Due anni dopo, il 27 ottobre 1677, su richiesta di Olimpia Aldobrandini, il suo corpo venne esumato e traslato sotto il pavimento a lato dell’altare maggiore dalla parte dell’Epistola. Alla funzione parteciparono diverse persone, le quali asserirono di aver visto il suo corpo incorrotto. Il notaio del tribunale del Vicariato, Geremia De Rossi, scrisse che i presenti videro Livia «vestita con una veste negra di saia scotta con una ghirlanda di fiori finti in capo, et una corona nel polzo della mano dritta con una medaglia tonna piccola d’argento, nel viso coperto con un velo, qual velo è guasto, et il cadavere con il viso, e corpo si trova tutto intiero con li piedi coperti con calzette negre» (Roma, Archivio del Conservatorio della SS. Concezione all’Arco di S. Vito, 12, cc. 65v-68). Sopra la nuova sepoltura fu posta l’iscrizione che ne ricordò le nobili origini, le virtù cristiane, l’erezione del conservatorio e l’anno di morte.
Letterati e storici si interessarono alla sua vita, come Prospero Mandosio, che la definì donna di grandi virtù cristiane e di profonda cultura, ammirata dai suoi contemporanei e da papa Urbano VIII, che la apprezzò per la sua preparazione nelle lettere e nelle arti e per la sua conoscenza della lingua greca.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico del Vicariato, Atti della segreteria, 18, cc. 159-163v; 42, cc. 1-191; Capitolo di S. Maria in Trastevere, 8, Giuspatronati e cappelle, c. 729; 53, Liber VII. Instrumentorum ab anno 1666 usque ad annum 1679, cc. 77rv, 80v-81; 174, Velli. Varie scritture e memorie dell’eredità. Tom II, cc. 304v-305; Conservatorio di S. Maria della Clemenza, 12, Resolutiones congregationis ven.lis conservatorii S. Mariae de Clementia, 1675-1715, cc. 1-2v, 33-35; Cresime in S. Giovanni in Laterano, 1610-1616, c. n.n. (domenica 23 giugno 1613); S. Agostino, morti, 1633-1671, c. 44; S. Marco, battesimi, 1592-1615, cc. 354v, 384v, 417; S. Marco, matrimoni in S. Andrea de’ Funari, S. Nicola de’ Funari, S. Biagio alla Scala d’Aracoeli, 1564-1656, c. 90v; S. Marco, morti, 1594-1696, cc. 45, 67 e 89; S. Martino ai Monti, morti, 1659-1699, c. 140v; S. Prassede, morti, 1596-1720, c. 24; S. Prassede, stati delle anime, 1656-1672, cc. 5v, 11, 18v, 23v-24, 40v; Archivio del Conservatorio della SS. Concezione all’Arco di S. Vito, n.n., Diari e Lettere, e discorsi spirituali d. s.ra L. Viper.; 1, Pergamene, secc. XVI-XVIII; 3, Statuti e regolamenti, 1668-1940; 4, Privilegi, memorie, altri conservatori, Repubblica Romana, secc. XVI-XIX; 9, Circolari, inventari, archivio e biblioteca, secc. XVII-XX; 11, Istromenti sciolti. Repertori; 12, Liber instrumentorum Conserv. Conceptionis. Tom I. Pars prima, 1668-1699; 13, Conservatorio dell’Immaculata Conceptione all’Archo di S.to Vito. Tom. Primo. Par. II. Eredità Vipereschi; 22, Fondi urbani, 1604-1934; 60, Libro dell’uscita del Conservatorio di zitelle detto del Refuggio dell’Immaculata Concettione di Roma eretto dall’ill.ma sig.ra Livia Vipereschi l’anno 1668 sotto la protettione dell’ecc.ma s.ra d. Lucrezia Rospigliosi e sotto la giurisdittione di mons.r ill.mo De Angelis vicegerente e sotto la cura dell’infrascritti ss.ri deputati: p.re Girolamo Serafini carmelitano, Pietro Paolo Salomonio, Antonio Maria Piroti, Ambrogio Dognano, 1668-1681; 278, Archivio privato famiglia Vipereschi, 1567-1731; 279, Archivio privato famiglia Vipereschi, 1600-1681; Archivio di Stato di Roma, Trenta notai capitolini, Ufficio 31, vol. 269, cc. 344-346, 385-387; G. Franchi De’ Cavalieri - D. Rocciolo, Archivio del Conservatorio della Santissima Concezione detto delle Viperesche. Inventario analitico (dattiloscritto del marzo 1999 conservato nell’Archivio del Conservatorio e citato, ma non consultabile on-line, in Siusa, Fondo Vipereschi Livia).
[L. Labacci] - N. Balducci, Vite di due venerabili servi di Dio Angelo Fiorucci e Bartolomeo Tanari poveri già dell’Hospedale de’ Mendicanti, detto di S. Sisto di Roma, Roma 1671, pp. 64, 191-194; P. Mandosio, Bibliotheca romana seu romanorum scriptorum centuriae, II, Romae 1692, pp. 311 s.; C.B. Piazza, Evsevologio romano overo delle opere pie di Roma, Roma 1698, pp. 195-198; I. Orsolini, Vita della signora L. V. vergine nobile romana, fondatrice del Conservatorio delle zitelle dette dell’Immacolata Concezzione della Beatiss. Vergine presso l’Arco di San Vito di Roma, Roma 1717; G.F. Cecconi, Roma sacra, e moderna già descritta dal Pancirolo ed accresciuta da Francesco Posterla, Roma 1725, p. 399; G.B. Memmi, Notizie istoriche dell’origine, e progressi dell’Oratorio della ss. comunione generale, e degli uomini illustri, che in essi fiorirono, Roma 1730, pp. 149-151; G. Vasi, Delle magnificenze di Roma, VIII, Libro ottavo che contiene i monasteri e conservatorj per donne, Roma 1758, p. 44; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, XVII, Venezia 1842, pp. 25 s.; Q. Querini, Beneficenza romana dagli antichi tempi fino ad oggi. Studio storico critico, Roma 1892, p. 303; V. Monachino, La carità cristiana in Roma, Bologna 1968, p. 246; G. Pelliccia, La scuola primaria a Roma dal secolo XVI al XIX, Roma 1985, pp. 406 s.; A. Groppi, I conservatori della virtù. Donne recluse nella Roma dei papi, Roma-Bari 1994, pp. 20 s.; P. Zovatto, V. (L.), in Dictionnaire de spiritualité, XVI, Paris 1994, pp. 919 s.; S. Sperindei, Vipereschi, in Dizionario storico biografico del Lazio. Personaggi e famiglie nel Lazio (esclusa Roma) dall’antichità al XX secolo, III, a cura di S. Franchi - O. Sartori, Roma 2009, p. 1981; A. Lirosi, I monasteri femminili a Roma tra XVI e XVII secolo, Roma 2012, p. 61; Ead., «...Ritenere dette donne con tal temperamento»: case pie e monasteri per il recupero delle ex prostitute a Roma (secc. XVI-XVII), in Analecta augustiniana, LXXVI (2013), pp. 153-208; E. Patrizi, Formare donne disciplinate lontane dai pericoli del mondo. Il caso del Conservatorio della Santissima Concezione di Roma, detto delle ‘Viperesche’ (1668-1869), in Eventi e studi. Scritti in onore di Hervé A. Cavallera, I, a cura di H.A. Cavallera, Lecce 2017, pp. 239-254; D. Rocciolo, L. V. e i suoi conservatori nella Roma del Seicento, in Claretianum ITVC, 2018, vol. 58, pp. 345-375; Id., L. V. nobildonna e mistica romana del Seicento, in Strenna dei romanisti, LXXX, Roma 2019, pp. 459-472.