LIUTVARDO (Liutardus, Lituardus, Liutoardus, Leotoardus)
Nel totale silenzio delle fonti riguardo all'infanzia e alla giovinezza di L., è ragionevole porre la sua nascita intorno agli anni Quaranta del IX secolo. Tale supposizione è resa possibile dal fatto che la sua prima menzione si trova in una lettera di papa Stefano V a Valperto, patriarca di Aquileia. Nella missiva, databile all'887-888, il pontefice reitera al potente prelato l'intimazione di consacrare quale vescovo di Como L. che era già stato "electum a clero" (Kehr, n. 42). È dunque possibile ipotizzare che il consacrando vescovo a quell'epoca avesse - anche per la sua probabile esperienza a corte - circa quarant'anni. Incerta è pure la località in cui nacque; studi recenti tuttavia, che riprendono e rafforzano ipotesi già avanzate a suo tempo da Savio, propongono - sulla scorta di una donazione pro anima del 16 luglio 967 - per L. una nascita pavese e una parentela con il rampante iudex Gaidolfo, originario appunto di Pavia.
Gaidolfo, in punto di morte - secondo l'ormai consolidata prassi del prestito dissimulato - con l'intermediazione di Adelgiso, prete e officiale della chiesa pavese di S. Giorgio, donava in realtà al monastero di Cluny diversi beni mobili e immobili. Gaidolfo, in cambio, nel suo iudicatum chiedeva che, oltre all'edificazione di un cenobio retto da monaci direttamente provenienti dalla sede borgognona dell'Ordine, venissero officiate messe e si pregasse per amici e parenti defunti: in particolare si richiedeva la celebrazione di una messa e del vespro nell'anniversario della morte di L., chiaramente indicato quale "episcopus sancte Comensis Ecclesiae" (sull'intera, intricata questione cfr. Savio, Settia e Andenna).
Sia L., dunque, sia alcuni suoi successori sulla cattedra vescovile comasca (Liutvardo [II], noto anche come Liutardo o Liuprando; Pietro [II] e Pietro [III]) avrebbero avuto un'unica origine familiare pavese. Addirittura (secondo Settia) si potrebbe affermare che l'episcopato comense per tutto il X secolo sarebbe stato appannaggio di famiglie di giudici pavesi.
Incertezze permangono anche per quanto concerne la durata dell'episcopato di L.; se la sua elezione da parte del clero comasco è da porre prima dell'887, L. è per la prima volta sicuramente indicato quale vescovo di Como in un diploma di Ludovico III, datato Bologna, 19 genn. 901; Rovelli fa salire L. alla cattedra vescovile tra l'885 e l'897, stando alle incerte date di inizio e fine episcopato del suo predecessore Eliberto (o Eriberto, Angilberto).
Il successore di L., Valperto, fu vescovo presumibilmente dal 911 al 914; a Valperto succedette un "Liutardus" che risulta intervenire in un diploma di Berengario I del 1° febbr. 915: alcuni lo identificano con L. (in particolare cfr. Settia, p. 21), mentre altri, tra i quali Savio e Pensa, distinguono tra l'una e l'altra figura episcopale. Savio (p. 311) sostiene che vi sia una differenza già nella composizione onomastica dei due personaggi: "Liut-ward" e "Liut-hard", con significati diversi nell'antico idioma germanico; Pensa accoglie quanto supposto da Savio. Tatti (p. 35) e Rovelli sono anch'essi del parere che si tratti non solo di un altro vescovo, ma che il suo nome sia quello di Liutprando.
L. fu eletto con il favore di Ludovico III in anni assai difficili per il Regno italico; un quadro politico complessivamente fosco e drammatico fece da sfondo al suo episcopato.
Alla morte dell'imperatore Carlo III il Grosso (888), con l'azione centrifuga dei locali domini locorum del Regno italico era cominciata anche la lunga, sanguinosa lotta per il potere regio-imperiale. Proprio l'area comasca, ai confini del Regnum e abituale zona di transito dei sovrani germanici e delle loro truppe, si trovava in un complesso mosaico di circoscrizioni comitali (quelle di Milano e del Seprio nel Regnum, quella di Bellinzona oltre confine) e marchionali (quella Obertenga) di diversa natura e tenuta, e di distretti signorili più difficilmente inquadrabili nel magmatico universo signorile laico ed ecclesiastico del tempo, come il comitatus di Chiavenna, il vicecomitatulus di Valtellina e il comitatus di Lecco. L'episcopio comasco confinava inoltre con l'archidiocesi milanese, in cui i potentissimi presuli non solo godevano delle prerogative ecclesiastiche, ma si avviavano ad allargare ancora di più il loro potere anche all'ambito civile escludendo, nel corso del X secolo, le sempre più deboli figure funzionariali laiche di livello comitale dall'esercizio del governo cittadino. A rendere ancora più complicata l'azione di L. dovette incidere inoltre il pericolo delle invasioni ungariche, che presero avvio sullo scorcio del IX secolo e interessarono anche l'area settentrionale della Langobardia.
Molti dubbi permangono a proposito del ruolo di L. come archicancellarius del sovrano e non è possibile stabilire con certezza se egli abbia esercitato questo ufficio per Berengario I o per Ludovico III. Rimane irrisolta e controversa l'identificazione di L. nel "Liutardus" notaio di Adelardo (vescovo di Verona e arcicancelliere regio-imperiale) che compare in calce a un diploma di Berengario I del 18 ag. 889 e del "Liutardus" vescovo di Como presente nell'ulteriore diploma berengariano del 4 marzo 915, figura su cui, come si è detto, non mancano i dubbi. In un documento di Ludovico III, datato Pavia, 12 ott. 900 (solo un cenno in Bresslau), L. figura quale arcicancelliere del sovrano, ufficio che ricoprì, stando alla malcerta documentazione disponibile, forse fino al 4 giugno 905 (ma il documento è considerato un falso da Schiaparelli, I diplomi di Ludovico III…, p. 85).
L. compare in non pochi diplomi sovrani dei primi del X secolo: nel suo doppio ruolo di vescovo e di arcicancelliere fu certamente partecipe dell'opera di indirizzo politico e diplomatico della Cancelleria regia-imperiale e fu attivo anche nelle assemblee giudiziarie. Confermati alla sua Chiesa diritti e prerogative già concessi ai suoi predecessori, tra il 12 ott. 901 e il 4 giugno 905, e benché vi siano almeno due documenti di dubbia autenticità (ibid., pp. 76 s., 79 s.), sappiamo della sua presenza in almeno altri quattordici diplomi, dal 14 ott. 901 al 12 maggio 902 (ibid., pp. 10, 12, 18, 24, 30, 33, 36, 38, 44-47, 49 s., 53, 56) con una mobilità accertata che spazia da Pavia a Vercelli, da Bologna a Roma, da Piacenza a Corteolona.
In taluni atti l'azione di L. si sviluppa a favore della Chiesa comasca: il 7 dic. 901 Ludovico III concede a L. - in quest'occasione non citato quale arcicancelliere - la chiesa e badia di S. Giorgio di Coronate d'Adda, dietro intercessione di Garibaldo, vescovo di Novara, e del marchese (e probabilmente conte palatino) Sigefredo.
Non è possibile stabilire con certezza l'anno della morte di L.: Savio (p. 309) cita il Necrologium Augiae Divitis (databile agli inizi del X secolo), dove è annotata la morte di un vescovo "Liutvarit" al 24 giugno, e l'appendice al Liber della Confraternita del monastero di San Gallo (dello stesso periodo) dove, sempre al 24 giugno, si registra la morte "Liutvardi Cumani episcopi" (qualificato dall'editore come "archicancellarius Ludovici III"), per il quale Salomone (III) vescovo di Costanza concede siano celebrati uffici funebri in memoria. Salomone fu vescovo di Costanza dall'889 al 920, quindi la morte di L. va collocata entro quest'ultima data che comprende anche il periodo di governo episcopale del non meglio precisato omonimo di L. (presente a Como verso il 915) ovvero il secondo periodo episcopale di L. stesso.
Fonti e Bibl.: Libri Confraternitatum Sancti Galli…, a cura di P. Piper, in Mon. Germ. Hist., Antiquitates, Berolini 1884, p. 136; Necrologium Augiae Divitis, a cura di L. Baumann, ibid., Necrologia Germaniae, I, 1, ibid. 1886, p. 277; Ph. Jaffé, Regesta pontificum Romanorum, a cura di S. Löwenfeld et al., I, Lipsiae 1885, n. 3442; Codex diplomaticus Langobardiae, a cura di L. Porro Lambertenghi, in Mon.hist. patriae, XIII, Augustae Taurinorum 1873, coll. 669 s.; I diplomi di Berengario I, a cura di L. Schiaparelli, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XXXV, Roma 1903, pp. 28 s., 250-252; I diplomi di Ludovico III e Rodolfo II, a cura di L. Schiaparelli, ibid., XXXVII, ibid. 1910, pp. 5, 10, 12, 18 s., 24, 30, 33, 36, 38, 44-47, 49 s., 53, 56, 76 s., 79 s., 85; P.F. Kehr, Italia pontificia, VII, Berolini 1923, p. 27 nn. 41 s.; L. Tatti, De gli annali sacri della città di Como, Milano 1683, I, pp. 17 s., 20, 22 s., 35; IV, p. 788; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, V, Venetiis 1720, p. 271; G. Rovelli, Storia di Como, II, Milano 1794, p. 61; C. Cantù, Storia della città e della diocesi di Como, I, Firenze 1856, pp. 119 s.; Recueil des chartes de l'abbaye de Cluny, a cura di A. Bernard - A. Bruel, II, Paris 1880, n. 1229 p. 313; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300 descritti per regioni, II, 2, Bergamo 1929, pp. 307-311; P. Pensa, Dall'età carolingia all'affermarsi delle signorie, in Storia religiosa della Lombardia, a cura di A. Caprioli - A. Rimoldi - L. Vaccaro, Brescia 1986, pp. 48 s.; A.A. Settia, Pavia nel secolo X e la presenza di Maiolo, in S. Maiolo e le influenze cluniacensi nell'Italia del Nord. Atti del Convegno internazionale, Pavia-Novara… 1994, Pavia 1998, pp. 20 s.; G. Andenna, Le fondazioni monastiche del Nord Italia riformate da Maiolo, ibid., pp. 203 s.; H. Bresslau, Manuale di diplomatica per la Germania e l'Italia, Roma 1998, p. 353.