LIUTO
. Strumento musicale a corde pizzicate, d'origine assai remota.
Nei bassorilievi e nelle sculture dell'antico Egitto, si nota di frequente un geroglifico letto nefer (v. fig.), corrispondente, secondo alcuni egittologi tra cui lo Champollion, a un liuto o ad altro strumento del genere. V. Loret pensa invece che il vero significato del segno sia timone. Studiando tali disegni, osserviamo però che il timone ha la lineetta trasversale obliqua, mentre quella del segno nefer (strumento) è orizzontale. Se il nefer dell'epoca arcaica - come afferma il Loret - non figura sulle scene musicali prima del nuovo impero (sec. XVI-VII a. C.), ciò può derivare dal fatto, già constatato, che non tutte, ma solo alcune delle manifestazioni della vita di quei tempi, erano riprodotte.
Lo strumento egiziano era formato da una cassa ovale scavata in un pezzo di legno che, assottigliato sufficientemente per una buona sonorità, veniva ricoperto da una tavola di legno sottile, oppure da una pelle d'antilope. Quivi si praticavano fori per l'espansione del suono, formando così il piano armonico.
Uno strumento di questo genere, col manico rotto e quasi interamente distrutto, fu rinvenuto in una tomba a Tebe, dal viaggiatore inglese Madox, che ne trasmise il disegno a J. G. Wilkinson. Il manico di questo strumento non era molto largo, essendo di solito montato con due corde. G.-A. Villoteau, che fu tra i primi a occuparsi di studî sulla musica egiziana, ci trasmette figure di danzatori che suonano uno strumento con manico. Nel museo egiziano di Torino si trova un papiro rappresentante, in caricatura, una processione; e fra gli animali che compongono il corteo se ne vedono quattro con strumenti: un asino con l'arpa, un leone con la lira, una scimmia col flauto e un coccodrillo col liuto. Vi è pure un frammento interessantissimo di pittura murale di una tomba della 18ª dinastia (c. 1570 a. C.) dove è rappresentata una giovane che tocca un liuto e canta. Tutte queste figurazioni sono la prova inconfutabile dell'esistenza, già migliaia d'anni a. C., di strumenti a corda con manico originali, progenitori diretti della chitarra e del liuto.
Il liuto fu portato in Europa dagli Arabi, che lo ebbero dalla Persia. Passò poi in Spagna, e colà, durante la lunga dominazione araba, la musica e gli strumenti vennero presto in uso, primo fra tutti il liuto, che attraverso la Spagna, passò in tutti gli altri paesi d'Europa; e questo prova anche l'introduzione della musica araba in Europa, poiché - come scrive Julián Ribera (vedi bibliografia) "se il popolo cristiano ereditò e adottò il liuto, è naturale che si servisse della musica che si usava per quell'istrumento". Infatti i cristiani che volevano apprendere il liuto ricorrevano a maestri arabi. Al-Fārābi (912-950 dell'era cristiana) è il più antico autore arabo che ci abbia tramandato una descrizione completa del al‛ūd (al- è l'articolo) a 4 e a 5 corde. I primi liuti arabi erano montati con sole 4 corde di fili di seta; la quantità dei fili, in numero di 64, 48, 36, e 27, fa riconoscere, nel loro rapporto, le 4 note che dànno le quattro corde. Il Körte osserva che approssimativamente si può definire l'altezza dei toni, in re, sol, do, fa. Al-Fārābī fa poi conoscere un sistema di divisione del manico del liuto in sette tasti, secondo il metodo dei Persiani, il quale produceva 28 intonazioni a intervalli più piccoli, chiamati da al-Fārābī intervalli melodici, tra i quali si trovano i quarti di tono o diesis cromatici ed enarmonici. Al-Fārābī conosceva l'uso delle corde di budello, che, dal sec. VIII in poi, furono sempre adoperate sul liuto. Il famoso cantore arabo Ziryāb (792-852 era cristiana) aggiunse al liuto una quinta corda acuta, riferendosi alla doppia ottava dei Greci.
Lo strumento assunse a poco a poco forma più perfetta e artistica. Il suo nome arabo si europeizzò: in spagnolo laud, in francese luth, in inglese lute, in tedesco Laute, in portoghese alaude, forma che contiene l'articolo arabo al. In un salterio di Stoccarda, del sec. X., si vedono figure con liuti della solita forma ovale e suonati col plettro; hanno generalmente 5 corde fermate al disotto del piano armonico, e in alto appaiono bottoncini, quasi cavicchi. Dopo la metà del 1400, il liuto comincia a primeggiare tra gli strumenti a corde pizzicate.
Il corpo del liuto era convesso, a coste oblunghe che diminuivano progressivamente di larghezza fino al manico, sul quale la tastiera era d'ebano, richiamante la forma di testuggine (e difatti i vecchi trattati lo chiamano testudo).
Nel mezzo della tavola armonica, ovale, si trova il foro di risonanza, che si diceva "rosa" sempre preziosamente lavorata, a strati (cioè a imbuto e riportata) o pari, vale a dire, traforata sullo stesso piano armonico con squisiti disegni che ci ricordano i rosoni delle cattedrafi. All'accordatura dei primi liuti a 4 corde si è accennato; di quelli a 5 non si hanno intavolature italiane e francesi, ma spagnole e anche tedesche, le quali ultime dànno l'accordatura: re, sol, si, mi, la. Le spagnole pare avessero la quinta corda aggiunta in alto nell'intervallo di una quarta sopra, quindi se prima erano - secondo il Körte - do, fa, la, re, la nota aggiunta dovette essere il sol sopra il re.
L'accordatura che ci dà Ioanambrosio, liutista veneziano, nella prefazione del primo libro di Intabolatura de leuto del 1503, è per quarte con la terza in mezzo: sol, do, fa, la, re, sol, accordatura che sarà poi la più usata in Italia e anche fuori: è il vieil ton di M. Mersenne; lo stesso accordo che troveremo 80 anni più tardi in V. Galilei: sol1, do2, fa2, la2, re3, sol3, ed è noto come le corde fossero denominate: basso, bordone, tenore, mezzanella, sottanella, canto. Per più di un secolo, dalla fine del 1400 alla fine del 1500, rimase fisso il tipo a 11 corde: 5 raddoppiate e il cantino semplice; le 3 basse raddoppiate all'ottava e le altre due all'unisono. Le intavolature per liuto composte di tante righe quante erano le corde, avevano i numeri o le lettere, corrispondenti ai tasti, infilate sulle righe stesse.
I tasti variarono di numero da un minimo di nove a un massimo di dodici, secondo i tempi, e per non generare confusione, dopo il 9 arabo si scriveva il X romano a cui si aggiungeva un puntino sopra per l'undicī e due per il dodici, come si trova già nelle intavolature uscite dal Petrucci tra il 1507 e il 1509.
I tasti non erano fissi, ma fatti con corde di budello, dal liutista stesso, che li fermava dietro il manico. I segni ritmici furono sempre usati nelle intavolature, senza però distinguere il movimento o il ritmo contrappuntistico delle diverse parti; a questo qualche autore ha voluto porre riparo. Per es., Antonio Rotta (1546) fa seguire da una croce semplice o doppia le note che si devono tenere. Sopra il rigo si segnava una lineetta perpendicolare che aveva tagli trasversali che ne dimezzavano il valore, e a volte, già fino dal secolo XVI, quando molte minime si succedevano, vi era un solo tratto orizzontale al posto delle singole lineette. Finché il valore non cambia, le note devono succedersi uguali. Ma per maggior chiarezza viene quasi sempre ripetuto in principio di battuta. Essendo la musica per liuto eminentemente armonica, ebbe fino dai suoi primi tempi, la divisione delle battute, per cui l'intavolatura ha quasi aspetto di musica moderna. Dato che i numeri indicavano i tasti, diveniva inutile mettere gli accidenti per segnare la tonalità, che del resto era ancora incerta. Per altre notizie v. intavolatura.
L'arte del liuto fu rappresentata, più che da scuole, da artisti isolati, forse in ragione del carattere lirico, individuale dello strumento. E forse per questa sua individualità fu il compagno migliore per la voce umana, nei concerti familiarl, nella musica da camera intima ed espressiva. Fin dal tempo degli Arabi, fu prediletto per le vibrazioni dolci e soavi se toccato dalle dita, o vigorose se percosso dal plettro: strumento ottimo per il cantante, che vi trovava nettezza di scansione ritmica e pienezza di armonia, senza alcuna offesa alla supremazia della voce.
Il repertorio dei grandi liutisti, a capo dei quali ci appare il "divino" Francesco da Milano (1546), si fondava in gran parte sulle trascrizioni di musiche vocali. Musiche che il liutista adattava con molta perizia, riproducendo così fedelmente l'aspetto della polifonia, da potersi ricostruire le diverse parti separate dei madrigali e delle canzonette a tre o quattro voci. Le arie di danza, semplici e chiare fra il 1540 ed il 1550, diventano sempre più elaborate in ragione dell'aumentata maestria dei liutisti, che verso la fine del 1500 raggiunsero l'apogeo. Notiamo che i primi passaggi di tecnica strumentale furono appunto creati dalle agili dita dei liutisti, e primi comparvero sulle intavolature del liuto. Si generalizzava il gusto dell'improvvisazione che in Italia, a detta di A. W. Ambros, valse in ogni tempo come un saggio della maestria dell'artista. Le intavolature si riempiono di bergamasche, saltarelli, allemande, ecc. danze popolari piene di brio e di vita, finendo con l'esser preferite alle trascrizioni dei pezzi vocali, e predominando sulle fantasie e sui ricercari, che rispondevano alla tempra popolare meglio delle forme austere dell'arte dotta. Ingenue e graziose, senza riguardi alle regole dell'arte scolastica, queste danze offrono i primi esempî della tonalità moderna.
Nel 1600 il liuto non era più a 11 corde, ma molte se ne erano aggiunte. L'Escudier ne nomina 24, di cui otto fuori del manico, ed ebbero così inizio gli arciliuti, le tiorbe, i chitarroni, ecc.
Bibl.: K. Engel, The music of the most ancient nat., Londra 1874; O. Chilesotti, Lautenspieler des XVI. Jahrh., Lipsia 1891; O. Körte, Laute u. Lautenmusik, in Publikationen d. intern. Musikgesell., 1901; O. Chilesotti, Francesco da Milano, in Sammelbände der intern. Musikgesell., 1903; V. Loret, Notes sur les instrum. de mus. de l'Egypte anc., Parigi 1913; E. Engel, Die Instrumentalformen in der Lautenmusik des 16. Jahrh., Diss., Berlino 1915; J. Ribera, La música de las cántigas, Madrid 1922; M. R. Brondi, Il liuto e la chitarra, Torino 1926.