LIUTERIA
. Arte di costruire strumenti musicali a corda. Questa parola deriva da liuto, ma la suesposta accezione è moderna e fu introdotta quando il liuto era quasi scomparso dalla pratica musicale. Nella seconda metà del Settecento il significato di questo vocabolo si estese fino a comprendere l'arte di fabbricare strumenti musicali in genere.
Sembra sufficientemente accertato che i più antichi fabbricanti di strumenti a corda siano stati tirolesi. Nel Tirolo, come è noto, l'arte di intagliare il legno è stata sempre molto diffusa. Quest'arte trovava colà anche grandi risorse nella quantità e varietà di materia prima fornita dai numerosi e ricchissimi boschi montani. Il Lüttgendorff (v. bibliografia) ritiene che la città di Füssen, nel Tirolo settentrionale, sia stata la culla di quest'arte, probabilmente insegnata dai benedettini che in quella località avevano fondato sin dal sec. VII l'abbazia di San Manlio. Certo è che i più antichi documenti che menzionano strumenti a corda ricordano spesso nomi di fabbricanti d'origine tedesca: tali sono, ad es., Jorg Wolf, Kegel, Leonardo e Magno Tuffenbrucher (Tieffenbrücker, Duiffopruckhar, Duiffoprugkar, ecc.) che nel 1557 si trasferì a Venezia dove era conosciuto sotto il nome di "Mastro Magno leutaro". Maestro eccellentissimo nel costruire liuti fu Lucas Maler "leutarius de Alemania alta", che nel 1508, insieme con il figlio Siegmund e con l'aiuto di un suo garzone, Markus, anch'egli tedesco, costituì una società allo scopo di esercitare l'industria "in conficiendis leutis in civitate Bononia", liuti apprezzatissimi e che venivano venduti a caro prezzo. Altri liutai provenienti dalla regione tirolese sono M. Hartung il quale si stabilì a Padova, Magnus e Matthäus Epp, Joseph e Jakob Langerwadder, ecc. Nella costruzione degli strumenti questi fabbricanti tedeschi seguivano tuttavia norme di consuetudine e di tradizione, ma se alcuni di essi, come il Maler, avevano raggiunto, nel Quattrocento e Cinquecento, un'abilità ragguardevole nei liuti, negli strumenti ad arco (viole da braccio, da gamba, ribeche, ecc., dai quali poi gli archi attuali derivarono) gl'Italiani, certo approfittando degl'insegnamenti tedeschi, seppero toccare la perfezione creando esemplari di raro pregio per venustà di forma, per finezza di intaglio e per qualità di suono, elevando la liuteria a un grado di arte vera e propria.
Fra i precursori dei liutai classici dobbiamo ricordare Giovanni Kerlino già stabilitosi a Brescia verso la metà del Quattrocento; un Pietro Dardelli, francescano, del convento di Mantova; un Linaroli, veneziano, e Girolamo Brensi. Rinomatissime erano anche le viole per danza costruite in Germania e le viole da gamba che uscivano dalle botteghe di Milano, mentre Vincenzo Galilei accenna anche ai pregi eccellenti delle viole fabbricate in Inghilterra. Ma da quando, per successive modificazioni delle viole di registro acuto - sia per l'impicciolimento delle viole a cinque corde, sia, come altri pensa, per la trasformazione della lira italiana - si diffuse il violino (dapprima detto violina), il primato passò all'Italia. Nel sec. XVI la città di Brescia era fiorentissima e nominatissima per il commercio degli strumenti a corda. Quivi erano Giacomo Dalla Corna costruttore di liuti apprezzatissimo, Zanetto da Montichiari, maestro "de chitarris et lironis" ch'ebbe un figliuolo, Pellegrino, e varî nipoti, liutai assai stimati; G.B. Doneda e Girolamo De Virchi che sono da considerarsi gl'immediati antecessori di Gaspare Da Salò.
Gaspare Bertolotti, detto da Salò, sua patria (1542-1609), era figlio di Francesco soprannominato "Violì" per la sua professione di liutaro che esercitava in quella città "in contrada Violinorum". Il nome di violino e di violina era usato già, prima che servisse a precisare l'omonimo strumento, per indicare genericamente gli strumenti ad arco allora in uso. Gaspare, trasferitosi, appena ventenne, dalla città nativa a Brescia, aprì una bottega e assunse, insieme con la sua qualità di "Padrone", il titolo di "Maestro de Violini", titolo prima di lui non adoperato, ma certo da lui ben meritato, perché, valendosi dei tentativi dei precursori, seppe dare allo strumento la sua definitiva e non mai alterata forma, dirozzò la liuteria, portandola ad un alto livello. (Secondo altri il merito andrebbe invece piuttosto a Pellegrino da Montichiari).
Dalla sua professione ricavò fama e guadagno. La sua scuola fu fiorente e, per il fatto che i suoi prodotti trovavano numerosi acquirenti in Francia (dove forse in un certo momento ebbe in animo di trasferirsi), questi suoi strumenti furono detti "violini piccoli alla francese".
Caratteristiche degli strumenti di lui sono: la forma allungata, la scarsezza degli angoli, la poca profondità della cassa, lo scarso rialzo del piano armonico, gli effe aperti e allungati. Ma in genere negli archi di Gaspare da Salò - che costruì prevalentemente modelli di registro basso - permane un aspetto alquanto rozzo in paragone con quelli delle scuole cremonesi. Uno dei suoi figli, Francesco, seguì la professione paterna, ben lontano però dall'abilità del suo genitore, del quale usava nei proprî strumenti le caratteristiche etichette per servirsene a dar pregio commerciale ai suoi deficienti prodotti.
L'arte di Gaspare da Salò trovò invece, non solo un continuatore degno, ma un vero perfezionatore in Giovanni Paolo Maggini (1580-1630), che insieme col Lanfranchi era stato alla sua bottega in qualità di garzone.
Il Maggini era motivo di Botticino Sera in quel di Brescia. Cominciò con l'imitare il suo maestro nei primi esemplari che costruì, ma presto sentì il bisogno di affinarne le forme e di procedere a una lavorazione accurata ed elegante. Nel 1617 divenne "maestro" e tenne con sé un operaio come aiuto. Poiché la sua perizia lo ebbe messo in condizioni di agiatezza, attese all'arte sua con più attenta cura. La sua azienda fu continuata da un tal Santo De Sanctis, che firmava i suoi prodotti col nome suo unito a quello del Maggini, suo maestro. Di un Pietro Maggini, del quale si conoscono buoni esemplari, poco si sa: pare che appartenesse ad altra famiglia omonima. Caratteristica di Giovanni Paolo Maggini, oltre una cura mirabile di fattura, è l'eleganza delle filettature e delle ornamentazioni.
Altri notevoli rappresentanti della liuteria bresciana furono Raffaele Nella e Pietro Vimercati. Ma già verso la metà del Seicento la scuola di Brescia aveva terminato il periodo della sua fioritura e cedeva l'assoluto primato alla città di Cremona.
Tuttora in discussione è il nome del maestro di Andrea Amati, fondatore della scuola cremonese. A lui anteriore fu un Giovan Marco da Busseto che, trasferitosi a Cremona, vi esercitava l'arte; ma dalla sua bottega non uscirono che viole di varia specie, né pare che fra costui e A. Amati vi sia stata relazione di mestiere. Secondo altri l'Amati avrebbe avuto insegnamenti da un tal Carcanius a Padova, non altrimenti noto; infine altri lo ritiene discepolo del Bertolotti presso il quale avrebbe avuto occasione di vedere i piccoli violini alla francese. E quest'ultima opinione, di una derivazione, cioè, della scuola cremonese dalla bresciana, trova qualche credito dal fatto che i primi esemplari dell'Amati hanno un'evidente affinità con quelli di questa scuola. Certo è che ben presto Andrea seppe imprimere una originalità evidente ai suoi prodotti. Essi si discostano per molti tratti da quelli del bresciano: erano dotati di una sonorità minore, ma di una maggior dolcezza di voce, avevano le vòlte più elevate e le aperture meno ardite. La vernice era di un bel colore dorato e molto resistente; non uniforme il taglio del legno, prevalentemente acero o pioppo.
Andrea Amati fu capostipite di una famiglia di liutai famosissimi. Liutaio era un suo fratello, Niccolò; e liutai i due suoi figli Antonio (1555-?) e Girolamo (1556-1630) che firmavano insieme "Antonius et Jeronimus Fr. Amati" anche quando, morto Antonio, l'altro seguitò a lavorare da solo. Tuttavia gli esperti sanno distinguere, pur in una comune linea, qualche differenza: Antonio seguiva quasi fedelmente lo stile paterno mentre in Girolamo si nota una più spiccata personalità, soprattutto nell'ammirevole disegno delle curve e delle aperture. Caratteristiche degli Amati sono: il modello più piccolo (strumenti adatti specie per musiche da camera e d'assieme), ammirevole per proporzioni di linee; il legno sempre di ottima scelta a fibre compatte; il taglio svelto ed elegante degli effe; la chiocciola scolpita finemente; la vernice di un arancione chiaro.
Figlio di Girolamo era Niccolò (1596-1684), quegli che maggiormente illustrò con l'arte sua e col suo nome la famiglia. Dal padre e dallo zio prese le prime mosse, ma con un'assiduità ininterrotta e con una viva passione per l'arte sua mostrò un continuo desiderio di maggior perfezione. Dal 1645 possiamo datare l'inizio di uno stile sempre progrediente sino a giungere a quei meravigliosi prodotti noti sotto il nome di Grandi Amati meravigliosi per la bellezza plastica delle linee e per la soavità della voce.
Singolari sono le vòlte, un poco elevate nel centro, e che alla base del ponticello digradano bruscamente per accostarsi ai filetti dei bordi. Dal modello dei Grandi Amati prese le mosse l'arte dello Stradivario.
Antonio Stradivario (1644-1737), cremonese di famiglia e di nascita, in uno dei primi violini da lui costruiti si firmava "Nicholai Amati alumnus" designando così chiaramente la sua provenienza artistica. Tutti gli strumenti di questo massimo artefice della liuteria, fabbricati sotto la guida e nella bottega dell'Amati, mostrano con evidenza le caratteristiche del suo maestro sia nelle vòlte sia negli angoli, sia nelle chiocciole sia negli effe. Un mutamento di stile è invece visibile a datare dal 1672 quando egli aprì una bottega per proprio conto. I suoi modelli si fanno più grandi, l'arcuato delle linee è minore, la chiocciola è più ardita, la vernice, di rossastra che era, si fa dorata e trasparente, le filettature sono più larghe. Coincide col periodo che arriva sino all'anno 1700, quello della sua maggiore produzione. La sua rinomanza si era sparsa ormai in tutta Europa e, insieme a lauti guadagni, gli fruttava continue ordinazioni da banchieri, da prelati, da principi e da case regnanti. Appartengono a questo periodo esemplari bellissimi, quali il quartetto costruito per la corte di Spagna, quello per il Granduca Cosimo III de' Medici e il famoso violino noto sotto il nome di "toscano". A dimostrare una volta di più quanto in arte sia predominante la facoltà intuitiva, è stato osservato come lo Stradivario, pure essendo uomo pressoché incolto, seppe con minuziose ricerche e con assidue prove risolvere praticamente ardui problemi di acustica nella proporzione delle linee e delle vòlte, trovare mirabili combinazioni chimiche nella composizione delle vernici. Di questo periodo sono alcuni suoi strumenti di sesto allungato (longuets) e talune viole e violoncelli di forma grande e perfino esagerata. Benché talvolta usasse per i fondi legno di gattice, ordinariamente preferiva l'acero che usava segare di quarto ottenendo così, oltre che vantaggi di sonorità migliore, maggior bellezza di venature.
Il periodo aureo della sua produzione data dal 1700. Dopo tante e felici prove, egli stabilisce definitivamente i suoi modelli. Le proporzioni diminuiscono alquanto; il legno è sempre sceltissimo, le vernici hanno una trasparenza e uno splendore ammirevoli, accuratissima è la lavorazione. I violini Betta, Messia, Delfino, Sasserno, ecc., sono considerati dagli esperti e dagli amatori non altrimenti che i capolavori dei grandi maestri della pittura.
Dei numerosi figli di Antonio Stradivario, Francesco (1668-1743) e Omobono (1665-1742) seguitarono l'arte paterna. Ma con quanto minore perizia e fortuna. Entrambi nei loro cartelli usarono designare la loro qualità di "figli di Antonio", ma la loro produzione è scadente, ed essi lavorarono pochissimo. Con la loro morte si spense nella famiglia la gloriosa tradizione che aveva reso immortale il loro casato.
Da un ramo cadetto della famiglia cremonese dei Guarneri - che furono eccellenti liutai - proviene Giuseppe Guarneri detto "del Gesù" (1686-1748) per la sigla eucaristica che soleva apporre accanto al suo nome nelle etichette dei suoi strumenti.
Non è ben sicuro ch'egli sia stato allievo dello Stradivario: in ogni modo si allontanò notevolmente dallo stile di lui per creare modelli pieni di originalità. Spirito audace, temperamento impulsivo e indipendente, mal sofferente di regole e di tradizioni, seppe dare ai suoi prodotti, anche se di fattura trasandata e frettolosa (come sono i cosiddetti "violini della prigione"), un'impronta personale ragguardevolissima. Quando poi il suo lavoro fu accurato e attento, seppe creare esemplari di una rara bellezza di linee e di voce portentosa. Tale, ad esempio, il violino che appartenne al Paganini e che ora si conserva a Genova.
Le differenze più notevoli che ci fanno distinguere i violini del Guarneri del Gesù da quelli dello Stradivario, sono: un maggior spessore delle tavole, diversità nelle curvature, nelle chiocciole, nel disegno, nella positura e nel taglio degli effe, nella vernice. Costruì (e non in grande numero) soltanto violini, che per l'intensità della loro voce sono stati sempre ricercati e usati dai concertisti più famosi, a cominciare da N. Paganini sino a E. Ysaye. Giuseppe Guarneri del Gesù è l'ultimo dei massimi artefici della classica liuteria italiana.
Dalle scuole cremonesi degli Amati e di Antonio Stradivario derivarono molti dei migliori liutai minori e da essi le diverse scuole di liuteria italiane e straniere o per esserne stati diretti discepoli, o per averne seguito i dettami e lo stile.
Dalla scuola degli Amati derivarono i Ruggieri, costruttori assai valenti, che usavano nelle loro etichette indicare il proprio nome nella forma dialettale di Ruggier con l'aggiunta "detto il Per", soprannome con cui ordinariamente erano distinti. Francesco, che lavorò tra il 1650 e il 1700, era scolaro di Girolamo Amati; usò modelli più grandi di quelli di lui e ne variò qualche particolare e il colore della vernice. I figli Girolamo e Vincenzo riuscirono meno abili del padre, e certo gli rimasero inferiori per poca accuratezza di lavoro e per legno scadente.
Anche da Nicolò Amati derivò Giambattista Rogeri (spesso confuso con il precedente per somiglianza di nome) che era nativo di Bologna come l'attesta anche la dicitura delle sue etichette: "Io. Bab. Rogerius Bon. (bononiensis) Nicolai Amati de Cremona alumnus". Fu molto accurato nella scelta del materiale e nelle vernici; in special modo apprezzati sono i suoi violoncelli dalla voce piena e robusta e dalla perfetta intonazione. Nel 1660 si trasferì a Brescia, dove lavorò unitamente al figlio suo Pietro Giacomo. Pure bolognesi, e stimatissimi costruttori di violoncelli, furono Felice e Guido Tononi che, unitamente a Giovanni, figlio del primo, esercitarono la liuteria nella città nativa dalla fine del 1600 sino alla prima metà del '700. La voce dei loro strumenti è generalmente ottima per pastosità e intensità. Giovanni usò modelli più grandi di quelli degli Amati. Egli aveva bottega in platea Pavaglionis. Caratteristici sono gli strumenti di Carlo Tononi, fratello di Giovanni, che si era stabilito a Venezia nella seconda metà del sec. XVIII.
Rappresentante eminente della scuola di liuteria veneziana è Domenico Montagnana, nato appunto a Venezia. Recatosi a Cremona, vi fu alunno di Nicola Amati e condiscepolo - a quanto pare - di Antonio Stradivario. Risentì gl'influssi dello stile di entrambi e imitò i violini "amatizzati". Si è pure notato dagli esperti qualche riflesso del Guarneri del Gesù. Si distingue soprattutto per la bellezza, levigatezza e trasparenza delle sue vernici di colore sangue di drago. Ottima la scelta del legno e accurato il lavoro; ampia la voce. I modelli sono grandi. Pochi i suoi prodotti, anche per il fatto ehe ebbe breve vita. I suoi violoncelli possono competere con quelli famosi del Bergonzi.
Alla scuola di Milano appartengono i Grancino, il primo dei quali fu Paolo, milanese anche di nascita. Ma assai più valenti di lui furono il figlio Giovanni e i nipoti Giambattista e Francesco, che lavorarono in quella città durante il Settecento. I loro strumenti si distinguono per una vernice di colore giallo chiaro trattata a spirito e non a olio. Buona voce hanno i loro violoncelli e contrabbassi, ma il lavoro è rozzo e il legno ordinario. Furono ottimi restauratori. Carlo Giuseppe Testori di Novara e i due suoi figli, Carlo Antonio e Paolo Antonio, costruirono strumenti pregevoli, specialmente contrabbassi. Paolo Antonio si dedicò poi con particolare cura alla lavorazione di chitarre, che furono pregiatissime. Mentre Paolo Grancino derivò dalla scuola dell'Amati, i Testori provennero da quella di Goffredo Cappa di Saluzzo, alunno, a quanto pare, dell'Amati stesso (per quanto nei suoi scarsi esemplari - apprezzati più che altro per la loro antichità - mostri notevoli differenze di stile).
Non meno numerosa è la schiera dei discepoli del grande Stradivario.
Tra i migliori è Carlo Bergonzi (1685?-1747) che, alla morte di Omobono Stradivari, continuò per qualche tempo a dirigere la bottega del maestro sino a che nel 1776 vennero venduti a irrisorio prezzo i preziosi modelli e gli utensili stradivariani al Conte Cozio di Salabue. Il Bergonzi è artefice squisito e in alcuni esemplari raggiunse la perfezione del suo maestro per la bellezza delle forme e per la sonorità pastosa degli strumenti: specialmente ragguardevoli sono i suoi violoncelli. Se, come è naturale, i primi esemplari si attengono fedelmente alla maniera del maestro, in quelli ulteriori si trovano particolaritȧ che nettamente lo distinguono e attestano la sua originalità. Tali particolarità si notano specialmente nella collocazione degli effe, nella finezza delle volute e delle chiocciole e nella lucentezza delle vernici. Egli sembrò, in questi originali violini, voler riunire le caratteristiche dello Stradivario con quelle del Guarneri del Gesù.
Alessandro Gagliano (1695-1730), napoletano di nascita, costretto ad abbandonare la sua città per sfuggire ai rigori della giustizia in seguito a un omicidio da lui commesso in un duello, si fermò a Cremona e frequentò la bottega dello Stradivario per quasi trent'anni. Ritornato in matura età in patria, diventò il fondatore della scuola di liuteria napoletana. Alessandro Gagliano lavora quasi del tutto nello stile dello Stradivario. Il materiale che adopera è però piuttosto scadente e poco accurate sono le finiture, ma la voce dei suoi strumenti è robusta e il suo lavoro resistentissimo. I suoi discendenti furono pure liutai e tra essi si distingue il suo figlio primogenito Nicola, i cui violini, pregevoli anche per la scelta del materiale e per la fattura, furono spesso scambiati per quelli dello Stradivario stesso. Usava modelli meno grandi di quelli del padre. Buona rinomanza hanno altresì gli strumenti di Gennaro Gagliano, secondo figlio di Alessandro, i cui scarsi esemplari sono però di una perfezione ammirevole per la scelta del legno e per l'accuratezza del lavoro.
"Alumnus Stradivari" si firmava nelle etichette dei suoi violini anche Lorenzo Guadagnini (1695-1760) di nascita piacentino, mentre suo figlio Giambattista (1711-1756) nacque a Cremona, dove il padre si era trasferito per apprendere l'arte della liuteria. Entrambi frequentarono la bottega del famoso maestro. Più tardi si portarono l'uno e l'altro a Piacenza e dipoi Lorenzo andò a Parma dove fu eletto liutaio di quella corte; Giambattista invece andò a Torino, dove lavorò sino alla sua morte. I violini dei Guadagnini sono pregiati per la consistenza del lavoro e per la bellezza della loro voce. Anche i loro discendenti esercitarono la liuteria, ma le loro produzioni sono di scarso valore.
Alla scuola cremonese si collega per molti riguardi e per il tramite della scuola tirolese la scuola tedesca che ha per suo maggior rappresentante Jakob Steiner (nato a Absam, in Tirolo, 1621-83). Intorno alle vicende della sua esistenza si sono create non poche leggende che hanno servito ad alcuni suoi parziali biografi a formulare asserzioni intese a provare la mancanza di ogni influenza italiana sull'arte di lui. È certo invece che la grande maestria dei liutai cremonesi ebbe sensibili riflessi sulla sua pur così pregiata e originale produzione, specialmente negli ulteriori esemplari da lui costruiti, noti sotto il nome di "violini elettori". È possibile che i primi insegnamenti siano stati dati allo Steiner dai liutai della sua terra, poiché negli esemplari lavorati nella sua giovinezza si trovano certe particolarità di forma consuete nei liutai tirolesi: le volte molto elevate, il disegno poco fine degli effe, le chiocciole strane e rozze che sovente sostituiscono al riccio una testa di leone o di figura umana. Molto superiore ai suoi conterranei, lo Steiner non poteva non avere compreso la grande bellezza degli strumenti italiani e i difetti - specialmente di forma - di quelli che si fabbricavano in terra tedesca. Certamente poi, maturo di anni e di esperienza, andò a Venezia e a Cremona dove ebbe più immediato e diretto contatto con quei meravigliosi artefici e poté più accuratamente esaminarne le mirabili produzioni. Se quindi la struttura dei suoi violini permane tipicamente tedesca soprattutto nella costruzione del modello, la finezza delle vernici, le delicate venature del legno, l'abilità singolare della fattura, palesano chiaramente l'influsso dell'arte italiana. Questi pregi si rivelano specialmente nei "Violini elettori" detti così perché offerti in dono ai dodici elettori della Germania.
Alunno e seguace dello Steiner fu Mathias Klotz (1653-1743) i cui strumenti però peccano per la scarsa bontà della vernice e del legno. Molto migliori sono quelli di suo figlio Sebastian, nato, come il padre suo, a Mittenwald. Si nota che le vòlte dei suoi violini sono sensibilmente più basse di quelle caratteristicamente consuete nei liutai del suo paese.
Gli strumenti di Mattia Albani di Bolzano (1621-1673) si modellarono su quelli in uso nei suoi paesi; hanno come caratteristica una più accentuata tendenza a elevare le vòlte. Sono buone le vernici e scelto il legno; la costruzione invece è trascurata e grossolana. Molto migliore liutaio fu il suo figliuolo, che portava lo stesso nome; circostanza, questa, che fece spesso attribuire al padre i lavori fatti da lui. Questo Albani lo si dovrebbe davvero considerare come appartenente alla scuola italiana, non solo per il nome e per il suo paese natale, ma anche perché egli apprese l'arte non dal padre, ma direttamente dall'Amati; il che spiega come i suoi violini abbiano quella venustà e quella finezza di lavoro che mancava generalmente ai liutai tedeschi.
La scuola tedesca di liuteria in un primo tempo sembrò ignorare i prodotti della scuola italiana. Buoni costruttori di liuti e di viole da braccio e da gamba, i tedeschi non seppero o non vollero comprendere subito l'importanza che aveva il violino: i loro prodotti erano quasi sempre rozzi e dozzinali. Solo dopo che lo Steiner chiaramente ebbe dimostrato di apprezzare tutta l'importanza della liuteria italiana e di avere al contatto di essa affinato le sue maniere, essi divennero fedeli imitatori dei maestri classici e per merito principalmente dello Steiner l'arte della liuteria tedesca - benché in minor grado - è da annoverarsi, dopo quella italiana, la migliore che abbia avuto l'Europa.
I francesi si attennero fedelmente agli insegnamenti e ai modelli dei liutai italiani. Si comprende anche come essi, essendo in genere sensibili e adatti a lavori delicati e fini del legno, sapessero apprezzare la bella forma dei prodotti di quelli. Sfortunatamente, non furono veri artisti e in essi prevalse generalmente il criterio industriale e commerciale.
Desiderosi di produrre strumenti in grande numero e di soddisfare le continue richieste del mercato, misero in uso procedimenti sbrigativi e dannosi. La stagionatura del legno veniva praticata col riscaldamento a fuoco, oppure per mezzo di procedimenti chimici; essi costruivano violini a serie secondo un comune modello; usavano, per guadagnar tempo, vernici a spirito che presto asciugavano, mentre quelle a olio, adoperate sempre dai liutai cremonesi e bresciani, richiedevano molta cura e lungo tempo per disseccarsi. Tra le francesi si rese famosa la scuola di Mirecourt nei cosiddetti "violini di fabbrica".
Tra i più antichi liutai della Francia taluno comprende Kaspar Duiffoprugcar (Tieffenbrucker) nato a Freising, in Baviera, nel secondo decennio del Cinquecento; dopo avere dimorato in varî paesi (e per un certo tempo anche a Bologna), si stabilì circa nel 1530 a Lione come "faiseur de luths" e si naturalizzò francese: erroneamente taluno gli attribuì l'onore di avere inventato il violino, mentre è provato che alcuni esemplari a lui attribuiti e datati dal 1510 al 1517, non erano che abili falsificazioni fatte da J.-B. Vuillaume.
II migliore tra i francesi è Nicolas Lupot (1758-1824). Era figlio di un liutaio di Stoccarda e allievo di A. Guarneri. Si stabilì a Parigi nel 1794 quando egli godeva già di una buona rinomanza che, nella capitale francese, gli servì per ottenere subito notevoli distinzioni nel mondo dei musicisti e dei professionisti. Diventò pertanto liutaio ufficiale di quel conservatorio. Artista abile e completo, ebbe una profonda ammirazione per lo Stradivario e ne imitò meravigliosamenti i modelli: sdegnò sempre di ricorrere a quei mezzi sbrigativi e artificiali di cui si servivano volentieri i suoi colleghi conterranei per fabbricare i violini. Qualche volta si ispirò anche all'Amati e al Guarneri, ma lo Stradivario rimase sempre il suo preferito modello. Il suo lavoro è perfetto in ogni particolare; originale e speciale è la vernice da lui usata, di pasta delicata, di ottima qualità e di colore rosso di diversa gradazione.
Merita speeiale menzione François Chanot, nato a Mirecourt nel 1788. Benché di professione ingegnere, s'interessò alla costruzione dei violini e tentò forme nuove, tra le quali una a fondo piatto al modo delle chitarre. Uno di questi esemplari fu fabbricato per il grande violinista G.B. Viotti. Le sue innovazioni in questo campo sono state oggetto di ricerche scientifiche da parte del fisico Savart. Ebbe un fratello, Georges, che acquistò fama come imitatore dello Stradivario e del Guarneri.
Molta rinomanza ebbe nel secolo passato Jean-Baptiste Vuillaume (1798-1875) del quale abbiamo dianzi rammentate le abili falsificazioni. Produsse un numero notevolissimo di strumenti, dei quali hanno maggior pregio quelli da lui costruiti durante i primi anni della sua professione. Con mirabile perseveranza e con non comune talento seppe elevarsi a un alto grado di capacità e fu abilissimo nelle imitazioni e nelle falsificazioni. Conoscitore profondo della liuteria, si associò con il Tarisio, esperto conoscitore di strumenti antichi, del quale acquistò la preziosa collezione.
Tra i più notevoli liutai francesi del Settecento si ricordino: Jacques Boquay di Parigi, fedele e abile imitatore di Girolamo Amati, di cui predilesse i modelli più piccoli. I suoi strumenti hanno una voce dolce, ma scarsa intensità di suono; il suo lavoro non raggiunge la finezza del modello. Imitatore degli Amati fu anche Claude Pierray, i cui strumenti erano particolarmente pregiati in Inghilterra. Direttamente derivato dallo Stradivario è Ambroise de Comble, di Tournai, che probabilmente lavorò nella bottega del grande liutaio cremonese. Usò modelli grandi e buon materiale, ma il lavoro è poco accurato, spesso rozzo. Infine, alunno del Lupot è François Gand, che di lui divenne continuatore nella bottega di via Croix des Petits-Champs. Riparatore espertissimo, sapeva mantenere il più possibile, ai preziosi strumenti che gli venivano affidati, il carattere e l'aspetto originali.
Si è già accennato in precedenza al pregio in cui erano tenute nel Cinquecento le viole fabbricate in Inghilterra.
Uno dei più antichi liutai che costruirono violini in quel paese fu Jakop Raymann, nativo del Tirolo, che teneva le sua bottega a Londra nella prima metà del Seicento. Il Raymann è un imitatore dello Steiner e naturalmente nei suoi esemplari si riscontrano le caratteristiche della liuteria tirolese: lavoro piuttosto rozzo, ma bella vernice. Uno dei migliori liutai inglesi fu Barak Norman (1688-1740), londinese. Si dedicò specialmente alla costruzione dei bassi di viola e dei violoncelli, anzi fu dei primi in Inghilterra a fabbricarne. Alla maniera del Maggini si accostò nei violoncelli, mentre nelle viole (anteriormente costruite), per le vòlte elevate e per il disegno degli effe s'ispirò alle maniere tedesche. Usò buon legno e verniee piuttosto densa. Imitatore abilissimo di Nicolò Amati fu Benjamin Banks (1727-1795) di Salisbury. Ottime sono soprattutto le sue vernici. I suoi strumenti, oltre la consueta etichetta, portano le iniziali impresse a fuoco. John Betts (1755-1823) è nativo di Stamford e fu alunno di Richard Duke, buon liutaio che, come molti dei suoi colleghi in arte a lui conterranei, imitò ora gl'italiani ora i tedeschi. Si dedicò specialmente al commercio dei violini di scuola italiana e associò al suo lavoro il Panormo, esperto liutaio proveniente dalla scuola cremonese.
In genere la scuola inglese può dunque chiamarsi eclettica, per l'aderenza di alcuni particolari alla scuola italiana e a quella tedesca.
L'arte della liuteria, nella quale senza contestazione l'Italia tenne il primato, ha trovato sempre in tutti i paesi cultori intelligenti e amatori appassionati. Benché nessuno abbia potuto e saputo raggiungere l'eccellenza dei costruttori del Sei-Settecento, quest'arte ha anche oggi valenti e accurati cultori, sebbene anche in questo campo il criterio industriale e commerciale vada a scapito del valore. Recentemente anzi si è cercato con concorsi, premî e con l'istituzione di apposite scuole, di mantenere e rinvigorire questa bella e gloriosa tradizione.
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