LITISPENDENZA (lat. litis pendentia; fr. litispendence; tedesco Rechtshängigkeit)
Significa l'attuale esistenza di una lite nella pienezza dei suoi effetti: l'esercizio del diritto di azione produce uno stato di pendenza che dura fino alla cessazione del procedimento.
L'istituto della litispendenza risale al diritto romano, nel quale già in tempi molto remoti valeva la massima bis de eadem re ne sit actio. La litis contestatio aveva per effetto la consumazione del diritto di azione e con ciò anche del diritto sostanziale, non ancora concettualmente distinto dal primo. Dalla perdita automatica e immediata della potestas agendi si giunse poi ad una facoltà del convenuto di opporre all'azione l'exceptio rei iudicatae vel in iudicium deductae.
Tale stato di cose durava nel processo medievale. I glossatori, tra gli effetti della litispendenza, mettevano in rilievo e sviluppavano anzitutto quello della cosiddetta perpetuatio iurisdictionis, per cui, una volta costituito validamente il rapporto processuale, nessun cambiamento sopravvenuto può influire su questo fatto e far venire meno la competenza. In quest'ordine di idee la nozione di litispendenza passò nelle codificazioni moderne e, tra esse, nella vigente legge italiana (art. 104 cod. proc. civ.).
Nel processo moderno, alla litispendenza si ricollega soprattutto il divieto di proporre l'identica controversia a decisione due volte; il che, oltre a costituire un dispendio inutile di attività statale, porterebbe con sé il pericolo che sulla stessa questione fossero emanate due decisioni opposte. Da qui sorge la cosiddetta eccezione di litispendenza, la quale legittima ciascuna delle parti ad opporsi alla trattazione del merito di una lite fin quando sia pendente la stessa lite davanti ad altro magistrato. È evidente l'affinità dell'eccezione di litispendenza con quella della cosa giudicata. L'una e l'altra servono all'economia dei giudizî e insieme a prevenire la possibilità di due giudizî diversi sullo stesso oggetto.
Dalla concezione moderna dei rapporti fra stato e privato segue che tale sia l'interesse non solamente del convenuto, ma anche e soprattutto dello stato, e si dovrebbe quindi sostenere, contrariamente alla giurisprudenza costante della Corte di cassazione (e, del resto, anche di quella della Court de Cassation e del Reichsgericht) che la litispendenza debba essere rilevata ex officio, indipendentemente dall'eventuale difesa del convenuto. In ogni caso, in base alla norma espressa dell'art. 188 cod. proc. civ., la litispendenza può essere proposta in qualunque stato e grado della controversia. È molto disputato quale sia il momento preciso, da cui comincia ad aversi litispendenza in senso proprio. Mentre la giurisprudenza tende a richiedere la comparizione di almeno una delle parti, aderiamo all'insegnamento di L. Mortara che sostiene il rapporto processuale sorga per il solo fatto della proposizione della domanda giudiziale, cioè della notificazione della citazione, conformemente alla massima per citationem perpetuatur iurisdictio.
Gli effetti della litispendenza, tanto processuali quanto sostanziali, possono ricondursi al principio generale che il tempo necessario per ottenere una sentenza favorevole non deve tornare a danno di chi è costretto ad agire o difendersi in giudizio. Questa massima spiega la sua efficacia sotto due aspetti: a) in virtù della litispendenza i soggetti del rapporto litigioso e l'oggetto del processo rimangono fissati, cosicché i cambiamenti sopravvenuti non possono pregiudicare la situazione giuridica dell'una e dell'altra parte; b) nei confronti della parte a cui l'esito finale del giudizio darà ragione, deve attuarsi la legge come se ciò avvenisse al momento senza che i fatti sopravvenuti possano esercitare alcun effetto pregiudizievole.
Se la parte dopo la valida costituzione del rapporto processuale perde la capacità processuale, o la cittadinanza, o la titolarità del diritto controverso per atto fra vivi, ciò nonostante il processo continua in confronto alla parte originaria. Lo stesso avviene rispetto all'oggetto del processo, il quale viene fissato dalla domanda giudiziale, cosicché soltanto eccezionalmente ed entro certi limiti - interpretati peraltro con molta larghezza dalla pratica dei tribunali - è ammissibile il cambiamento del thema decidendum. Il fatto, d'altronde, che il rapporto o stato giuridico, che forma oggetto del processo, è fissato in seguito alla litispendenza, porta alla conseguenza che la cosa giudicata è efficace anche nei confronti del successore a titolo particolare o universale nel rapporto controverso, e inoltre che la cessione del diritto litigioso è soggetta a norme speciali (art. 1458 cod. civ.). La competenza del giudice rimane fissata con la domanda dell'attore; né i cambiamenti di fatto (domicilio o dimora), né quelli della legge regolatrice della competenza, fanno venir meno la competenza una volta validamente fissata (cosiddetta perpetuatio iurisdictionis: articoli 90, 91, 106, n. 2, cod. proc. civ.).
Agli stessi principî si ispirano anche gli effetti sostanziali della litispendenza. I fatti sopravvenuti non possono esercitare quell'effetto pregiudizievole al rapporto, dedotto in giudizio, che sarebbe loro proprio se fossero avvenuti prima della litispendenza. Questa produce l'interruzione della prescrizione, la quale non può più compiersi per la durata del procedimento. Dedotto in giudizio un rapporto, che per la sua natura è intrasmissibile agli eredi, la morte dell'attore non ne produce l'estinzione. La sentenza retroagisce entro certi limiti al momento della proposizione della domanda. Da quest'epoca decorre l'obbligo di restituire i frutti della cosa litigiosa, e sorge l'obbligo di pagare gl'interessi. La litispendenza ha sotto questo riflesso gli stessi effetti che la costituzione in mora. La parte litigiosa deve essere, nei limiti del possibile, rimessa in quella posizione che avrebbe se la sentenza potesse essere emanata subito all'epoca della costituzione del rapporto processuale.
La litispendenza cessa o col passaggio in giudicato di un provvedimento definitivo del giudice, sia questo una decisione della controversia, sia la pronuncia definitiva che non si possa decidere in merito, o in virtù di atti o negozî processuali compiuti da una delle parti o da ambedue (recesso, rinuncia, transazione). Finché la sentenza di merito non sia passata in giudicato, rimane in vita il rapporto processuale e perdurano quindi gli effetti processuali e sostanziali della litispendenza. Contrariamente all'opinione dominante deve ritenersi che anche la perenzione di istanza, prima della cancellazione della causa dal ruolo, metta fine al rapporto processuale e con ciò alla litispendenza.
Bibl.: G. Chiovenda, Sulla "perpetuatio jurisdictionis", in Saggi I, Roma 1930, p. 271; id., Rapporto giuridico process. e litispendenza, ibid., II, ivi 1931, p. 375; G. Morelli, Litispendenza fra giudizio di delibazione e giudizio ordinario, in Riv. dir. proc. civ., 1928, II, p. 98; A. Raselli, Citaz. e litispendenza, ibid., 1932, II, p. 49; G. Pistolese, Effetti della cancellaz. della causa dal ruolo nei riguardi della litispendenza, in Temi Emiliana, 1933, col. 109; G. Kleinfeller, Das Wesen d. Rechtshängikeit, in Zeitschr. f. Zivilproz., LV, p. 193; LVI, p. 129; Zani, Il monumento costitutivo del processo, in Studi senesi, 1933, p. 93.