Lisippo
Lo scultore che voleva ritrarre l’animo umano
Lisippo fu uno dei massimi scultori greci del 4° secolo a.C., insieme a Prassitele e Scopa. La sua attività coincise con il dominio sulla Grecia di Alessandro Magno, di cui egli fu lo scultore prediletto. Grande interprete del suo tempo, chiuse l’età classica, influenzando profondamente la successiva arte ellenistica
Delle millecinquecento statue che Lisippo avrebbe realizzato nella sua lunga carriera non ci è pervenuto nessun originale. Dalle molte copie e dal giudizio che gli antichi ci hanno lasciato su di lui riusciamo però a capire quale fosse il suo linguaggio espressivo. Secondo lo scrittore latino Plinio, Lisippo diceva sempre che i suoi predecessori avevano rappresentato gli uomini come sono, e che lui invece li rappresentava come appaiono, aggiungendo anche di aver avuto per maestro non un altro artista, ma la natura e la gente.
Con queste parole Lisippo voleva dire che le sue sculture raffigurano l’uomo con i problemi, le speranze, le gioie e i dolori che accompagnano i vari momenti della vita di ognuno, rinunciando al tentativo di rappresentare l’assoluto e l’ideale, come fino ad allora aveva fatto l’arte greca.
In tal senso Lisippo è una perfetta espressione del suo momento storico: prende atto che gli ideali del passato non esistono più, perché non esiste più la Grecia di un tempo, ormai assoggettata da Alessandro Magno; esiste solo l’uomo colto nell’istante in cui lo scultore lo ritrae.
L’opera più famosa di Lisippo è l’Apoxyòmenos, che in lingua greca significa «colui che si sta detergendo», e rappresenta appunto un atleta colto nell’atto di pulirsi dopo la gara. Gli atleti greci, infatti, si cospargevano il corpo di olio per rendere i muscoli più elastici e al termine della gara si toglievano lo strato di unto, reso sporco anche dalla polvere e dal sudore, con un apposito raschiatoio, chiamato strigile.
L’originale bronzeo dell’Apoxyòmenos, realizzato intorno al 320 a.C., è andato perduto; noi possiamo conoscere l’opera da una copia romana in marmo, ora custodita nei Musei Vaticani, che nell’antica Roma era collocata nelle Terme di Agrippa ed era molto amata dall’imperatore Tiberio. La modernità di Lisippo è evidente nel fatto che egli non sceglie di rappresentare l’atleta nel momento della vittoria bensì in quello, comune sia al vincitore sia allo sconfitto, della pulizia. Lisippo non vuole quindi raffigurare l’atleta nella perfezione della vittoria, ma coglierlo in uno qualsiasi dei momenti della sua vita quotidiana.
Con l’Apoxyòmenos Lisippo rivoluziona la scultura greca rivedendo il canone (classicismo) fissato dal Doriforo di Policleto: quest’ultimo cercava l’equilibrio stabile, Lisippo tende invece al movimento. La gamba flessa con il piede sollevato, il rialzamento della testa, le braccia protese in avanti, con il destro teso e il sinistro piegato, conferiscono infatti alla scultura un senso di movimento e di forte vitalità; le braccia portate in avanti, poi, rompono con la visione frontale della statua – che aveva caratterizzato la scultura greca precedente – e fanno in modo che l’Apoxyòmenos sia la prima statua antica pienamente tridimensionale, concepita cioè per essere osservata da più punti di vista.
Lisippo lavora molto alla corte di Alessandro Magno, dove conosce il filosofo Aristotele e il pittore Apelle, e soprattutto diventa il ritrattista ufficiale del condottiero macedone. Anche i ritratti di Lisippo sono estremamente innovativi, perché l’artista inventa un tipo di ritratto psicologico, con il quale vuole rappresentare non tanto il ruolo ufficiale del personaggio, quanto la sua personalità.
Così nei ritratti di Alessandro Magno, grazie alla torsione della testa, ai capelli mossi e allo sguardo intenso, Lisippo riesce a tramandarci tutta la vitalità e la forte personalità del grande condottiero macedone.