LIRA (λύρα, lyra)
La lira appartiene a quella classe di strumenti a corde tese (ἔντατα, καϑαπτά, κρουόμενα), che i Greci preferirono agli strumenti a fiato (ἐμπινευστά) e considerarono veramente nazionali.
La tradizione letteraria sul mitico inventore della lira non è concorde: il poeta sconosciuto del secondo inno omerico ci dice che Ermete, avendola fabbricata con il guscio di una tartaruga, due corna d'ariete e i nervi dei buoi rubati ad Apollo, riuscì col suono del nuovo strumento a commuovere così profondamente l'animo di Apollo stesso, che questi non solo gli abbandonò i buoi, ma gli offrì anche un anellino d'oro in cambio della lira. Ma sappiamo anche (Paus., IX, 30,1) di una lotta fra le due divinità rappresentata in opere della statuaria oggi perdute, e di cui un'eco persiste nella pittura vascolare: così che la tradizione dell'inno ci appare quasi una decisione di arbitro per cui Apollo non ha inventato la lira, ma l'ha legittimamente ottenuta in un fraterno contratto.
La lira - da non confondersi con la κιϑάρα, sebbene parecchi lessicografi abbiano considerato queste due parole sinonimi (vedi. cetra) - è costituita da una cassa armonica da cui si elevano due bracci riuniti da un'assicella traversa o giogo: tra questa assicella e la cassa sono fissate le corde, di numero variabile ma di lunghezza eguale. La cassa armonica in origine, come apprendiamo dalla tradizione letteraria e figurata, fu lo scudo dorsale di una tartaruga (χελώνη, χέλυς), sulla faccia concava del quale era tesa una pelle bovina. Più tardi s'impiegarono armature di legno della stessa forma rivestite di laminette d'osso o d'avorio. I bracci o corna (πήχεις, ἀγκῶνες, κέρατα) agl'inizî furono veramente corna di capra o di ariete - e anche questo concordemente alla tradizione letteraria e iconografica -, ma in seguito si costruirono bracci lignei, e della materia primitiva restò solo la forma elegantemente incurvata. La traversa o giogo ( ζυγόν), che lega i due bracci alla sommità, era ordinariamente di legno di quercia; era a volte perfettamente cilindrica, a volte rigonfia verso il centro e verso l'estremità. Le corde - originariamente intestini di montone (χορδαί), cui più tardi si sostituirono i nervi (onde la mutata denominazione di νευραί, ξεῦρα) - erano fissate, mantenute in tensione e regolate come nella cetra.
Il numero delle corde riguarda piuttosto la storia del sistema musicale dei Greci che quella dello strumento. Testi oscuri e sospetti attribuiscono alla lira prima tre, poi quattro corde: questo numero sarebbe stato portato a sette sia per accrescimenti successivi, sia d'un sol colpo da Terpandro: altre fonti invece attribuiscono questo numero di corde alla lira primitiva inventata da Ermete. Certo è che sin dalla prima metà del sec. V il numero delle corde fu portato a otto e poi a nove: e la lira eptacorde si conservò solo nell'uso religioso a Roma, dove, nel sec. I, Dionigi di Alicarnasso la nota con stupore (Ant. Rom., VII, 72). La seconda metà del sec. V vide portare il numero delle corde a undici, forse per opera di Phrynis di Mitilene. Timoteo, alla fine del sec. V, aggiunse una dodicesima corda. Queste innovazioni, vivamente contrastate, furono consacrate dai teorici alessandrini.
La lira si suonava col plettro (πλῆκτρον), fatto di materia dura - legno, corno, avorio, metallo, pietra preziosa - di forme assai diverse, ma sempre terminante con un dente o un uncino, così da assomigliare a una T o ad una freccia. Il plettro era ordinariamente attaccato alla parte inferiore della lira e per suonare non veniva staccato. Alla mano destra, che colpiva le corde col plettro, si associava l'accompagnamento della mano sinistra che pizzicava le note dalla parte opposta dello strumento. Solo alcuni virtuosi - quali i liricini di Aspendo passati in proverbio (Zenob., II, 30) - eseguivano ambedue le parti con le dita.
La lira poteva essere riccamente e variamente ornata: vedi, per es., presso Luciano (Adv. indoctum, 8) la descrizione della ricchissima lira di Euangelos di Taranto.
Bibl.: C. v. Jan, Die griechischen Saiteninstrumente, in Arch. Zeitung, 1858, p. 181 segg., tavola CXV; Th. Reinach, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiquités, III, ii, p. 1437 segg.; Gundel, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XIII, ii, col. 2479 segg.; L. Deubner, Die viersaitige Leier, in Ath. Mitteil., LIV, 1929, p. 194 segg.